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C. — A Francesco Priuli.1
Dovendo io aver rispetto di non riuscire tedioso a V.E. con usare le umili parole di soggezione che debbo, le tralascerò così in questa, come nelle altre mie seguenti. Per la passata, qual’inviai a dirittura per il corriero, non essendo in Venezia gl’illustrissimi di casa sua, le diedi qualche avviso particolare nel caso dell’abate Cornaro. Ora le dirò di più, ch’è arrivato a notizia della santità del pontefice il proclama; al che non ha detto altro, salvo che: Il caso è gravissimo, e crediamo che quei signori si valeranno dei privilegi che hanno dalla Sede apostolica, con l’assistenza del patriarca. Per la seguente posta averemo quello che sarà stato detto della sentenza; ma frattanto alcuni considerano quanto facilmente gli uomini perdano la memoria quando loro torna utile. Al pontefice, alloraquando nel 1605 nacque controversia sopra il giudicar ecclesiastici, fu risposto per lettere del Senato sotto li 28 marzo 1606, che la Repubblica ha ricevuto da Dio la potestà di giudicare li delinquenti nel suo Stato di qualsivoglia condizione, e contro gli ecclesiastici rei di delitti enormi, l’ha esercitata sempre senza interruzione, con l’approvazione de’ suoi precessori, li cui brevi restano. La corte non può sentir questo, che principi possano punir cherici se non per concessione del papa: il che, oltre l’essere falso, non può essere di maggior pregiudizio all’autorità temporale; perchè come non sii da Dio ma dal papa, egli la vorrà dichiarare, limitare, ristringere e levare anco, se gli parerà. Il che anco il presente pontefice ha tentato di fare, dicendo nelli suoi monitorii: Per l’abuso siete decaduti ec.; ed anco nell’occasione presente si vede che tentano intaccare qualche cosa. Perchè, ecco, vorrebbero che il processo e la sentenza contro l’abate fosse fatta con l’assistenza;2 la quale non si dovrebbe aggiungere, con tutto che li loro brevi fossero del valore che pretendono; perchè in quelli non ricercano che il vicario patriarcale sii presente se non all’esame del reo; del rimanente, agli altri atti del processo, nè alla sentenza non lo ricercano: ma qui essendo il reo assente condannato, non è occorso atto di suo esame. Non possono a Roma trattenersi di non allargare per virtù di que’ brevi, dando loro tutto quell’avvantaggio che si può dare: non si conclude se non che gli avogadori di Comune, col consiglio di Quaranta, giudicando ecclesiastici, chiamino il vicario patriarcale all’esame del reo: addesso vogliono estender questo al Consiglio de’ Dieci, e a tutto il processo. Questa diceria ho voluto scrivere per ogni buon rispetto, che ne fosse parlato da parte del signor nunzio. Le voglio anco aggiungere, che un prelato veneziano ha fatto sapere al papa tutti gli eccessi commessi dall’abate suddetto in sua vita, ed in particolare nella città di Padova, dove ha vissuto con qualche libertà: il quale forse è nato da buon zelo di quel prelato, ma viene interpretato che sii fatto per diminuire anche la riputazione del fratello, e levarsi un concorrente.
Qui passano voci di cose assai grandi di Germania, le quali io scriverò a V.E. acciò ritrovando riscontri della verità, possa usarle; chè alcune fiate li lontani, come meno osservati, penetrano dove li vicini non possono. Si faranno le nozze del duca di Wittemberg nel principio del mese futuro, dove interveniranno molti principi in persona, e sotto quella copertella sarà una dieta di altri negozi che di nozze. Si dice che l’arciduca Ferdinando perseveri costantemente nella risposta negativa data alli suoi sudditi, e ch’essi perciò siino per aver ricorso alli principi e città collegate: che il fratello dell’elettore di Brandeburg partirà di Dusseldorf, ed in luogo suo anderà il marchese di Anspach: che il figlio di Neuburg, qual si ritrova là, abbia qualche intelligenza con li ministri imperiali: che gli Stati dell’arciduca o re Mattias trattino qualche cosa per tornar sotto l’imperatore: che la controversia tra Hussiti e Piccardi intorno l’accademia, sii accomodata, e che vi sii qualche consiglio di armarsi di nuovo in Boemia.3 Il freddo dell’inverno potrà agghiacciare e forse anche mortificare assai di questi disegni; ovvero, per antiperistasi, farli aumentare intieramente, e dar fuori con maggior veemenza a primo tempo, secondo che piacerà alla divina Provvidenza o compassionar le nostre miserie o punir li nostri peccati.
Ma ritornando alle cose d’Italia, sebbene il pontefice non ha sentito male il proclama, non possiamo confidare che tenda all’istesso successo la sentenza, massime perchè nella corte non è l’istessa moderazione che in Sua Santità. Alli prelati par cosa di molta lor deiezione, che un prelato tale sii giudicato, e veggono che con tal esempio si apre la via a levar loro qualche licenza: onde fremono, ed il loro lamento potrebbe tirar Sua Santità in altro parere di quello che ha mostrato avere al primo udito della nuova. Quel che sarà, e che ragioni porteranno, l’avviserò a V.E. per la seguente. Ora faccio fine, pregando Dio che la favorisca di tutte le sue grazie, e le bacio riverentemente la mano.
- Di Venezia, li 23 ottobre 1609.
- ↑ Tra le Opere di Fra Paolo ec. (Vedi la nota alla Lettera XCVIII), pag. 124.
- ↑ Cioè, del patriarca, com’è detto più indietro.
- ↑ Avviluppati in sommo grado erano gli avvenimenti della Germania nel tempo di cui parlano queste Lettere, nè sarebbe stato facil cosa il districare mediante note cotai viluppi per guisa, che i lettori potessero averne alcuna distinta e sufficiente cognizione. Consigliamo piuttosto, chi dalle più speciali e voluminose opere debba astenersi, di consultare le vite o biografie de’ due imperatori Rodolfo e Mattia; o almeno di leggere nella Storia universale scritta da una compagnia di letterati inglesi, il Capitolo XIV della Storia di Germania, nel volume di quell’opera XXXVII.