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LXXXI. — Al nominato Rossi.1
I due libri mandati da V.E. sono ancora in viaggio, ed ebbi nuova del loro arrivo in Torino. Spero arriveranno qui la presente settimana, e saranno da me tanto più presto letti, quanto è stato più lungo il tempo che ho sopportata la sete. La lettera del Gesuita scopre per certo molti de’ loro arcani: lascia però i più importanti. Non si può negare che non rappresenti la loro petulanza intieramente. Io non posso persuadermi che da cotesto principe non sieno conosciuti intieramente, e piuttosto credo che i suoi rispetti fanno ch’egli sopporti, come fa. Possono far quello che vogliono; eglino sono di quelli, quibus viam cooperantur in bonum, cioè che sono il veleno della Francia: il che i tempi avvenire lo mostreranno. Ma è proprietà di certa sorte di savi di non curare se non i tempi della loro vita: anzi sono alcuni di loro che studiano acciò le cose, dopo loro, vadano alla peggio, per acquistar gloria nella comparazione.
L’avviso che V.S. mi dà di guardarmi da barche veloci, ha fondamento. Già so quelli che sono stati de’ primi trattati, ma la esecuzione è impossibile. Hanno osservato più d’un anno di trovarmi in qualche acqua non frequentata; ma io soglio non uscire di casa, salvo che per necessità, per non andare se non dove è necessario, al che consegue dov’è frequenza, che ha sempre reso il disegno vano. I pericoli sono di due sorti: altri probabili, e questi non sono molti; e da loro mi guardo con facilità e senz’afflizione: altri troppo sottili, e questi sono infiniti, nè vi si potrebbe pensare che con afflizione. Questi io voglio rimetterli in Dio. Non sono tanto debole di spirito, che mi rincresca il finire, se ben bisogna, adesso; ma certo è che non succederà se non cosa futura, cioè secondo il beneplacito divino. Le maggiori ragioni di dubitare sono ne’ cibi, e dov’è più difficile la cauzione; ma il pensarvi per via interna sarebbe un effettuare quello che ’l nemico vorrebbe per esterna.
Il libro del re d’Inghilterra è stato veduto qua in lingua inglese. Ho inteso che verrà in latino. M’è stato correntemente interpretato, e lo trovo libro sensato. Ma che infortunio è questo, che ognuno vuol mostrare eccellenza nell’arte non sua?2 Tutti parlano qui dell’editto regio contro i duelli. Mi sarà molto grato averne una copia, se però uscirà. Non vidi mai riformazione che non facesse peggiorare i costumi. Dio dia buona fortuna a questa, e faccia che sia principio di ricevere in Francia il Concilio di Trento.
Le esequie fatte al padre cappuccino di Gioiosa sono state molto lunghe. Ventura è, dunque, morire fuori di casa, ed esser portato;3 perchè si ha maggiori suffragi.
Le cose di Boemia, per gli avvisi che vengono qui, passano con gran confusione. Maraviglia sarà se termineranno senza sangue, poichè s’intende che gli Stati di quel regno abbiano già eletto un generale ed un maresciallo di campo. Così, se il negozio di Cleves, che par niente adesso, non sia causa di qualche grande incendio.
Ho finalmente tanto sollecitato, che ho acquistato le scritture passate tra Clemente VII e Carlo V, per monsignor Gillot. Le manderò, credo, per questo spaccio.
- Di Venezia, il 7 luglio 1609.
- ↑ Tra le pubblicate dal Bianchi-Giovini ec., pag. 179.
- ↑ Non piacevano al Sarpi, come sembra ancora da queste parole, i re letterati ed autori di libri; ma i re che maneggiano, come arte lor propria, le armi. Vedasi la Lettera XIX, a pag 59; e la susseguente del dì 13 di ottobre. Ed anche il Bianchi-Giovini scriveva a questo proposito: “Vuol dire che il re d’Inghilterra avrebbe fatto meglio a spaventare il papa colle armi, che colla penna.„
- ↑ Vedasi al fine della pagina 203. Il duca Arrigo di Gioiosa, prima ammogliato, erasi fatto cappuccino nel 1587; poi tornò, consenziente il papa, al mestiere dell’armi e fu capitano della Lega e maresciallo: tornò a vivere tra’ Cappuccini nel 1602, e morì a Rivoli presso Torino nel settembre del 1608.