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L’ULTIMA PRIMAVERA.
Dicono l’erbe nove,
dicon le siepi di virgulti piene:
— questa, che incerto move
lo stanco passo e sospirando viene,
certo smarrì la traccia;
non sai che qui s’appresta
la portentosa festa
d’Aprile, o donna dalla smorta faccia?
Noi vogliamo gioconde
frotte di bimbe e garzonetti a mille,
noi vogliam trecce bionde
e risa e sguardi pieni di scintille;
oggi, tra canti e danze,
sotto i mandorli in fiore,
passa il corteo d’Amore,
il bel corteo di sogni e di speranze.
Via, via! dà luogo! i suoni
già non odi venir laggiù dai prati?
non odi le canzoni
rivelatrici degli innamorati?
Oh quella faccia smorta
vélati, e va lontano;
ogni lamento è vano
quando la bella giovinezza è morta. —
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La mesta pellegrina,
ch’ode lo scherno striderle a le spalle,
s’affretta per la china
che al burron mena dall’aperta valle;
invano, invan mercede
all’erbe, al sole, al vento,
nel cupo smarrimento
quella stanca ferita anima chiede.
Con l’occhio innanzi fisso
va dove oblio promette e fine ai guai
la voce dell’abisso;
va con alta la fronte e vinta ormai
ogni codarda tema... —
Dietro, sui prati in fiore,
passa il corteo d’Amore,
L’eco d’una canzon nell’aria trema...