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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
LI PERICOLI DER TEMPORALE
Santus Deo, Santusfòrtisi,1 che scrocchio!2
Serra, serra li vetri, Rosalia;
Ché, ssarv’oggnuno, viè una porcheria,3
Te sfraggne,4 nun zia mai,5 com’un pidocchio.
Puro6 lo sai quer c’aricconta zia
C’assuccesse a la nonna der facocchio,
C’arrivò un tòno e la pijjò in un occhio,
Che mmanco poté ddì ggesummaria.
E la sòscera7 morta de Sirvestra?
Stava affacciata; e cquella je disceva:
“Presto, chè ss’arifredda la minestra.„
E vvedenno8 che llei nun ze9 moveva,
L’aggnéde10 a stuzzicà ssu la finestra...
Cascò in cennere11 llì cco cquanto aveva!
13 gennaio 1835
- ↑ Sanctus Deus, Sanctus Fortis, etc.: trisagio angelico che si recita, segnandosi, al balenare, o allo scoppiar del tuono.
- ↑ Quasi croccamento: lo scoppio elettrico.
- ↑ Fulmine. La plebe ha ripugnanza di chiamarlo col suo nome.
- ↑ T’infrange.
- ↑ Non sia mai.
- ↑ Pure.
- ↑ Suocera.
- ↑ Vedendo.
- ↑ Non si.
- ↑ L’andò.
- ↑ Crede il nostro popolo che il fulmine passando presso una persona, la incenerisca, lasciandole nulladimeno tutte le forme del corpo e delle vesti, che si dissolvano poi al minimo urto.
Note
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