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CCXXVI. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Quantunque sino a quest’ora sia incerto se il corriere venuto ieri a sera mi porti lettere di V.S., nondimeno, per seguir ordine di darle avviso delle cose che qui passano, prevengo la venuta delle sue, le quali aspetto con desiderio d’intendere la buona piega che avranno preso le cose di costì.
Scrissi a V.S. ultimamente sotto il 18 decembre: d’allora in qua abbiamo avuto assai novità in Italia. Morì un figliuolo del duca di Mantova, in età infantile, e il padre ha seguito pochi giorni dopo.2 Resta di lui una figliuola, la quale potrà esser pietra d’intoppo alle case di Savoia e di Mantova. Pare che il duca di Savoia pretenda il marchesato di Monferrato per lei, ad esclusione del fratello del morto, allegando il costume che quello Stato passi anco nelle femmine; anzi, entrò nella casa di Mantova per la madre dell’avo del morto duca. Dall’altro canto, per i Mantovani si dice, che da Massimiliano imperatore fu quel marchesato unito con lo Stato di Mantova in un solo corpo, onde non si abbia più da separare, e perciò debbi seguire le condizioni ancora di quello.3 Se Italia non fosse sotto il pedante, questa sarebbe un’occasione di alterare la presente quiete, avendo il duca di Savoia grande opportunità per la vicinità, e grand’interesse di tirar quello stato in casa sua. E già si arma, dicendo ai Mantovani che lo fa contra Svizzeri, e ai Svizzeri contra Mantovani. Ma gli Spagnuoli non vorranno moto, nè meno vorranno accrescimento al duca di Savoia; per il che si può credere che le cose staranno come sono.
È giunto in Roma il vescovo di Bamberg, ambasciatore al pontefice per Cesare; nobile ambascería, essendo certo a me, che da imperatore non è venuto in Italia per ambasciatore alcun principe Germano. Pretendeva questo signore d’esser onorato della mano destra da tutti in Italia, e ha ricevuto gran disgusto perchè gli sia stata negata dal cardinale ch’è in Ferrara, e perchè il cardinale ch’è in Bologna, per fuggire queste controversie, si è mostrato indisposto. Ha ancora ricusato di entrar in Fiorenza, per non aver quel duca consentito di darli il luogo, come aveva richiesto.4 Ma finalmente, deposte tutte quelle pretensioni, è andato a Roma, e contentatosi di quanto quella corte costuma di fare, dove i cardinali non dànno luogo a qualsivoglia sorte di persona. Non si sa ancora, se, oltre i complimenti, abbia qualche negoziato: è ben verisimile che vi sia. Io sto con grand’espettazione di saper il modo come averà trattato col pontefice per nome di Cesare; se con parola di obbedienza e fedeltà, come anticamente si soleva; o di ossequio, come Massimiliano II; o col temperamento medio, preso da Rodolfo.
Credo che questo imperatore avrà nel principio del suo governo più travaglio di quello che pare, poichè abbiamo avviso che li Turchi hanno preso tre luoghi in Ungaria superiore; cosa ch’essi non sogliono fare, se non pacificate in tutto e per tutto le cose di Levante. Nel rimanente, le differenze tra questa Repubblica e l’arciduca Ferdinando per causa di Uscocchi, sono andate in silenzio, nè più se ne parla. Ma bene tra li ministri d’ambidue li principi sul luogo si tratta di rimediare alli mali passati, e più alli futuri. La causa del componimento viene da Spagna, che vuol le cose quiete, e che riputa complire alli rispetti suoi, che li Stati d’Italia non maneggino arme, ma con le arti della pace, o della disunione fra essi stessi, finalmente si sottopongano all’arbitrio del più potente.5
Ho raccontato a V.S. tutto quello che ho di nuovo: mi resta dirle, essendo il primo giorno dell’anno, salute presente e perpetua, sì come faccio: pregando Dio che la favorisca di tutte le sue grazie, e a me doni di poterla servire come con tutto l’affetto desidero. E qui facendo fine, le bacio la mano.
S’avvicina il tempo di destinare ambasciatore in Francia e Inghilterra. Sto in dubbio, quale di questi due sarà Barbarigo. Spero nondimeno, che sarà costì. Egli fa riverenza a V.S.. con il signor Molino e padre Fulgenzio.
Dopo scritta questa, ho veduto una di V.S. scritta a monsieur Assellineau, per la quale veggo che molte mie sono andate in sinistro, nè so a chi ascriver la causa. Quelle di V.S. però mi sono capitate sempre. Le quali cose tutte io le scrivo per avviso, non sapendo giudicare donde venga il mancamento. Dal signor Guzzoni non può venire, perchè vedendolo diligente nel mandar le lettere in qua, giudico che faccia l’istesso nel mandarle in costà. Di nuovo le bacio la mano, pregando Dio nostro Signore, che le doni felicità.
Dopo chiusa questa, io ricevo una di V.S. delli 11 decembre, la quale, senza poter leggere se non nelle parole chiare, mi costringe a fermarmi qui, e dirle che mi rimetto a scriverle il giorno seguente.
- Di Venezia, il 1 gennaio 1613.
- ↑ Edita come sopra, pag. 527.
- ↑ Il principe Lodovico e il duca Francesco Gonzaga, morti ambedue nel mese di dicembre del 1612. Vedi il Muratori, sotto quell’anno.
- ↑ I termini della questione insorta, e le conseguenze che per allora ne derivarono, sono abbastanza svolte dall’Annalista sopra citato, sotto l’anno 1613.
- ↑ Era quello il secolo, com’è ben noto, non solo delle controversie teologiche, ma delle questioni altresì che si chiamarono di precedenza!
- ↑ Abbiamo più volte qualificato per politico egregio il nostro Fra Paolo; nè queste parole son tali che della nostra opinione debbano farci ricredere.