< Macbeth (Shakespeare-Rusconi)
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William Shakespeare - Macbeth (1605-1608)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1858)
Atto quinto Giulio Cesare

NOTA

AL MACBETH


Ecco intorno al Macbeth come s’esprime uno dei migliori critici di Allemagna.

«..... ho già parlato, di volo, del Macbeth. E chi potrebbe esaurir l’elogio di questo sublime lavoro? Dopo le Eumenidi d’Eschilo, la poesia tragica non aveva prodotto niente di più grande, nè di più terribile. Le Streghe, a dir vero, non sono divinità infernali, nè tali debbono essere; sono vili agenti dell’inferno. Un poeta tedesco si è stranamente ingannato, quando volle dar loro la dignità tragica e ne fece esseri intermedii fra le Parche, le Furie e le Maghe, destinate a dare agli uomini avvertimenti e precetti. Ma non si può mettere sopra Shakspeare una mano temeraria, senza portar la pena di tanto ardimento: ciò ch’è perverso, è pur deforme di sua natura, ed è contradditorio il cercare di nobilitarlo. Parmi che in questo e Dante e Tasso abbiano colto nel segno più diritto, che Milton nella dipintura dei demonii. Che nel secolo di Elisabetta si credesse o no agli spiriti e alla magia, è questa una quistione totalmente separata dall’uso che fece Shakspeare nell’Amleto e nel Macbeth delle tradizioni popolari. Nessuna superstizione si è potuta conservare e diffondere per più secoli e fra popoli diversi, senza che avesse un fondamento nel cuore umano; e ad una tale disposizione si dirige il poeta. Egli evoca dagli abissi, in che si asconde, lo spavento dell’ignoto, il segreto presentimento d’una parte misteriosa della natura, d’un mondo invisibile intorno a noi. Vede pertanto la superstizione e come pittore e come filosofo; non già, a dir vero, come un filosofo che la disapprova e se ne ride, ma, ciò ch’è ben più raro infra gli uomini, come un pensatore il quale rimonta all’origine di tante opinioni, così sgradevoli a un tempo e così naturali; e la svela a’ nostri occhi. Se Shakspeare avesse arbitrariamente cambiato le tradizioni popolari, avrebbe perduto i privilegi ch’esse gli davano, e le sue più ingegnose invenzioni non sarebbero sembrate che novelle ideate a capriccio. Il modo con cui presenta le Streghe, ha un non so che di magico: egli crea per esse un linguaggio particolare, che, sebbene composto di elementi conosciuti, pare una mescolanza di formule da scongiuri. Le frequentissime rime e la singoiar misura de’ versi danno l’idea della sorda musica che accompagna le danze notturne di quegli esseri tenebrosi. Spiace di trovarvi i nomi di oggetti nauseanti; ma chi ha mai supposto che la magica caldaia fosse piena di gradevoli aromi? Ciò sarebbe, come dice il poeta, un voler che l’inferno desse buoni consigli. Que’ schifosi ingredienti, da cui rifugge l’immaginazione inorridita, son ivi il simbolo delle forze avverse che fermentano nel seno della natura; e il morale ribrezzo, che ne sentiamo, supera il disgusto de’ sensi. Le Streghe parlano fra di loro come donnicciuole, poichè tali debbono essere; ma il loro stile si solleva quando si rivolgono a Macbeth. Le profezie che pronunziano esse medesime, o che fan pronunziare ai fantasimi, hanno quella oscura brevità, quella solennità maestosa, che si trova in tutte le parole degli oracoli, e che sparse mai sempre il terrore fra i mortali. Si vede pure che quelle Lammie non sono che stromenti governati da spiriti invisibili, e che di per sè non si sarebbero potute innalzare all’alta sfera, da cui influiscono sopra avvenimenti non mena grandi che terribili. E perchè mai Shakspeare ha fatto lor sostenere nella sua tragedia la medesima parte ch’esse sostengono, secondo le antiche cronache, nell’istoria di Macbeth? Vien commesso un gran misfatto: un vecchio venerabile, il migliore dei re, Duncano, è trucidato nel sonno; e, ad onta delle sante leggi d’ospitalità, da uno de’ suoi sudditi colmato da esso di benefizi. Naturali motivi sarebbero sembrati troppo deboli a spiegare un’azione così fatta, od almeno sarebbe stato mestieri dipigner colui che la eseguisce come il più nero ed il più consumato malfattore. Shakspeare concepì un’idea sublime: ha mostrato un eroe pieno di grandezza, ma ambizioso, che soccombe ad una prova profondamente combinata dall’inferno; e che conserva il segno della primitiva nobiltà del suo animo in tutti gli eccessi a cui è trascinato dalle necessarie conseguenze del suo delitto. La morte di Duncano può essere appena attribuita a Macbeth; e ciò che v’ha di più odioso ricade sul capo degl’istigatori di quella orribile azione. La prima idea gli fu inspirata da quegli esseri, tutta l’attività de’ quali è diretta verso il male. Le Streghe sorprendono Macbeth nell’ebbrezza della gloria, dopo un combattimento in cui fu vittorioso. Esse fanno sfolgorare innanzi a’ suoi occhi, qual promessa del destino, l’immagine delle grandezze ch’egli non può conseguire se non per via d’un delitto; e danno autorità alle loro parole coll’immediato adempimento d’una prima predizione. Ben tosto si para innanzi l’occasione di uccidere il re; lady Macbeth scongiura il suo sposo di non lasciarla sfuggire. Ella adduce e propugna con calore tutti i motivi che possono colorire e nobilitare un tal misfatto; e Macbeth, fuor di sè, lo compie in uno stato di vaneggiamento. Ma il rimorso, di cui avea scorto l’orrore prima di così atroce delitto, invade il suo cuore tosto ch’ei l’ha commesso, nè più gli lascia alcun riposo nè giorno, nè notte. Nondimeno egli cade nei lacci dell’inferno: e con raccapriccio noi vediamo quel guerriero, che prima sfidava la morte, ora che ha messo a repentaglio la vita avvenire, attenersi con ansietà alla sua esistenza terrestre, e rovesciare spietatamente tutto ciò, che, secondo i suoi neri sospetti, lo minaccia di qualche pericolo. Se detestiamo i suoi antenati, non possiamo senza pietà riguardare lo stato dell’anima sua. Deploriamo la perdita delle sue nobili qualità; e nondimeno ammiriamo ancora nel modo ch’egli ricompera la vita, la tenzone d’una volontà coraggiosa contro una vile coscienza.

Sembra che il Destino degli antichi regni ancora in questa tragedia. In fino dalla prima scena vi si manifesta l’azione d’un potere soprannaturale; ed il primo avvenimento, a cui dà origine, trae seco inevitabilmente tutti gli altri. Qui stanno specialmente quegli oracoli ambigui, che adempiendosi letteralmente, ingannano chi lor s’affida. Nondimeno intenzioni più elevate di quelle del Paganesimo hanno inspirata quest’opera. Il poeta ha voluto mostrare, che se ha luogo sulla terra il conflitto del bene e del male, ciò non succede senza la permissione di una Provvidenza, la quale converte in benefizii universali la maledizione che pochi uomini hanno provocata sul loro capo.

Il poeta dispensa alla fine una giusta retribuzione a tutti i personaggi del suo dramma. La più colpevole dei complici del regicidio, lady Macbeth, cade in una malattia insanabile, cagionata da’ suoi rimorsi. Ella muore senz’essere compianta da suo marito, con tutti i segni della disperazione. Macbeth è giudicato ancor degno di soccombere della morte degli eroi sul campo di battaglia. Il prode Macduff, il liberatore della sua patria, ottiene in sorte la soddisfazione di punire di propria mano l’uccisore di sua moglie a de’ suoi figli. L’oggetto della gelosia di Macbeth, Banquo, espia con una pronta morte l’ambiziosa curiosità che lo indusse a voler conoscere un glorioso avvenire; ma siccome non s’è lasciato sedurre dalle insinuazioni delle Streghe, il suo nome è benedetto nella sua posterità, ed i suoi figli possederanno d’età in età quelli corona di coi Macbeth si è impadronito soltanto pel breve spazio del viver suo. Quanto al corso dell’azione, questa tragedia è assolutamente il contrario dell’Amleto: essa procede con terribile celerità dalla prima catastrofe (l’uccisione di Duncano) fino alla conchiusione; e tutti i disegni sono appena concepiti, che vengono recati ad atto.

In tutte le parti di questo ardito disegno si ravvisa un secolo vigoroso, un clima settentrionale che produce uomini di ferro. È difficile determinare esattamente la durata dell’azione: secondo la storia, comprende forse parecchi anni; ma sappiamo che il tempo più pieno d’avvenimenti è sempre il men lungo per l’immaginativa; e ciò che trovasi qui rinchiuso in breve intervallo, non pure riguardo agli avvenimenti esterni, ma relativamente allo stato morale dei personaggi, è veramente prodigioso.

E’ sembra che sieno stati tolti tutti gli ostacoli che ritardano l’immenso oriuolo del tempo, e che le sue ruote girino con ispaventevole rapidità. Nulla è paragonabile ad un tal quadro per eccitare il terrore. Si raccapriccia a ricordare l’uccisione di Duncano, il simulacro del pugnale che volteggia innanzi agli occhi di Macbeth, l’apparizione di Banquo nel convitto, l’arrivo notturno di lady Macbeth addormentata. Simili scene sono uniche; Shakspeare solo potè concepirne l’idea: e se più sovente si presentassero sulla scena, bisognerebbe mettere la testa di Medusa fra il numero degli attributi della Musa tragica».

(Schlegel, Corso di lett. dram.)

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