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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
LI TEMPI DIVERZI
Nò, Zzinforiano mio, nun è ll’istesso.
Er vive1 allora sarà stato bbello;
Ma a sti tempi che cqui nnun è ppiù cquello,
Una vorta c’arriveno a st’accesso.2
Eh Zzinforiano, un pover’omo adesso
È l’affare medemo3 d’un aggnello
Tra le granfie4 der lupo: e ppe’ un capello5
V’attarfieno6 e vv’ammolleno7 un proscesso.
Er pane, è ccaro: er vino, un tant’a ggoccia:
La carne, Iddio ne guardi! e le gabbelle
Ve tiengheno8 pulita la saccoccia.
Co sto bber9 governà dde nova stampa
Che ne vonno de noi sino la pelle,
È un miracolo cqua ccome se campa.
10 aprile 1834
- ↑ Il vivere.
- ↑ Eccesso.
- ↑ È la cosa medesima.
- ↑ Artigli.
- ↑ Per un nonnulla.
- ↑ Vi prendono.
- ↑ Vi appiccano. Ammollare: lasciar lento, lasciare andar giù.
- ↑ Vi tengano.
- ↑ Bel.
Note
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