< Libro proibito
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Al dottor L. V.
Il mio epitaffio Scuola moderna


AL DOTTOR L. V.


Epistola in versi


Voi franco mi garrite, altri mi mormora
Dietro le spalle perchè sol di futili
Novellette, di ciancie e di bazzecole
O di lesti epigrammi io colmo il mignolo[1]
5Giornaluccio; nè mai d’Europa ai tumidi
Fati consento qualche breve pagina,
Nè mi invischio gracchiando alla polemica
Che oggidì più che mai ferve in Italia
Fra chi in alto è salito e chi si arrampica.
10«Passò quel tempo.» Anch’io nelle effemeridi
Da un soldo strimpellai guerra e politica,
E logoro il cervello e guasto il fegato
Mi ho nel vano armeggío. Non trova grazia
Lo schietto vero. Parteggiare, fremere,
15Al suon della gran cassa ampolle vacue
Lanciare al vento; reboänti e rancide
Frasi accozzando, inacidir la cronaca
Di sospetti, di oltraggi e di calunnie,
Diluïr telegrammi, imbrattar storie....
20Avventarsi.... strisciar.... leccare.... mordere...
Tale è il mestier — Direte: è mestier facile....

Pur (vedete, dottor, com’io fui tanghero!)
Nulla azzeccato ho mai — Italia, patria,
Ordine, libertà, fede ai principii,
25Democrazia — palle di gomma elastica
Pel cerretano giocator di bossolo — Serie
cose io credea. Modesto e ingenuo
Esposi il pensier mio; però dai circoli
Dei pusilli gaudenti ove si biascica
30La nenia eterna del quïeto vivere,
Nè dai cupi, frementi conciliaboli
Ove ringhian tribuni e arruffapopoli,
Il verbo io presi mai. Prostrarmi agli idoli
Non sèppi. Liberal, volli esser libero[2];
35E sì libero fui, che al breve svolgersi
Di quattro o cinque mesi, in abbominio
Venni ai rossi ed ai bianchi, e fu miracolo
Se n’uscii vivo — Bah! quelli gridavano:
Ei s’è fatto codino! alla politica
40Di Cavour tien bordone — E questi: «o scandalo!
Ei plaude a Garibaldi ed osa irridere
Qualche nostra Eccellenza!» — Mo! vedetelo!
Ripiglian quelli: il rattoppato e logoro
Abito ha smesso, ed anco ieri il rancio
45Pagò al trattor: fondi segreti — «Ei bazzica
Cogli scavezzacolli democratici,
Notan gli altri: badate! di repubblica
E socialismo puzzan le parentesi
Del testo scapigliato — Esser veridico
50E leal che mi valse? — Dai sinedrii
Onnipotenti fui reietto; incomodo
Collega a tutti, quei la man ritrassero
Dalla mia dubitosi; mi guardarono
Biechi gli altri ringhiando: al mercenario
55Scriba il gibbetto! Intanto si sciupavano
Per me gli anni più baldi in acri e sterili
Guerriglie di parole. Addio, fantastiche
Scorrerie del pensier! Gli estri languirono,
Morì la celia, ogni gentil tripudio
60Cessò. Giocondo novellier nei circoli
Più non mi assisi; si converse in rantolo
La gaia nota, e dentro l’interlinea
In gerghi irosi si disciolse il fegato.
Un dì, allo specchio mi guardai; di nivei
65Peli la barba, di due solchi lividi
Deforme il volto mi apparì. All’occipite
Stesi la mano, e delle dita il brivido
Intonsurata mi annunziò la cherica.
Gran che! «Alla fibra macerata i redditi
70Del prostituto inchiostro un di fien lauto
Compenso, e all’ossa dispolpate l’adipe
Rifiorirà.» Quei che così ringhiavano
Al mio garretto, oggi, impinguati e tronfii
Di ricchezze e poter, dall’alto irridono
75La nostra grulleria. Nè a torto ridono....
Ben io, pensando quali a me sovvennero
Fondi segreti, oggi crisparsi i visceri
Mi sento ancora. Le ipoteche rosero
Fin la casuccia ov’io sperava gli ultimi
80Miei giorni ricovrar..,. Narri il tipografo
La tetra istoria; questo sol rammemoro
Che la stoltezza di parlare e scrivere
L’abbominato vero, un dì sul lastrico
Mi gettò inebetito. — Eppur: che valsemi
85Vender case e poderi? Mi investirono
Con briaco furor mastini e botoli
Di fronte e a tergo; più rabbiosi a mordermi
Ruffiani, spie e ciurmadori in maschera
Da Catoni o da Bruti, che vedevansi
90Poi, nelle agapi oscene e nei postriboli,
I dì e le notti gavazzar coll’obolo
Smunto ai citrulli. Oggi, i citrulli godano
Le ben compre lautezze, e prestin gli omeri
Ai nuovi furbi che salir domandano
95L’albero di cuccagna! Alla politica
Ho detto addio. Merlo spennato, ai liberi
Miei monti ricovrai; di nuovo ossigene
Il polmon ritemprato, oggi dal vertice
Alla bassa cloäca io guardo, e zuffolo
100Allegramente. Che mi cal se chiaminsi
Sella, Minghetti, Visconti o Nicòtera
I rettori d’Italia? O se alla greppia
Dello Stato oggi rumini l’apostata
Che or fan sei mesi ancor fremea repubblica!
105Se il giocoliere, rimestando il bossolo,
La rubra palla destramente in lattea
Ciambella tramutò, non io sorprendermi
Oggi potrei. Plauda chi vuole o strepiti
Di rabbiose invettive, io so qual termine
110Avrà la farsa. Al sine cura, al ciondolo,
Al lauto appalto, al grasso impiego mirano
Quei che belan sommessi e quei che latrano.
Gli schietti e i buoni dalla mischia ignobile
Si ritraggon sdegnosi; e solitario
115Quegli ascende la balza e canta ai vertici
Le divine utopie; questi le libere
Idee fischiate dall’ottuso secolo
Fida nell’orto alle cipolle e ai rapani.
È il partito più saggio. Italia novera
120Settemila giornali ove colluviano
L’oscena feccia, il brago, ogni putredine
Della Reggia e del trivio. Ivi si abbeveri
E diguazzi a suo prò chi vuol nei colici
Flussi l’alma stemprarsi, o d’itterizia
125Morir consunto. — Dismorbiamo l’aëre.
Caro dottore, e intorno a noi si dissipi
Il reo miäsma che ne investe! Giovani
Ci rifarem. Schiudiam la casa ai lepidi
Amici; suoni di festose musiche
13011 salottino, e più chiassosi irrompano
I repressi cachinni. Ospite assidua
Fra noi respiri la gajezza; scoppino
Gli epigrammi, i bei motti, le facezie,
Gli aneddoti giocondi — e in noi riflettasi
135L’ilarità di tutti. Sulle pagine
Non ammorbate dalla rea politica
Gli odii e i rancor svaniscono, si appianano
I più tetri cipigli, e dell’innocuo
Lepor le donne amabilmente ridono.

Note

  1. Questi versi furono stampati nel Giornale Capriccio.
  2. Dovranno correre ancora molti anni prima che in Italia si comprenda che cosa significhi Libertà, quali diritti essa accordi, e quali doveri imponga ai singoli cittadini. Un saggio del come si intendano e si esercitino i diritti liberali nel nostro paese io l’ho dato anni sono nel breve scritto che amo qui riprodurre.
    LAMENTAZIONE
    DI UN LIBERO CITTADINO
    Il cielo era folto di nuvole. La pioggia cadeva a torrenti.... E in quella giornata (non ricordo se fosse di giugno o di luglio) sfolgorava, per la prima volta sulle pianure di Lombardia il sole della libertà. I cittadini che, allettati da quel sole allegorico, erano usciti senza ombrello, rientravano la sera cogli abiti inzuppati. Taluni, assaliti da atroci reumi, agonizzavano lietamente al suono delle fanfare piemontesi.
    * * *
    È inutile che io mi interrompa per sciorinarvi una professione di fede. Sono un liberale, un patriota — tale almeno ho supposto di essere fino al giorno in cui, per una fantasmagoria inesplicabile, ho dovuto convincermi che gli ex-commissari, le spie i poliziotti dell’Austria erano più liberali e più patrioti di me.
    * * *
    — Non è detto che tutti i buoni patrioti debbano anche esser ricchi. — In quella piovosa giornata, nella quale, come ho detto, il sole della libertà illuminava per la prima volta le aguglie del nostro Duomo, io possedeva due lire e pochi centesimi. Avevo pranzato solennemente colla metà del mio peculio. — coll’altra metà mi ero procacciata la festa di alternare dei brindisi all’Indipendenza d’Italia in compagnia di due bravi bersaglieri. Alla sera — rientrato nelle mie stanze — mi sovvenni di aver esaurito tutto l’olio della lucerna e — ciò ch’era più triste — di non possedere un baiocco per provvedermi d’altro lume. Mi coricai al buio. — Il sole della libertà non cessava di splendere sull’Italia — ma la mia camera, ve ne do parola, era oscura come la coscienza di un fornitore di armata.
    * * *
    Non importa — pensava io, ravvolgendomi fra le coltri — questo benedetto sole della libertà è pure comparso stamane — si può bene, per una notte, far a meno delle candele.... E non era la prima volta — ve lo confesso — che io mi trovassi a tal guaio.
    * * *
    Libero! — La voluttà di questa parola non può comprendersi se non da chi abbia avuto la sventura di nascere fra i ceppi.... Tale era nato io. — Non forzatemi a ripetervi i lunghi fremiti della mia travagliata giovinezza.... Ormai l’Italia è libera. Fremere in libero paese sarebbe un’eccentricità di pessimo gusto.
    * * *
    Una circostanza che mi preme accennarvi è questa — che nella primissima notte di libertà — al momento in cui la mia testa si cullava dolcemente sul guanciale e le mie gambe nuotavano voluttuosamente fra le coltri colla improvvida sicurezza di chi si sente emancipato da ogni tirannia — un grido.... molte grida... un frastuono di voci echeggiò nella strada.... Era un drappello di liberi cittadini, composto per la più parte di monelli e di beceri.... — un nobile frammento d’Italia libera,.- che inaugurava sotto le mie finestre quell’avventuroso sistema di liberalismo al quale io vo debitore di una epatite insanabile e di cento altri malanni.
    * * *
    Si gridava a squarciagola: fuori i lumi! Il palazzo di un ex-consigliere aulico, che sorgeva di fronte alla mia casa, zampillava di fuoco.... Nella via non rimanevano che tre sole finestre opache — tre finestre serrate sdegnosamente dalle griglie.... E quelle tre finestre — obbrobrio e sventura! — rispondevano al mio appartamento.
    * * *
    Fuori i lumi! fuori i lumi!! fuori i lumi!!! Dapprima erano grida — poi divennero ululati — da ultimo furono.... sassate. Sassate! — Si scagliavano sassate contro le griglie di un libero cittadino, perchè questo libero cittadino in quella prima notte di liberali entusiasmi, si trovava per avventura sprovveduto di candele! All’indomani, potete immaginare se io mi affrettai a procacciarmi, per qualunque prezzo, delle materie infiammabili. — E siccome nei primi cinque mesi di libertà, ai liberi cittadini di Milano vennero imposte, sotto comminatoria di lapidazione o di saccheggio, non meno di sessanta luminarie; così io — per queste dimostrazioni spontanee di liberalismo — venni a consumare circa sessanta pacchi di steariche e ad aggravare le mie passività economiche di un debito complessivo di oltre lire cento.
    * * *
    Non importa — dissi al droghiere, riponendo la nota nel portafogli — siamo liberi.... E ciò detto, uscii di casa e me ne andai a passeggiare sulla corsia.... Era una giornata di bel tempo — e la schiuma dei liberali — tutta gente di aspetto simpatico e di modi garbatissimi — si era schierata in processione e moveva non so a qual meta, traendosi dietro, sur una barella, il busto del generale Garibaldi. — Viva! Morte! Viva! — Abbasso! — Viva! — Morte!... Strinsi la schiena al muro — mi rizzai sulla punta de’ piedi. — La folla era tanto compatta, che il libero esercizio delle braccia mi era interdetto,... Gran mercè che in quel travaso di liberalismo popolare mi fosse permesso di respirare tratto tratto.... Al momento in cui il busto dell’eroe mi passò dappresso portato sulle spalle da quattro brentatori, io non potei dominare il mio entusiasmo — Viva Garibaldi! viva l’Italia libera! — gridai a tutta gola.... E in quell’istante medesimo, la libera mano di un libero cittadino menò sulla libera cupola del mio cilindro un colpo sì liberale — che io n’ebbi la vertigine e dubitai di.... esser morto. — Vi è mai accaduto di credervi morto?
    * * *
    Cos’era stato?... Lo seppi mezz’ora più tardi — allorquando un amabile farmacista, nella cui bottega mi ero ricoverato per medicarmi le contusioni del naso, ebbe a dirmi con molte circonlocuzioni che in ogni modo io aveva commesso una grave imprudenza. — Tenere il cappello in testa dinanzi al grande capitano della libertà! dinanzi a colui, il quale è, per così dire, l’incarnazione della idea liberale-umanitaria!... — Ma le mie mani.... ve lo giuro.... in quel momento non erano libere.... Tanto è vero.... — Il popolo non può ammettere tali scuse — rispose il farmacista col suo tono più cattedratico — e siccome le mani del popolo sono sempre libere.... così non dovete meravigliarvi se queste vi hanno ricordato molto opportunamente che in libero paese a tutti incombe l’obbligo di rispettare la libertà e chi la rappresenta....
    * * *
    Le teorie di quel libero farmacista mi parvero oscure; ma qualche cosa mi aiutava a chiarirle — il sovvenire del formidabile pugno in virtù del quale la cappa del mio cilindro era rimasta per alcuni minuti impiombata alle mie orecchie. Divenni mutolo e pensoso.... La parola libertà mi si affacciava notte e giorno allo spirito come un problema insolubile. E ritornando col pensiero ai tempi della schiavitù, io non poteva trattenermi dall’esclamare con accento sconfortato: «Eppure, a quell’epoca, nessuno ha mai lanciato dei sassi contro le mie griglie — nessuno si è mai preso l’arbitrio di sfondarmi il cappello con un pugno....» Queste riflessioni mi conducevano mio malgrado ad un nefando parallelo fra il così detto sole della libertà e la così detta ombra delle forche....
    * * *
    Una mattina (credo fosse domenica) esco di casa coll’anima alquanto rassicurata.... Getto uno sguardo sul cappello dei passanti, e veggo — strana sorpresa! — che a tutti i cappelli era affisso un cartellino stampato.... Che vorrà dire?... Si indovina tosto — la scritta è abbastanza visibile: Roma o morte. — Tutta gente che ha voglia di andar a Roma?... tutta gente che ha voglia di morire? Se tutti vanno a Roma — meno male — spedizione sicura — pensava io. Se tutti muoiono — quale disastro! In ogni modo, il cartellino mi sapeva di buffonata — io rideva sotto baffi — nè mi avvedeva — sconsigliato od ingenuo — che cento occhi di liberi cittadini mi saettavano di sbieco. E ditemi un po’ se non c’era da ridere ed anche da ghignare, all’occasione! Si vedevano, sotto l’enfatica iscrizione, luciccare sinistramente dei cappelli bernoccoluti, coll’ali contorte e bisunte — Tratto tratto, da quei cappelli sporgevano gli zigomatici di una spia, fatti lividi dal digiuno e dall’ira. Ed ecco appunto una spia — figura da patibolo — sbarrarmi il cammino presso la svolta di una strada — e gridare, additandomi alla folla: morte al reazionario!... è tempo di finirla con questa canaglia!... Che fare?.- Chinare il capo ai decreti della libertà e affiggere il cartellino buffonesco....
    * * *
    Fortunatamente quel cartellino non ebbe serie conseguenze — io non andai a Roma e.... sono ancor vivo. — Degli altri che lo portavano in quel giorno ignoro cosa sia avvenuto....Erano centomila all’incirca nella sola città di Milano — ed è probabile che qualcuno sia morto.
    * * *
    Ho narrato i primi episodi! di una triste Odissea — e vi fo grazia del resto, che sarebbe monotono.... Sono oramai dieci anni che il sole della libertà illumina di giorno e di notte — (di notte più che di giorno) — le nostre belle contrade. E la storia di questi dieci anni mi ha indotto nell’animo un mostruoso convincimento, del quale non amo discorrere.
    * * *
    L’altro dì — al momento in cui mi levavo il cappello per salutare una gentile signorina — un libero fumatore del terzo piano mi lanciò sulla fronte scoperta il superfluo della sua salivazione. — La si accomodi pure, libero cittadino! anzi.... la mi scusi tanto. Il fumatore, ripresa tra i labbri la pipa, mi guardava dall’alto in basso nell’attitudine calma e serena di chi abbia esercitato uno de’ suoi diritti più naturali e legittimi. Copriamoci per bene la faccia — turiamoci le narici — e in guardia dove si mettono i piedi! — La libertà è in continuo progresso; essa potrebbe piovere dalle finestre sotto forme svariatissime.
    * * *
    Frattanto — i liberi studenti fanno sciopero all’epoca degli esami.... I liberi scrittori si vanno emancipando dalla grammatica. I liberi industriali cercano sottrarsi al dispotismo della Banca fabbricando dei biglietti falsi.... I liberi impiegati trafugano le carte degli uffizî. I liberi cassieri viaggiano all’estero col superfluo dei fondi pubblici.... Le idee liberali marciano di galoppo.
    * * *
    Persona assai pratica di tali materie mi affermava, giorni sono, che l’Italia non ha goduto infino ad oggi che una mezza libertà.... La libertà vera, la libertà completa, l’avremo dall’oggi al domani, quando i progressisti si metteranno per davvero a fabbricarcela. In seguito a tale avviso ho preparato i miei bagagli.... — Tante grazie della libertà intera! La volete? vi cedo anche la mia porzione di mezza libertà che ho goduta fin qui. — Divertitevi, se potete!...
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