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CLX. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Al ritorno del signor ambasciatore Foscarini da Rheims, saranno, per quanto credo, state mandate a V.S. le mie, ch’Ella doveva ricevere s’egli si fosse fermato in Parigi, avendo monsieur Castrino, per l’avviso che mi dà, ricevuto il piego dov’erano incluse. Per questo corriero ultimamente venuto, ho ricevuto quella di V.S. delli 27 ottobre, e recapitato l’allegata al signor Assellineau, dal quale credo che V.S. averà ricevuto lettere per alcuni corrieri ultimamente venuti. Egli è sempre stato in buona sanità, e spesse volte Ella è stata materia dei nostri ragionamenti.
Averei ben avuto caro ch’Ella avesse veduto il signor Agostino Dolce, acciò egli, venendo, potesse anco portarmi a bocca nuove del suo ben essere; ma io mi contenterò dell’avviso che sopra ciò mi portano le sue continuate lettere, le quali sempre ricevo con aumento d’obbligo.
Ho veduto con molto piacere la scrittura ch’Ella mi manda in lode delli padri Gesuiti, la quale veramente tocca particolari molto buoni: però l’AntiCottone pare più penetrante, e credo che con difficoltà alcuno arriverà a quel grado. Non so se queste scritture rallenteranno o conforteranno li fautori di quei Padri. Osservo questa esser la proprietà della verità, che fa più ostinati gli animi superstiziosi, e dubito che l’opposizione nuova porterà i potenti a favorirli con maggior efficacia. Insieme, resto ancora in qualche pensiero, ch’essi, avvertiti, riduplichino le arti e opprimano li altri incauti; i quali di qua fra qualche poco di tempo si scorderanno, ma nella memoria delli buoni Padri resterà sempre fisso il pericolo, e la volontà di vendicarsi del passato e assicurarsi per l’avvenire. E se non è che Dio nostro Signore voglia esso metter freno a quell’impudenza, l’opera umana la farà più tosto crescere che sminuire.2
Se la regina non vuol sapere più innanzi della morte del re, forse teme di non intendere cosa che fosse meglio non sapere; e se i Gesuiti sono utili per le cose presenti, non mi maraviglierei quando si contentasse dell’ignoranza. In una parola, è fiorentina. In fine, qualche mutazione sarà, perchè la pratica presente non è buona.
Le cose di Germania, se bene paiono accomodate, però il non voler l’imperatore licenziare le genti di Passau, e la perseveranza di Sassonia in voler parte nelli Stati di Cleves, le differenze tra Neufbourg e Deuxpont per la tutela, sono seme di molte turbolenze.
Noi non possiamo saper per ancora quello che debba esser in Italia. Si crede di doverlo intendere alla venuta del contestabile di Castiglia: però, siccome sono quattro mesi che crediamo di settimana in settimana esser chiariti, e più siamo in tenebre che mai, così potrà essere che saremo anco allora. Quel ch’è in fatti, si è che il duca di Savoia attende a rassegnar e aumentar le sue genti; le spagnuole non diminuiscono, anzi col Contestabile verranno più di quante si credeva.
Il duca di Mantova e qualche altro principe d’Italia sono in molta gelosia, perchè trattano li Spagnuoli di comprar Castiglione da quel marchese, luogo situato tra Mantova e Brescia, e atto a ricevere buona fortificazione; e perchè si sono impadroniti della rôcca di Correggio, e se bene dicono di restituirla, non hanno ancora effettuata la promessa. In Venezia i papisti e cattivi sormontano e avanzano assai: cosa che fa dubitare molto. Dio però soprasta a tutte le cose, e a noi conviene contentarci di quello che sarà di suo santo beneplacito. Salutano V.S. il signor Molino e padre maestro Fulgenzio; e io le bacio riverentemente la mano.
- Di Venezia, li 23 novembre 1610.
- ↑ Edita, come sopra, pag. 310.
- ↑ Raccomandiamo agli uomini meditativi, troppo spesso diversi da quelli che si dicono uomini politici, di rileggere una o più volte questo paragrafo; e ai futuri biografi di Fra Paolo, di prendere da esso norma nel misurare la perspicuità e profondità del suo ingegno.