Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Traduzione dall'inglese di Ernesto Ragazzoni (1896)
1845
Questo testo fa parte della raccolta Edgar Allan Pöe




MADRIGALE




Fra le persone pietose che la vita sventurata di Edgardo Pöe confortarono di devozione e di amicizia, è degna di essere ricordata, fra tutte, la signora Francis Sargent Osgood, una poetessa gentile, una donna di cuore, sovra ogni cosa, e che ha lasciato qualche memoria interessante sul nostro poeta.

Pöe la conobbe nel 1845, poche settimane dopo la pubblicazione del Corvo, quando il poema faceva il suo giro trionfale negli Stati Uniti, e imitatori e commentatori pullulavano da ogni parte e l’ammirazione e la curiosità generale si arrestava per un momento innanzi a lui.

Da quell’epoca fino alla sua morte, essi furono amici, e la signora Osgood ebbe a scrivere: «Egli mi ha dato sempre prova di fedeltà e di devozione, prima che la sua ragione fosse rovesciata dal suo trono sovrano, e so pure che nelle sue ultime parole ho avuto la mia parte di ricordo».

Oltre al madrigale, che qui riportiamo tradotto, poesia piena di sentimento e di malinconia, Edgardo Pöe dedicò a Francis Sargent Osgood anche un lungo articolo nella sua rivista sui Literati of New-York; i versi A Valentine, ed una ottava leggiadrissima:

Vuoi essere amata? non volgere allora
     il pie’ dal sentiero che segui. Nel mondo
     se c’è qualche cosa che affascina ancora
     è un guardo siccome il tuo sguardo profondo;
     se ancora qualcosa gli spiriti culla
     è ciò che il tuo ingenuo cuore sa già:
     l’arcana tua via prosegui, fanciulla,
     e, omaggio dovuto, l’amor ti sarà.



A Frances Sargent Osgood



O amata, in fra la tenebra de’ guai
     che il mio sentiero avvolge insidïosa
     (triste sentiero — ohimè! ― dove non mai
     crebbe una rosa, una solinga rosa),
     l’anima mia si culla e si riposa
     sognandoti e nel sogno trova almeno
     un eden carezzevole e sereno.

Così la tua memoria è per me come
     un’isola incantata: chiusa in grembo
     ad un mar senza spiaggia e senza nome,
     l’onda la morde, la flagella il nembo
     e il nocchiero la fugge, e pure un lembo
     di cielo, azzurro, su lei sola, in giro
     le tesse una corona di zaffiro.

E. R.

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