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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833
LI SCARDÍNI
Brungia!1 E cco cquella pelle de somaro,
Che sséguiti a ddormì ssi tte s’inchioda,
Fai tanto er dilicato? Ih, un freddo raro!
Nun ze trova ppiù un cane co’ la coda!
Ma ccazzo! Semo ar mese de ggennaro:
Che spereressi?2 de sentì la bbroda?3
L’inverno ha da fà ffreddo: e ttiell’a ccaro
Ch’er freddo intosta4 l’omo e ll’arissoda.5
E ss’hai ’r zangue de cìmiscia6 in der petto,
De ggiorno sce sò7 bbravi scardinoni
Da potette8 arrostì ccome un porchetto;
E dde notte sce sò ll’antri foconi
C’addoprava er re Ddàvide in ner letto
Pe’ ppijjà cco ’na fava du’ piccioni.9
Roma, 21 febbraio 1833
- ↑ Questa interiezione si adopera allorchè alcuno si pone in sullo squisito. Il vocabolo è così alterato sulla stessa alterazione volgare di bruggna (prugna) per imitare la ricercatezza o la pretensione del beffeggiato.
- ↑ Spereresti.
- ↑ Aria calda.
- ↑ Indurisce.
- ↑ Lo rassoda.
- ↑ Cimice.
- ↑ Ci sono.
- ↑ Poterti.
- ↑ Proverbio.
Note
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