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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
LO SCALLASSEDIE
Già,1 pe’ ggodé cquarche ffiletto,2 mone3
Lui puro4 me viè attorno co’ la mucchia.5
Pe’ ddì lo disce c’ha bbona intenzione,
Ma a lo strigne li panni6 se la strucchia.7
Come me pò ppijjà cquer bigantone8
Si nun ha antr’arte che sbatte la scucchia,9
C’a cquer povero zio ch’è un bucalone10
Proprio je succhia l’anima je succhia?
Io je dico: “Ma ttrova cuarche ssanto:11
Chi ddorme, Toto mio, nun pijja pesce„;12
Ma llui d’udienza me ne dà ssai cuanto!
Mamma poi fiacca fiacca13 me se n’esce:14
“si è rrosa fiorirà„.12 Bbrava! Ma intanto
Magna cavallo mio che ll’erba cresce.12
30 gennaio 1832
- ↑ Sì certo.
- ↑ Utilità di favori.
- ↑ Adesso (mò).
- ↑ Pure.
- ↑ Co gli altri.
- ↑ Stringere i panni addosso, vale: “pressare„.
- ↑ Volge le spalle, si allontana.
- ↑ Sfaccendato, vagabondo.
- ↑ Sbattere la succhia (il mento): mangiare.
- ↑ Baccellone.
- ↑ Ingégnati, prendi aderenze.
- ↑ 12,0 12,1 12,2 Proverbi.
- ↑ Con flemmatica disinvoltura.
- ↑ Esce dicendo.
Note
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