< Lettere (Isabella Teotochi Albrizzi)
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XXIX XXXI


Venezia, 30 Novembre 1820.

Dopo un lunghissimo silenzio, a cui non poteva invero accostumarmi, quattro giorni sono ho ricevuto una grata vostra (senza data) per la posta, e la sera dello stesso giorno, l’altra che avevate consegnata a M. Good, ma non da lui, ch’era già da molti giorni partito. L’ebbi da un suo amico a cui egli l’aveva lasciata. Vedete dunque che il mio silenzio non era che figlio del vostro: ambi. da quanto voi m’assicurate e da quanto io sento per voi, non generati da odiosa dimenticanza. Io non ero però senza le vostre nuove, richiedendole accuratamente; e sapeva del lungo viaggio e del non rosco soggiorno, male già preveduto, pur troppo! Vi assicuro che mi duole molto la vostra lontananza, quantunque vi vedessi poco, per quel giro di ore, che quando quì lo si sbaglia in un punto, accade come ne’raggi di una stessa ruota, che sono sempre a canto l’uno dell’altro, ma non si toccano mai. Quì tutto corre colla stessa regolarità. Ippolito è quì, ed è questo (stupite!) il quarto giorno che io pranzo con lui fuori di casa; egli ha posto alquanto in dimenticanza l’inalterabile metodo delle cinque ore: vale a dire, che se trascorrono dieci, o anche venti minuti, non dice nulla. Con la prima occasione vi manderò una sua nuova e bella composizione che vi piacerà, perchè sono versi che nell’anima si sentono. Spero che nella ventura estate avremo l'Odissea. Egli vi saluta distintamente, e così Tomaetto[1] e il mio Giuseppino che, vi bacia anco la mano. Abbiamo una nuova traduzione di Orazio del Sig. Gargallo, lodatissima. A me però, che non posso giudicare di nulla, e meno ancora della fedeltà, sembra che non vinca quella di Pallavicini [2]. Abbiamo anche un Viaggio del Petrarca di certo Sig. Levati, a cui la felicità dell’esecuzione, dicesi non corrispondere all’idea felice che gli era venuta in mente; e certi romanzi poetici pure abbiamo del signor Tebaldo Fores, il quale, alla Byron, invoca tutti i diavoli dell’inferno per piacerci e commuoverci. Byron poi è sempre a Ravenna, lasciando in dubbio se ci stia per amore della sua bella [3], o per odio de’ suoi concittadini. Il primo volume di Erodoto del nostro Mustoxidi piace assai. Mario è quì, e lo veggo tutte le sere. Per quanto che il calore della mia stanza lo permette, veggo anche l’egregio vostro fratello. Ricordatemi, vi prego, ai fratelli Teotochi e al Ceccato. A Georgino Capodistria direte che sono in sulle furie con lui, perchè non mi ha mai scritto, e non voglio nè punto nè poco ricordarmegli; mille e mille cose all’ottimo e dolcissimo signor Viaro. Addio, mia carissima Marietta, occupatevi intanto a imparare l’inglese. amatemi, scrivetemi, comandatomi, e siate certa della mia affettuosa amicizia.

Note

  1. Il signor Pasquale Petrettini che pubblicò questa lettera nell’opuscolo citato, stampò la Tomaetta, ma si deve intendere invece il Co. Tommaso Mocenigo Soranzo il quale, come il lettore sa, era soprannominato Tomaetta, vezzeggiativo veneziano invece di Tommasino.
  2. Vedi quanta leggerezza di giudizio. Non sa di latino, non sa giudicare di nulla, eppure giudica! Così fece nel descrivere le opere di Canova.
  3. La Marchesa Guiccioli.
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