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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847
LI PRETI A DDIFENNE.1
Parlo latino? Té l’ho ddetto gglieri,2
E bbisogna che mmo tté l’aripeti?
A mmé nun me dì mmale de li preti;
4O ddiventamo du’ nimmichi veri.
Saranno paggnottanti,3 culattieri,
Ladri, canajja, e cquer che vvòi; ma cquieti:4
Noi nun dovémo entracce in sti segreti,
8E ttutti hanno da fà li su’ mestieri.
Senza tante raggione che mme porti,
Noi avemo da vede e stacce zitti,
11Amalli vivi, e rrispettalli morti.
Ciài da cavamme fòra antri delitti?
Ebbè, ssi vvanno co’ li colli storti,5
14Nun potranno portà li colli dritti.
Roma, 25 novembre 1832. |
- ↑ I preti a difendere, cioè: “I preti difesi.„
- ↑ Ieri.
- ↑ Parassiti.
- ↑ Imperativo, vale: “zit! silenzio!„
- ↑ Colli-torti: ipocriti.
Note
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