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CXLVI. — A Filippo Duplessis Mornay.1
Ho letto le lettere da V.S. scritte all’Asselinau, prudenti, invero, e in tutto conformi al modo mio proprio di vedere. Ci credevamo ormai prossimi a vedere il parto desiderato; ma ogni speranza è morta colla vita stessa del re. Perchè, quando pure per via della guerra non si dischiuda qualche adito alla libertà di coscienza, non oseremo giammai di parlare liberamente. Tanto noi siamo Italiani! Pochi intendono a rettamente operare; e quelli che ciò vorrebbero, non vi si accingono fuorchè con ogni lor propria sicurezza. Dello stato delle cose che ci è sfuggito di mano, sarebbe superfluo il parlare. Delle fila che ci sono rimaste o che la sorte ci somministra, conviene si ordisca la tela che ora è da tessere.
Ecco quali sono al presente le condizioni d’Italia. Lo Spagnuolo prepara le armi; il principe di Savoia bada solertemente alla difesa, disposto anche ad assaltare, se le forze gli bastassero o le armi di Francia si mostrassero. I Veneziani gli promisero aiuto per la sua difesa, e per tal fine deliberarono e cominciarono a mettersi in arme. Nessuno fra noi ignora che lo Spagnuolo ci è nemico; ma non tutti sanno che più assai nemico ci è il papa, perchè i più si lasciano ingannare dai suoi puttaneschi artifíci. Il re morto aveva detto che il papa voleva esser favorevole al re di Francia; e tutti allora a lodare e a predicare i futuri beni d’Italia. Ma non andò molto ch’egli lasciò vedere quel che dentro tenea nascosto; cioè di far guerra alla Religione riformata. Molti desiderano l’alleanza coi Tedeschi dei Paesi Bassi; ma sembrano opporsi due difficoltà, le quali fa duopo rimuovere. L’una, che a molti pare che sotto specie di alleanza, noi siamo tirati ad una guerra non necessaria; l’altra, che ai superstiziosi sembra un rinnegare la Religione romana il confederarci con soli Protestanti. Sarebbe rimedio ad entrambe se il re di Francia tenesse quegli Stati a sè collegati, e se la regina se ne facesse promovitrice. Questo sarebbe da farsi per ciò che riguarda la Francia.
Già Venezia pel suo ambasciatore ordinario ha fatto dire alla regina, che il regno non può conservarsi senza dar pace alla Religione riformata. Aggiunse ancora, che il bene della Francia e di Roma sono cose tra sè incompatibili. Lo stesso faranno gli ordinari, e tutto anderà bene: dispiace soltanto che l’ordinario da mandarsi sia un mezzo papista.
Io prego Dio che promova fra noi quanto più torna a sua gloria, e la S.V. eccellentissima ricolmi di tutti i suoi doni. Stia sana.
- 16 luglio 1610.
- ↑ Dalla Corrispondenza di Filippo Duplessis ec. stampata a Parigi ec.; dove sta sotto il nome di Padre Paolo, come la precedente a pag. 49.