Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1892

MEDAGLIA


DEL PORTO DI FANO



L’illustrazione di una medaglia già edita può ugualmente interessare quando contribuisca a conservare la memoria di persone e di cose che altrimenti resterebbero sepolte nell’oblio e porga occasione a raccogliere le sparse notizie che di esse rimangono.

Quegli che chiedesse ai buoni Fanesi di oggigiorno dove è, o per lo meno dove era il Porto Borghese del quale si riporta la figura nel rovescio della medaglia che mi propongo d’illustrare, sentirebbe rispondersi: non lo sappiamo. Se pure qualcuno non sarà messo sulla via dai pochi avanzi della loggia che serbano ancora gl’incavi dove a lettere di bronzo era scritto: PORTVS BORGHESIVS.

E toccò a noi, in tanto conto si tiene la memoria dei tempi e delle cose andate, toccò a noi pochi anni or sono vedere, a cura del così detto Genio Civile, restaurato barbaramente il parapetto della piazzetta de’ Marinai che forma l’attico della loggia sottoposta, sopprimendone la balaustrata e sostituendola con un muro ripieno che tolse non poco alla leggiadria dell’edifizio. E ciò non ostante i reclami dell’egregio amico Prof. Oreste Antognoni allora Ispettore degli scavi e monumenti che voleva fosse almeno conservata l’antica forma a quest’ultimo avanzo del porto Borghese, di questa fabbrica grandiosa dove i Fanesi di allora profusero somme ingenti, indebitandosi fino agli occhi, grazie alla indulgenza di Paolo V, Pontefice che legò la sua memoria a molte opere monumentali.


La necessità di avere un porto s’impose sempre e s’impone tuttora alla città di Fano. Posta com’è al punto dove la Via Flaminia, partendo da Roma, tocca l’Adriatico, essa ne è lo scalo naturale e ne costituisce la più pronta comunicazione col Levante e Venezia. Questa ragione che ora, mercè le ferrovie, ha perduto alquanto del suo valore, la prospettiva di vivi commerci, indussero il Comune a spendere largamente perchè le navi potessero avervi accesso facile e rifugio sicuro. Mancano notizie precise della esistenza di un porto all’epoca romana; però da un passo di Vitruvio1 si può dedurre che le navi potevano approdare facilmente a Fano come a Pesaro e ad Ancona. Gli storici locali2 lasciarono scritto che il porto chiamavasi Augusto perchè fu costruito allorquando Augusto recinse di nuove mura e adornò di splendidi edifizi la Colonia Giulia Fanestre. Dalle lapidi antiche3 sappiamo della esistenza nella Colonia Fanese del Collegio dei Dendrofori specialmente destinati a fornire i legnami e a risarcire le navi. Vi erano anche le corporazioni o collegi dei Centonari o fabbricanti di stoffe, dei lintiari o fabbricanti delle tele di lino, dei fabbri, e quello dei Mercuriali; quindi industria speciale marittima, e industrie e commerci vivissimi cui era certamente necessario un porto per potere importare ed esportare con facilità le materie prime e i manufatti. L’Amiani4 parla di un restauro fatto con considerabile spesa al porto di Augusto al tempo degli imperatori Graziano e Valentiniano. Non so donde egli abbia tratto questa notizia: la cosa però è verosimile, visto che sotto (quegli Imperatori fu restaurata la Via Flaminia5. Certamente un porto eravi e di non piccola importanza commerciale nel 952, poiché sappiamo che in quell’anno il Doge Veneto Candiano spedì a Fano sette navi cariche di merci sotto la condotta del proprio figliuolo che invece se ne fuggì con esse in Levante, cagionando tale dolore al Padre che ne mori di crepacuore6. Anche nel 1140 il Doge di Venezia Polano approdò a Fano con molte galere in aiuto della città minacciata dalla lega di Pesaro, Fossombrone e Senigallia appoggiata puro dai Ravennati7.

E, venendo a tempi meno remoti, troviamo infinite notizie relative a studi e speso fatto per restaurare il porto o fondarlo di nuovo in punti diversi.

Nel 1421 Pandolfo Malatesta impose una colletta per la costruzione del porto affidata a certo M. Giovanni Ingegnere8. Però nel 1466 il porto allora fatto era già reso inservibile e il 12 ottobre fu deliberato di costruirlo di nuovo all’Arzilla9. Tale costruzione venne intrapresa soltanto nel 1476 alli 8 di agosto. Nel 1477 i lavori furono visitati da un tal Jacomo Ingegnere da Chioggia e proseguirono fino al 1481; furono poi ripresi nel 1486 e 1488. Ma la conformazione della spiaggia rendeva e rende tuttora difficile il mantenervi un porto qualsiasi quando questi non abbia una difesa che valga ad arrestare i detriti e le ghiaie rotolate dal Metauro che i venti di Levante spingono incessantemente ad interrirne la bocca10. Questa difficoltà volle risolversi in modi diversi e a seconda del parere di uomini sia pure insigni nell’idraulica, ma che male potevano acconciare le loro teoriche alla realtà delle cose, mentre una soluzione forse la si sarebbe avuta e la si potrebbe avere raccogliendo il tesoro di osservazioni fatte dai pratici e aiutando la natura invece di porle ostacoli inutili. Dalle somme ingenti finora spese nelle varie costruzioni del porto si sarebbe potuto ottenere come risultato la formazione di un seno semi-naturale che potrebbe porgere sufficiente sicurezza alle navi. Il fatto sta che anche il porto costruito all’Arzilla con gravissima spesa, magna impensa, come lasciò scritto Antonio Costanzi che fu uno dei soprastanti a detta fabbrica11, nel 1491 era reso presso che inservibile, tanto che in detto anno si fecero nuovi lavori più vicino alla città e nel 1495 il Consiglio generale deliberava alli 24 di agosto di condurre al porto l’acqua del Metauro per mezzo di una grandiosa condottura sotterranea che venne cominciata a costruire a circa quattordici chilometri dalla città e che esiste tutt’ora, servendo a portare l’acqua al molino della Sacca e venne chiamata la Traforata. Tale opera non venne proseguita perchè la spesa sarebbe stata addirittura enorme: e così nel 1497 si facevano ancora dei lavori all’Arzilla.

Nel 1556 Pietro Cilla da Venezia, architetto chiamato dal Consiglio fin dal 1553, fece un progetto di Porto e vennero quindi Sabba Martino da Quintavalle e il fratello di Aluvigi architetti a riconoscere i siti per procedere al nuovo lavoro. Intanto per provvedere ai mezzi il Comune aumentava l’imbottato e si faceva prestare denaro e legnami dall’amministrazione della Pia Azienda del Ponte. Il 30 di Giugno il Comune fece celebrare un officio di messe nella Chiesa di S. Salvatore per propiziarsi Iddio, essendosi in quel giorno cominciato il lavoro del Porto e il taglio dei pali nella Selva del Ponte: il 7 di settembre dopo un’altra messa solenne al Duomo, cui assistè il Magistrato e il Consiglio, si diè principio a porre i pali all’Arzilla. Ma l’aiuto divino invocato colle solenni cerimonie ecclesiastiche mancò anco a questa nuova fabbrica che in breve ebbe la sorte delle altre.

Quindi nuovi progetti, nuovi studi, e istanze alla Corte Romana. Il Cardinale Rusticucci Fanese tanto si adoprò che fece incaricare nel 1591 Lorio Lori architetto della Camera di Roma di fare un nuovo progetto e si tolse l’impegno di ottenere dal Papa noi 1595 la facoltà di spendere in tale opera venticinquemila scudi: ma lo preoccupazioni destate dal male contagioso che imperversava in Lombardia fecero rimettere la cosa ad altro tempo12.

Quando Clemente VIII, che era nato a Fano, passò nel 1598 dalla sua patria per recarsi a Ferrara non mancarono i rappresentanti del Comune di palesargli a il solito desiderio o l’antica inclinazione della città di porre mano alla fabbrica del Porto13. Egli accolse l’istanza incaricando Don Mario Farnese di riferirgli in proposito, e, siccome il referto fu favorevole, destinò per architetto il celebre Giovanni Fontana. Ma non doveva toccare al pontificato di Clemente VIII la gloria o la sventura, come meglio aggrada, di far gettar via al pubblico di Fano parecchie decine di migliaia di scudi nella fabbrica del porto e le ragioni le riporterò colle parole stesse dello storico Amiani: "Nel mentre, che meditavasi l’incominciamento del Porto, comparvero ordini di Roma al nostro Consiglio trasmessi con lettera di Maffeo o Matteo Barberini Chierico di Camera, colle quali s’incaricava di por mano alla fabbrica del Baluardo, altre volte disegnata fuori la porta di S. Leonardo, per cui spedivasi a questa volta l’architetto Giovanni Fontana da Ferrara. Ma, o fosse la mancanza del denaro, o fosse la sopraggiunta disgrazia della peste, che nella Lombardia faceva grande strage, per cui i Magistrati dovettero attendere con assidui provvedimenti e con guardie a spendere il denaro per la salvezza della città, non fu in quest’anno (1600) né l’una, né l’altra di quest’opere pubbliche incominciata. Tanto più si raffreddarono i vogliosi del porto a por mano a quell’opera, perchè fattosi il ripartimento della guerra da Roma intrapresa per ricuperare il Ducato di Ferrara, toccarono a Fano milleduecento scudi da pagarsi in capo all’anno al Tesoriere della Marca; oltredichè in tale occasione si vide ciò, che in casi simili nascer suole nelle città; la diversità de’ pareri tra i cittadini, i quali tutto giorno nuove idee rappresentavano intorno al Porto n’impedì appunto l’esecuzione: una parte di essi per una lettera scritta al Consiglio da Cesare Porta, il quale spacciavasi architetto della Corte Imperiale, desiderava il Porto all’imboccatura del fiume Arzilla. Al contrario Roma col parere degli Ingegneri romani comandava, che si fabbricasse vicino alla città, anzi sotto la Rocca, e questo sentimento era il più accetto al Pubblico: con tali dispareri il Consiglio finalmente rivoltossi all’esercizio delle opere pie"14. E così invece del porto fabbricaronsi chiese e conventi!


Con questa rapidissima rassegna siam giunti all’epoca nella quale cominciò ad incarnarsi l’idea del Porto che col nome di Borghese, doveva poi costruirsi. Per qualche anno il pubblico Fanese fu distolto dall’occuparsi del porto senza però perderlo di vista; di modo che quando nel 1610 una forte inondazione distrusse i molini, il Comune, che ne ritraeva largo utile, si accinse a fare un canale o Vallato che conducesse l’acqua del Metauro fino in città pel servizio dei molini da rifarsi e per introdurla nel nuovo porto. Nel 1612 lo scavo del canale era quasi compiuto, ma essendovi dei dubbi sulla giusta sua livellazione e sulla possibilità che le acque vi scorressero, fu inviato a Fano Girolamo Rainaldi da Ferrara15 architetto del Popolo Romano coll’incarico di eseguire la livellazione del Vallato, di architettare i nuovi molini e sopratutto di occuparsi del porto. L’invio di questo architetto, al quale si deve il progetto e la costruzione del Porto Borghese, si ottenne ad istanza di Galeotto Uffreducci da Fano, cameriere segreto del Papa.

Ho nominato Galeotto Uffreducci che ha parte principalissima in questo negozio del porto e credo opportuno dirne qualcosa.

Nacque egli nel 156G in Fano da Giuseppe Uffreducci discendente dalla nobile famiglia omonima che ebbe già la signoria di Fermo. Fu col Nunzio Pontificio in Francia e coll’ambasciatore Veneto a Costantinopoli: poscia entrò nella casa del Cardinale Borghese, che poi divenne Papa col nome di Paolo V. Da questo fu fatto cameriere segreto e Canonico di S. Maria Maggiore e tenuto caro sommamente tanto che ne ottenne molti favori e privilegi pel suo paese natale. L’ab. Evaristo Francolini raccolse alcune notizie intorno all’Uffreducci16 senza però accennare affatto alla sua maggiore benemerenza verso la patria, quella cioè di avere ottenuta la costruzione del porto. Giova qui ricordare una curiosa leggenda tramandataci dal Gasparoli17. Quando l’Uffreducci trovavasi a Costantinopoli un "Indovino arabo gli predisse che un cardinale, il di cui Arme era composto di un drago e di un’aquila, doveva esser Papa e far lui grande di ricchezza e di dignità: onde considerando che questi poteva essere il Cardinale Borghese pose ogni sua industria per entrare nella di lui corte, come gli sortì felicemente."

L’Uffreducci istituì sei benefizi nella Cattedrale di Fano dove una iscrizione commemorativa posta sotto il suo ritratto a cura del nipote Giuseppe ne ricorda la vita e le larghezze. Morì nel 1643 e fu sepolto a Roma in S. Maria Maggiore, dove pure lo ricorda una iscrizione18.

Nel carteggio conservato nell’Archivio Comunale di Fano mancano disgraziatamente le lettere dell’Uffreducci dalle quali avremmo potuto trarre molte notizie e certamente di non poco interesse. In compenso, per una combinazione fortunata vi si trovano due volumi di lettere originali indirizzategli dal Comune con molti documenti e varie annotazioni di suo pugno e qui ebbi a spigolare largamente come si vedrà19.



Dissi che il Rinaldi o Rainaldi fu inviato a Fano per la interposizione dell’Uffreducci: infatti appena giuntovi egli scrive all’Uffreducci rendendogli conto delle accoglienze fattegli dal Magistrato, della visita fatta al Vallato dove "di già passa dentro l’acqua" e soggiungendo:

«Circa al Porto ho visto un sito tanto bello che paro che la natura l’habbia fatto per un teatro da edificarvi il Porto, dove vi ho disegniate un uovo capace e sicuro et con fondo in maniera che vi potranno entrare anco lo Galere bisogniando, et saria di tanto utile non solo a questa Città, ma ancora da qui fino a Roma perchè la strada Flaminia dà decapo qui: bora sto facendo le piante et il scannaglio della spesa e subito che sarrò a Roma verrò da Lei a dargli conto del tutto....»

A tergo di questa lettera datata li 27 maggio 1612 l’Uffreducci annota:

«Lessi questa lettera a N. S. che ne senti gusto grande et mi disse sentiamo prima la relazione del Architetto et poi ordinaremo che si facci il porto.»

Ed egli non perdette tempo, ma scrisse subito al Magistrato di proporre in Consiglio la costruzione del porto suggerendo di denominarlo Porto Borghese a fine d’ingraziarsi maggiormente il Pontefice. Il Consiglio prese tale deliberazione li 7 di giugno con grandi acclamazioni essendo sorti in piedi tutti i Consiglieri gridanti: placet, placet20. Il 16 di giugno la Comunità inviò all’Uffreducci il disegno del porto ed egli a tergo annota:

«La Città mi manda li disegni del porto del Braccioli e quello dei molini da farsi nella Città del Rainaldi.... mi manda anche il disegno del Porto di Gir.mo Rainaldi et dice ch’io debba impetrare da N. S. le tre gratie per fare il Porto; ma io otterrò quello che il magistrato mai pensò per maggior beneficio della Patria.»

Con successiva lettera del 29 luglio la Comunità gli scrive circa le varianti arrecate alla località e al disegno del porto e anche qui apprendiamo da un’annotazione dell’Uffreducci che "il parere fu di N. S. et del Card. Serra che il Porto si facesse sotto le mura acciò il mosclietto lo potesse guardare."

E finalmente il 4 di agosto egli scrive al Magistrato una lettera per dire che ha superato tutti gli ostacoli e quindi il Porto può considerarsi come cosa fatta. Riproduco la lettera nella sua integrità perchè da essa apprendiamo ciò che si chiedeva e come fece l’Uffreducci ad ottenerlo21:

«Te Deum laudamus, faranno cantare con una process.ne gen.le, et con una Messa solenne pro gratiar. actione con campane, trombe, tamburi et tiri d’artiglieria; et la sera per una volta tanto li soliti fuochi nella Piazza per una tanta gr.a ottenuta dalla S. di N. S.re che la nostra Città possi fare il Porto con li assignam.ti che al suo luogo dirò. Io quando considero, che la Patria nostra haverà tra pochi mesi un Porto, trasecolo, et per allegrezza non capisco in me med.mo Venerdì informai in persona..... et doi Prelati della Congr.ne che mi restavano d’informare; et per assicurare tanto maggiormente il neg.o procurai che nella Congreg.ne si disse la proposta di trovare il modo da fare il Porto a Tano già deliberato nella Cong.ne de Cam.li che si facci con particip.ne et consenso di N. S.: fu discorso lungam.te et variam.te et in fine fu concluso, che la Cam.ra Ap.lica non haveva il modo da farlo né conveniva per ciò agravare Io stato. Ma qn.do si lesse poi il Mem.le in nome della n.ra Città esibendosi di farlo lei tutta la Cong.ne concorse a dare la comodità, et a farci tutte le gratie adimandate nel Mem.le che sono la Panetteria, il denaro decorso per gli Utensili de’ Corsi, et quella portione che ci tocca applicata al pagam.to de frutti delli 32/m scudi che in altra man.ra non potevamo mai liberarci, et in q.sto modo non haveremo che fare con la Provincia della Marca: Havemo doi emolum.ti del Archivio et della foglietta et ritornaremo il pub.co n.ro P.rone delle tratte ciò è delli 17 bol.ni per rubbio. Si computeranno tutti q.sti utili et q.l che mancherà poi per compim.to delli 1700 sc. per li frutti delli 32/m sc. haveremo da N. S.re tanta tratta delli grani della n.ra Com.tà. Per l’estintione una proroga di 32 anni sopra il dan.ro della fabrica. In questo modo la n.ra Città non viene agravata né nel q.no della carne né in cosa nissuna ma reintegrata di quel c’haveva perso. Se da prin.pio havessimo offerto alli Cam.li di volere fare noi il Porto, il neg.to non caminava cosi, che ci haverebbono dato le leggi a modo loro. Intendo che l’Iustrom. si facci tra il n.ro pub.co et il Rainaldi acciò in ogni tempo la Città n.ra possi mostrare il suo D.nio.

«Mandarano adunque una facoltà libera in pers.na del Signor Amb.,re Signor Agente et mia per poter fare tutto q.llo bisognerà: Daranno conto a N. S.re dell’allegrezza fatta et lo ringratiarano di così bella gr.a, il med.mo faranno con l’Ill.mi B(orghese), e Serra come anco col Sig. Santarelli degno di ogni gran dimostrazione: Il Sig. Amb.re si è portato valorosam.te con molta diligenza et con grand.mo affetto, et il med.mo ha fatto il n.ro S.r Agente22

. . . . . . . .


«Si come il Porto sarà d’utile et di rip.ne al pub.co et al privato n.ro, così ciascheduno deverebbe fare allegrezza in casa sua con mettere i lumi alle finestre et faro aparire la Città n.ra tutta gioconda et risplendente: La Cong.ne dopo haver aprovato et concesso qn.to si è adimandato ha voluto per tanto maggiorm.te favorire la Città n.ra rimettere l’essecuzioue et ogni altra cosa nella persona del S. Card.le Serra per il carico che tiene di Thes.re Gen.le per poter fare passare li chirografi da N. S. et come quello c’ha portato q.to neg.o dal pr.pio che sono hormai tre anni insino al fine. Laus Deo et li bacio le mani che il Signore Iddio li feliciti. Di Roma alli 4 d’Agosto 1612.

«D. VV. SS.rie M.to Ill.ri

Umill.mo Servo
«Galeotto Uffreducci».

La notizia portata da questa lettera fu accolta in paese con giubilo grandissimo e il Consiglio votò l’erezione di una statua di bronzo a Paolo V. Giacomo Rinalducci, che era già stato ambasciatore del Comune a Roma, così ne scriveva all’Uffreducci li 9 agosto23:

«. . . . non so dirle altro se non il gusto ch’ha sentito la Città tutta della rissolutione del porto con l’aiuto per trovare il denaro et ogniuno fa a gara di lodare la bontà et benignità di N. Sig.e di così segnalata gratia et in conseguenza l’amore di V. S. R.ma verso la sua patria, che di questo negotio è stato il primo motore et l’ha ridotto con molta patientia nel termine che si trova al p.nte. Papa Clemente ch’era nato in questa città ch’era in obligo di fare qualche servitio di rilievo, non fece niente rispetto a quello ch’ha fatto Paolo V in diverse occasioni, et con questa g.ra del porto ha obbligato di maniera tutti che ne terranno perpetua memoria....» «Questi mercanti di Pesaro sono in gran scattura (?) per la rissolutione del porto, et di già molti cominciano a pensare a’ casi loro et di trasmigrare a questa volta: questi giorni adietro s’è fatto un gran scaricare di pali per il porto di Pesaro. Qui si fa un novo magazzino di legname da un tal Vignola mercante ricco con dispiacere dei paesani. Hoggi ho inteso che s’è preso in affitto la casa per il Rinaldi che è quella di Paolo del Theologo altre volte del sig. Pompilio Cuppis....»



Lo cose erano spinte con tutta rapidità, le difficoltà finanziarie più gravi erano rimosse, le due Congregazioni dei Camerali e del Buon governo avevano dato voto favorevole, ma l’Uffreducci non aveva finito il suo compito perchè altre difficoltà ed opposizioni per parte delle città vicine e specialmente di Ancona, sorsero ad ostacolare l’impresa.

E da prima comparve uno scritto di Tarquinio Pinauro Pinaoro Anconitano di cui una copia manoscritta trovasi tra le lettere indirizzate all’Uffreducci. È intitolato: Parere di Tarquinio Pinaoro Anconitano - scritto - a Mons. Negusanti Referendario Apostolico - per il Porto e traffico mercantile disegnato farsi nella - Città di Fano sua patria, - e porta la sottoscrizione: Di casa in Roma li xvii di ottobre 1612. Con questo suo parere il Pinaoro cerca di dimostrare l’inutilità e il danno della costruzione di un porto a Fano. Perchè dirigesse questo scritto a Cristoforo Negusanti24 Ponente di Consulta e Referendario apostolico è ignoto. Il fatto è che il Pubblico Fanese ricorse subito, 4 novembe 1612, all’Uffreducci che al solito fa questa annotazione a tergo della lettera:

«La Città mi scrive della scrittura fatta dal Pinauro Anconitano che mi diede da sudare perchè oltre le buone ragioni sue apparentissime era fomentata da p.sona c’haveria polso: con tutto ciò superai ogni cosa ed altre difficoltà che non voglio dire, né meno l’ho scritto mai al Mag.to.»

La persona c’haveria polso si sussurrava fosse il Duca d’Urbino che vedeva di mal occhio la costruzione di un porto a Fano a scapito di quello di Pesaro. Appena queste voci giunsero all’orecchio del Duca egli scrisse a un consigliere Emilio, che non so chi sia, una lettera per giustificarsi di questo dubbio. Questa lettera originale trovasi nel carteggio dell’Uffreducci e credo opportuno riprodurla perchè sommamente onorifica per l’Uffreducci stesso della cui benevolenza sembra fosse desideroso il Duca25:

«IL DUCA D'URBINO


«Molto Mag.co dilett.mo n.ro. Si è inteso che in Fano si va assai pubblic.te dicendo che alcune scritture uscite fuori per dissuadere la fabbrica di quel porto sono state fatte d’ord.e o almeno con saputa n.ra, il che n’è dispiaciuto infinitam.te parendoci che si voglia dipingere per persona interessata chi con q.ste vie cerchi d’impedire gli utili d’altri, e partic.te quelli di q.lla Città, il cui benef.o è desiderato da noi come il proprio n.ro. Per tanto vogliamo che siate con l’abbate Uffreducci dell’amorevolezza del quale sappiamo quanto posiamo prometterci, con dirli che se havesse inteso cosa alcuna del soprad.o si assicuri sopra la parola n.ra esser falsiss.o poiché desideriamo infinitam.te che il desid." e la speranza di quei cittadini habbia intiero effetto se bene dubitiamo assai del contrario, essendo q.l sito tale, che per simili cose sarebbe necess.o di pensare a i moli perfetti, la spesa de’ quali si sa dove ascenda, ma a questo tocca di pensare ad altri. A noi dispiace di non poterceli aiutare con le cose di qua come faressimo se non havessimo per le mani il rifacim.to del Porto di Pesaro come sapete, a che ci troviamo non per molta speranza, che ci sia di far cosa buona; ma per non lasciar mem.a che nei di n.ri sia affatto andato in rovina e che non habbiamo procurato di lasciarlo almeno come fu lasciato a noi: Tutto questo direte all’abb.e acciò se n’havesse sentito parlare nel modo toccato da principio sappia la pura verità; et sentendone parlar di nuovo ne faccia cortesia d’affermare ciò che da noi se ne dice, che affermarà il vero, e si prevaglia di noi come può liberam.te fare: State sauo. Di Castel d.te a 10 di Nov.e 1612

«V.ro. Fran.co M. II.

fuori

«Al molto mag.co dilett.mo n.ro Il Cons.re

«Emilio.

«Roma».

Non ostante questa lettera l’Uffreducci consigliò il Comune a inviare due ambasciatori al Duca per dimostrargli che il porto a Fano non era una novità e questi ne riportarono altra lettera piena di benevolenza.

Ma non finirono qui le difficoltà. Ancona non poteva rassegnarsi a vedere costruito a Fano un porto che poteva toglierle qualcosa e giocò l’ultima carta toccando un tasto sensibile assai per la corte romana e per tutti in genere i governi, quello fiscale e finanziario.

«Mons. Lancilotto» (è l’Uffreducci che scrive questo dietro alla copia del Memoriale che consegnò egli stesso al Papa) Gov.re di Ancona scrisse come fece anche la Città a N. S. che il Porto di Fano darebbe danno alle dogane di quella Città et già li doganieri cominciavano a parlare di diffalchi: queste lettere havevano messo sossopra tutto il negotio per l’interesse della Camera Apostolica c’ha li assegnamenti d’Ancona per il Monte Pio ricuperato et per altri monti ancora: ond’io mi riscisi dare il presente memoriale a N. S. che lo lesse tutto in mia presenza nelle stanze di Giulio 2° in Belvedere dove era andato dopo pranzo: piacque tanto il mem.le a S. B.ne che di suo pugno fece il rescritto al Card.le Serra: et insomma q.to mem.le è stato causa che si è fatto il Porto a Fano. Laus Deo.»

Il Memoriale veramente non è un capolavoro, ma siccome ribatte bene le ragioni accampate contro la nuova fabbrica e, o bene o male scritto, raggiunse lo scopo per cui fu redatto, giustizia vuole che lo si riproduca:

«Beat.mo P.re,

«La Città di Fano desidera far il Porto per introdurre un poco di neg.o per benef.o di quella gioventù otiosa, et per assicurarsi dalli contrabandi che ne segue la liberat.e da’ Comm.ri sopra i fraudi che rovinano la povera contadinesca che se ne fuggi poi in altri stati lasciando inculte le possessioni con danno notabilissimo de’ privati. Non intende la d.a Città di ricever altri vascelli che quelli che ricevono li porti di Senigaglia et di Pesaro dove hoggi fanno scala tutte le mercanzie che vengono da Venetia a Roma per esser luogo più vicino in quel mare Adriatico a Roma, da Fano in poi, ch’è il più vicino di tutti gl’altri luoghi, et per fuggire ancora il pericolo di 50 miglia di mare che sono da Pesaro in Ancona, che in un hora si leva la fortuna in quel mare. Il Porto di Fano non darà mai danno a quello d’Ancona di un quattrino ne per le mercantie che si caricano a Venetia per Roma nè per quelle che vengono di Levanta et in spetie di Ragusi. Se si carica alle volte a Venezia qualche mercantia per Ancona è per servitio di Ancona territorio et della Marca solamente, et in questo caso ancora il Porto di Fano non darà mai danno a quello d’Ancona, quale si non viene danneggiato da quello di Sinigaglia più vicino 15 miglia di quello di Fano, eccettuatone li contrabandi de’ grani, molto meno lo danneggia a Fano. Se la S.ta V.ra vorrà certificarsi di questa verità potrà ordinare che si mandi alla Dogana, che si pigli informatione da’ mercanti che fanno venir roba di Venetia et dalli mulatieri che giungono ogni ora in Roma che delli 100 li 90 vengono da Pesaro con mercantie di Venetia et passano con li muli carichi sotto le mura di Fano. D’Ancona a Roma si paga maggior condutta che non si fa da Pesaro a Roma et meno si pagarà da Fano a Roma. Le mercantie di Levante faranno sempre scala in Ancona et per la bontà del Porto capace di ricever navi et altri vascelli grossi et per trovarsi Ancona prima di Fano si che il Porto Borghese non incommoderà né danneggiarà mai quello d’Ancona d’un quattrino. Insomma il Porto di Fano tanto danneggiarà il Porto d’Ancona come fa hoggi quello di Pesaro come è stato benissimo considerato dalle Sacre Cong.re de’ Cam.li et de bone Reg.ne Et in caso che per fortuna o altro accidente capitasse nel Porto Borghese Vascello di Levante la Città di Fano sia tenuta di dire al p.rone del Vascello che se il carico è per Ancona debba andare a fare la sua scala in quella Città. Quando non si facesse il Porto a Fano sarebbe grandissimo danno di quella Città c’ha speso per condur l’acqua del Metaro 17/m. scudi la qual spesa sarebbe stata frustatriva inutile et dannosa perchè non comportava fare una tanta spesa per li molini solamente.

«17 novembre 1612.

«Galeotto Uffreducci».


Letto questo memoriale il Papa di suo pugno vi scrisse: "Al Card. Serra perchè ne parli con N. S. al quale pare che la città di Fano abbia levato ogni difficoltà." E dopo questo rescritto non eravi luogo a dubitare ulteriormente che il Porto non si sarebbe fatto. Era troppo chiara ed esplicita la volontà del Sovrano perchè altri si attentasse a fare nuove osservazioni. Con tutto ciò qualche accenno ad altre ostilità più o meno velate lo troviamo nelle preziose annotazioni che l’Uffreducci faceva sulle lettere a lui dirette. A tergo di una lettera del Comune delli 16 dicembre 1612 scrive:

«La Città loda che io non habbia contradetto nella Congregazione alli architetti. Il ripiego c’havevo acciò si facesse in tutti i modi il Porto a Fano era la parola ferma havuta dal S.r Roberto Primo Dep.rio et Thes.re Sec.to di N. S. che voleva fare tutta la spesa di sua borsa et voleva godere per 20 anni il Porto, o vero che la Città lo rimborsasse un tanto l’anno contentandosi per li frutti l’utile del Porto detrattone quel ch’oggi cava la Città dalli suoi datii et gabelle, et mai lo scrissi a Fano., né meno ne parlai con persona vivente.»

E a tergo di altra lettera del 28 dicembre:

«Il Bargoni non approvava il Porto por il med.mo interesse accennato da me nel 2° libro (che manca) et dimostrava moversi per benef.o dela Camera, ma li messi al pelo il Maderni che lo chiarì benissimo in tutto due lo sessioni fatte inanzi al al S.r Card.le Serra che voleva v’intervenissi io sempre: la causa non voglio dire per rispetto di N. S.re che me l’ha prohibito.»

Poi venne qualche dissenso col capitano Pandolfo Carrara mandato Ambasciatore dal Pubblico di Fano a Roma perchè pareva all’Uffreducci che egli tirasse le cose in lungo per aver agio di stare a Roma a spese del a povero pubblico" per sbrigare i negozi suoi particolari. Il fatto sta che l’istromento col quale venne appaltata l’intera costruzione del porto all’architetto Rinaldi fu stipolato li 16 gennaio 1613 e il 25 stesso mese fa stipolato l’altro istromento col quale si contraeva, un debito di 32 luoghi del Monte delle Comunità per la fabbrica stessa26.

Subito dopo il Rinaldi si portò a Fano e pose mano ai lavori.


Ai deputati e al Comune impazienti e solleciti di veder compiuto il porto pareva che i lavori andassero assai per le lunghe e ne fecero sovente lamento a Roma al Cardinale Serra. Ai primi di luglio i lavori erano soltanto od appena iniziati a detta del Comune e il Rinaldi a sua giustificazione indirizzò al Cardinale una lettera lunghissima che si conserva nel carteggio del porto27. Questo documento è ricco di notizie curiose e interessanti e vai la pena di riprodurlo anche per la sua originalità:

Ill.mo et R.mo S.re et P.ron mio Col.,mo

«Ho ricevuto una lettera di V. S. Ill.ma nella quale mi scrivo che l’opera del Porto dorme et che da un poco di cavamento in fuora del resto sta come quando io mi partii di costì et che li SS.ri Deputati si dolgono che non si lavori. In risposta darrò ragguaglio a V. S. Ill.ma del tutto e vedrà che non si dorme. Il cavamento è fatto, tutto spianato al paro dell’acqua con maggior profondità di quello che si era presupposto, et non solo si è trovata l’acqua al piano del mare, ma tre palmi prima. Quanto al far delle provisioni, se io havesse speso a conto della Città haverrei concluso subbito il tutto, a qual si voglia prezzo, ma perchè va a conto mio mi bisogna assottigliare la borsa, et questa opera non è in Roma che in doi giorni si trovarla tutto quello che si vele, fu poi risoluto di mandarmi tanto tardo che in così poco tempo non si è possuto far tutte le provisioni. Questi SS.ri sono usati a fabricare un paro di stanze, et quando hanno fatto provisione d’una fossa di calce et una cotta de mattoni hanno fatto ogni cosa, ed il simile si pensano che si possa fare di questo Porto. Ma V. S. Ill.ma si assicuri che finirò l’opera nel tempo promesso, perchè condotte che sono le materie subbito si pongono in opera et non vi sono agetti né lavori di stucco, ma solo muri massicci. Delle provisioni sono fatte l’infra.tte: et p.a fatto fare a Ravenna un instrom.to da scolare l’acqua dalli fondamenti, et ordinatone un’altro; un partito di 300 carri di calcina dieci miglia lontano, et doi altri partiti quindici miglia lontano, et di già si è condotta al porto una gran fossa piena, et se ne va cocendo dell’altra; si sono appaltati tutti li mattoni che bisognano et già ne sono cotti doi fornaci e si vanno cocendo delli altri quali sono viciniss.mi al porto et nisi tempo da ponerli in opera li farò condurre p.chè di presente m’impediria il luogho delle provisione: ho comprato quantità d’arbori e fattone far travi, tavoli et travicelli da far ponti p. li fondamenti, et si son fatte doi grande cappanne p. li operarli, et queste cose non si trovano a comprare alli magazzini; et hanno pur veduto che sono doi mesi che dentro e fuori della mia Gasa non si fa altro che segare e squadrare legni. Ho fatto condurre da Rimini tutti li picconi, pale, mazzo et altri ferram.ti p. tutto il bisognio. Subbito che venne la resolicione che si ponga in opera la pietra del monte Soriano sott’acqua, ho appaltata tutta la pietrara la megliore, et si cava et si conduce. Ho anco stabilito con li scarpellini il prezzo della scarpellatura et si lavora et se ne fatta una mostra di tre file al porto quale riesce belliss.ma Et ogni prencipio ha delle difficoltà e massime a questa pietra qual si conduce p. una calata tanto erta, che li bovi non vi possono resistere et ho supplicato li vicini et fattili pregare dalli SS.ri Deputati che mi diano un passo p. un stradello nella lor possessione con pagargli quanto volevano, et non s’è possuto far niente et uno de’ SS.ri Deputati mi ha detto che non ci pensi et che io facci fare delle sliscie di modo che m’è bisognato a mie spese far accomodare la d.ta calata con mazze di ferro et altro con molta fatica et ho anco fatte le d.te sliscie altrim.ti li bovi non possevauo condurre la d.ta pietra, et a tutte queste cose ci ha voluto del tempo. Di più havevo di necessità di doi barche p. doi giorni p. piantare quattro pali in mare et ne pregai li padroni con pagargli quanto volevano, mi hanno tenuto un pezzo in parola che me le haveriano prestate, et p.chè lo barche erano del proprio del Grillo et deli parenti, insoma li SS.ri Deputati me intimorno un decreto fatto nella loro congregaz.ne che io dovesse provedermi di barche a Pesaro o a Senigaglia et io feci subbito l’ubedientia ma non si è possuto far niente, et sapevano benissimo loro che dal Stato di S. A. non si puoi sperare un sospiro p. servitio del Porto di Fano, et gli dissi che il simile credo che loro farriano p. il porto di Pesaro, et uno di loro mi rispose che farriano ogni cortesia p. servizio di S. A., ma intanto p. servizio di N. S. et p. loro proprio interesse non si è possuto haver niente con li denari di modo che mi è bisognato far fare una barca a Ravenna et in tutte le cose mi bisogna far cosi. Il p. giorno che arrivai a Fano mi vennero incontro trombe et tamburri, et mi furono offerti da tutti li miracoli, e poi la va così. Mi diedero una casa che all’incontro vi erano tre frolloni di fornari, et sotto un ferrare, et incontro alla camera la stalla della posta con le montagne di stabio, con le sboccate parole delli vetturini tre hore avanti giorno, et a capo del mio letto un muro sottile dove vi era attaccata la sinagoga delli Hebrei. Ho fatto tante volte instanza d’un altra casa et mai è stato ordine, et so ho voluta altra casa mi ha bisognato con infiniti stenti sborsar del mio sc. 70 e pigliar una casa tra li christiani a ragione di sc. 50 di questa moneta, et mi hanno detto di restituirmi quanto pagavano p. quell’altra casa ma non si è mai visto niente, come anco del farmi esente dala macina del grano per gli operarli, mi fecero scrivere a V. S. Ill.ma che haverriano data soddisfatione et non ho veduto niente. Hora V. S. Ill.ma consideri se mi fanno venir voglia di starci volentieri. Quanto alli pali havevo fatto il partito delli zappini ma li SS.ri Deputati mi dissero risolutam.te che non ci volevano altro che la Rovere et li capitoli non mi sforzano a questo. Hora che si sono piantati li pali per saggio è subbito comparso uno homo da Cingoli molto tempo desiderato et portato da molti di Fano, et non so p.chè, al quale gli diedi la nota delli pali acciò in essa mi desse l’adimandita del prezzo. Li SS.ri Deputati fecero subb.to una Congregai.ne et mi chiamorno, dove mi dissero che era venuto quest’homo et offeriva bona robba e haveria fatto buon partito, et io gli risposi che mi piaceva ma che ancora non mi haveva data la risposta alla mia domanda, loro mi dissero che l’haveva data et uno di essi me ne mostrò la copia, dove che a me parve cosa strana che altri havessero da fare li fatti della mia borsa senza che io ne sappia niente. Et l’offerta era di sc. 2 di pavoli il palo condotti a fiumicino et altri cinque ne dimandava un altro della portatura sino a Fano, et li voleva consegniarne una parte a 7bre 1614 et il resto a 7bre 1615 di maniera che erano 6 mesi dapoi il mio tempo, et io gli resposi che il prezzo e il tempo non facevano p. me et non si fece altro. Li SS.ri Deputati trattorno tra di loro che il mercante deputi per suo homo uno che trattava per lui, et p. me si deputasse uno delli SS.ri Deputati et quel che essi dichiaravano io ci dovesse stare, et mi vennero subito a trovar tre di loro con proporrne questo partito, et che il mercante se ne contentava, et io gli resposi che non ne volevo far niente et gli offersi undici baiocchi il piede che di tanto havevo fatto partito delli zappini. Et p.chè non ho accettato il partito loro, si partirono desgustati et gli soggiunsi che poiché loro volevano fare il partito mi sgravassero dalli Capitoli la partita delli pali e poi gli pigliassero a che prezzo volevano. Hora questa medema nota delli pali l’ho mandata a Venetia, in Schiavonia, a Ferrara, in tre luoghi della Marca, in Ancona et in Regnio, nelli quali luoghi ho tenuto correspondenze, et chi me farà meglior partito a quello strengerò, et se non havesse trattato in più luoghi haverrei fatto errore a attaccarme col primo, et non fuggie l’hora poiché delli pali non ven’è quella prescia che vi è nelli muri che hanno da far presa, ma il palo subbito piantato ha fatta la sua presa, et in tre mesi e mezzo al più si pongono tutti in opera. L’altre monitione s’attendono a condurre al Porto da più bande, et se non mi fossero legate le mani nelli capitoli che nel raccolto e nelle vendemmie potesse comandare all’opere, si farria più, et quelli pochi che vengono bisognia haverli con gran preghiere; ma passati questi giorni si darrà dentro et p.chè l’opera venghi megliore di quanti ne sono in questo golfo, sono andato a Venetia p. finire di vedere tutti li porti e trattare per pali, ferramenti et instromenti da cavar sott’acqua, et in sette giorni mi sono spedito et tra tanto l’opera è andata avanti p.chè vi ho lasciato mio fr.llo a sollecitarla il quale l’ho levato da Ferrara dove era soprastante alla fortezza acciò assista a quest’opera. Et se di quanto ho scritto V. S. Ill.ma vorrà chiarirsi si è il vero la supp.co (sen’è servita) di mandare questa medema lettera alli SS.ri Deputati che da essi sentirà se vi è cosa in contrario. Però V. S. Ill.ma non deffidi di me p.chè ho più fretta io de ritornare a Roma che li fanesi de veder fenito il porto, et si assicuri che in tutto quello che mi sono obbligato, voglio che in ogni cosa vi si trovi avvantaggio, et p. fine la supp.co a escusarmi della lungha diceria di questa littera ma p. disingannare V. S. Ill.ma d’ogni cosa che gli è stato scritto, non potevo scrivere manco; così che prego il S.r Dio che conceda a V. S. Ill.ma ogni contento et a me pacientia con tanti SS.ri Deputati.

«Di Fano li 11 Luglio 1613.

«Di V. S. Ill.ma et R.ma


humiliss.mo et obbligatiss.mo ser.r
«Hieronimo Rainaldi.»



Non tutte le cose dette dal Rinaldi erano completamente vere. Il cavamento del porto, ad esempio, non poteva essere già fatto, dal momento che soltanto ai 20 di novembre del 1613 uscì il seguente editto relativo al suo cavamento.

«Douendosi finire il cauamento del Porto Borghese, che si fa di nuouo in terra ferma nella Città di Fano, vna parte da cauarsi sopra acqua e d’altra sotto, e in oltre da cauarsi dentro il mare tra le palificate sotto acqua; si notifica a tutti quelli che voranno attendere a detto cauamento, che si vogliano ritrouare per tutto li venticinque di Decembre prossimo a Fano, doue dall’Architetto di detto Porto gli sarà mostrato il tutto; E chi farà meglior partito gli resterà la ditta opera, dando però sigurtà idonea.

«Dat. in Fano, li 20 Novembre 1643.»

La stampa di questo editto e l’intaglio dello stemma del Cardinal Serra fatto da un Maestro Antonio orefice costarono scudi uno e novantacinque baiocchi28. Tra parentesi osservo che questo intaglio non è certo un gran bel lavoro. Comunque il Rinaldi si giustificasse pel momento, non riuscì meno vera l’accusa d’imperizia poi che egli si accinse alla costruzione di un porto senza tener conto delle circostanze e condizioni di cose che potevano rendere inservibile l’opera sua come di fatto a poca distanza di tempo la resero. Artisticamente, prospetticamente e tecnicamente anche se vuolsi, astrazion fatta dalle circostanze di cui non si tenne conto, il porto era bello e poteva soddisfare le giuste esigenze del Pubblico che si era impegnato in una spesa soverchiante di tanto le proprie forze.

Per dare un’idea della figura e dimensioni del porto costruito dal Rinaldi ne riporterò la descrizione datane da un contemporaneo, Pietro Negosanti nel suo: Compendio dell’Historie della Città di Fano29:

«.... hora stando sotto il felicissimo Pontificato della Santità di N. Sig.re Papa Paolo V gode (la città di Fano) sicura et tranquilla pace et in questa trauquillità ha ottenuto per gratia speciale da questo S.mo Pontefice licenza et facoltà di poter edificare un nuovo porto a perpetua memoria di Sua Beat.ne con titolo di Porto Borghese, di meravigliosa bellezza in forma ovata circondato di grosse et ben fondate mura sino alla riva del mare, con sua debita et proporzionata scarpa, di lunghezza di canne 108 e di larghezza di canne 18 1/2 con due grossissime e fortissime palificate in mare che si congiungono con dette mura e s’estendono fora in mare circa 70 canne traversando tanto la drittura del canale del porto sin che lo copra dalle fortune del mare voltando la lor bocca a tutta tramontana e parte di maestro, dove si è trovato nelle maggiori secche d’estate palmi 12 d’acqua et col moderno fondo si è cavato tutto il porto. Sopra le dette muraglie vi ha uno scalone di pietra d’Istria per commodità dello sbarco delle mercanzie et a canto a esso, palmi doi e mezzo più elevati, vi è pure intorno un stradone larghissimo silicato di mattoni in cortello per condutta di dette mercantie alli vascelli nel quale vi sono compartite buon numero di colonnette della medesima pietra d’Istria per legarvi i vascelli che sono in porto; dopo il quale stradone vi è una bella cortina di muraglia fatta a scarpa per tenere il terrapieno che vi sta a torno che con l’altezza dell’altra muraglia sudetta ascende all’altezza di palmi 30 et per mantenere il dotto fondo tanto nel Porto quanto nella sua bocca vi si è condotto un ramo del fiume Metauro, dopo che ha servito alli molini dentro la Città si fa gonfiare indietro con gran raccolta et etiandio con palmi sedici di caduta dentro di tre chiaviconi viene a sboccare per essi con tanta furia in detto Porto o Canale al paro del fondo di essi che vengano a mantenere sempre escavato il detto fondo; et la detta acqua so gli dà per via di Sarracinesche mentre viene chiara et quando li venti da terra mandano il moto del mare in fuori che essendosi fatto il fondo di detto Porto e Canale con il declivo verso il mare tanto più detta acqua va con velocità.

«Fuori delle mura di detto Porto lontano da esso palmi venti vi è edificata una stanza dove vi sgorgano vene d’acqua dolcissime chiare e fresche le quali si alzano et calano secondo il flusso e reflusso di quelle dd Porto: et quest’acqua si è raccolta assieme per servitio di far acqua per li vascelli per esser vene che non mancano mai.

«Di più per commodità del commercio di detto Porto si è fatta al capo di esso alla strada Flaminia una logia di doi navate al pari di detto Porto; con cinque archi di facciata et sopra a essa vi sta una grandissima piazza unita con detta strada con una balaustrata per parrapetto verso il Porto acciò tutti li passeggieri da detta piazza che soprastà di vista a tutto il Porto lo possino godere tutto in una occhiata; et per calare a detta loggia vi sono doi scale a cordone amplissime a semicircolo; vi sono ancora a torno a esso porto repartite quattro altre scale doi a cordone e doi a scalini, dalle quali si cala pure a detto Porto; et al suddetto canale del porto dalla parte di ponente vi è il scalo da poter tirar fuori li Vascelli che hanno bisogno d’accomodamenti; atorno poi al detto terrapieno vi sono strade doni larghissimi per commodità di carrozze, et per condurre dal Porto alla Città tutte le mercantie.

«Il detto Porto non ha dentro di esso fiume che gli possa far pianara con travagliargli li vascelli che vi stanno dentro, ne anco far corrente alla bocca che gli renda difficile l’ingresso a essi vascelli, però si giudica che sarà un porto sicurissimo da pigliar con ogni facilità la sua bocca et ò quieto dentro come un stagno et non solo sarà diffeso dalle fortune del mare ma anco dalli venti per essere esso circondato da muri e terrapieni si alti a torno, come si è detto.

«Quanto al suo commercio si spera sarà di molto concorso per essere non solo delle sudette qualità ma anco per essere il sito dove è il diritto della scala di Roma, Umbria, parte della Marca e Toscana.

«E tutto col disegno et construttione di Geronimo Rainaldi Romano Architetto dell’inclito Popolo Romano in spatio d’anni quattro in cinque . . . . .»

Il Rinaldi doveva consegnare il porto costruito nel termine di due anni e invece ci badò quattro o cinque anni, come dice il Negosanti e come appare dai reclami fatti alla Corte Romana dal Comune di Fano perchè l’architetto non si atteneva ai patti stipulati. Soltanto agli 8 settembre 1616 il porto fu aperto e primo ad entrarvi fu Paron Vincenzo Moreri da Chioggia. Il Consiglio eresse una Chiesa30 in onore della Vergine per ringraziar Dio del completamento del porto e qualche anno dopo fece causa all’architetto perchè il porto veniva interrito.

La spesa raggiunse i 50 mila scudi, somma davvero ingente per quei tempi e per un piccolo paese come Fano. Tenuto conto del costo dei materiali e della mano d’opera, equivale a più di 400 mila lire di nostra moneta31, spesa che il Comune di Fano oggi non solo non potrebbe fare, ma nemmeno pensarci. Eppure quei buoni vecchi coll’idea di giovare al paese e di chiamarlo quasi a nuova vita non si peritarono di farla, disgraziatamente con successo non pari all’ardimento.

Il porto ad ogni modo si fece e non è fuori di luogo averne conservata e divulgata la memoria insieme alla medaglia che finora lo ricordava a pochissimi.



Come vedemmo, nel primo slancio di gratitudine entusiasta, i Fanesi avevano votata l’erezione di una statua di bronzo a Paolo V: l’idea generosa sbollì di fronte alle difficoltà prosastiche ma inesorabili della finanza e si ridusse a più modeste proporzioni. Anche qui l’Uffreducci soccorse alla mancanza d’idee (non di buona volontà) dei reggitori della pubblica cosa, suggerendo loro di far coniare una medaglia da gettarsi nelle fondamenta del nuovo manufatto. E infatti li 16 febbraio 1613 il Consiglio generale ringraziando l’Uffreducci del suo suggerimento delibera di far coniare una medaglia da gettarsi nelle fondamenta del porto prout fieri solet in similibus edificiis pubblicis a perpetua memoria del pontefice Paolo V, dandone l’incarico al predetto abbate Uffreducci e rimettendosi al giudizio e prudenza dello stesso circa alla qualità, al modo, alla forma e al numero,

L’Uffreducci commise subito l’opera al Sanquirico, che era uno dei migliori incisori del suo tempo, e chiese al Rinaldi il disegno del porto per poterlo riprodurre nel rovescio. Egli glielo inviò con lettera del 11 marzo 1613 raccomandandosi: "che lo faccia persona che distingua bene il tutto et cerchi di fare che ne siano a ordine che

per il prencipio d’Aprile si possino inviare qua, perchè avanti che passi fuora tutto il d.o mese d’aprile voglio con l’aiuto del S.re Dio mettere la p.a pietra . . . . "

La premura del Rinaldi era proprio fuori di luogo perchè, come vedremo, la prima pietra fu posta un anno più tardi.

Ai 13 di giugno il Comune ringrazia l’Uffreducci della notizia datagli che la forma della medaglia era compiuta od era riuscita di soddisfazione del Papa.

Ed eccoci alla quistione finanziaria. Il Comune, che votava allegramente spese colossali come quella del porto e quella di una statua in bronzo, all’atto pratico si trovava imbarazzato per trovare i pochi scudi necessari a pagare la medaglia. E alli 7 di luglio, nello scrivere all’Uffreducci che mandi quanto prima le medaglie perchè si sta per dar principio ai fondamenti, soggiunge:

«. . . . per questo effetto basterà che siano di puro metallo senza inargentarle. Dell’altre poi da donarsi a S. S. et altri ci riportiamo alla prudenza sua se le parerà di farle inargentare o no, non restando però di dirle in q.to proposito che (p. quanto ci dice il S.r Rainaldi Architetto) il Popolo Romano med.o nella fabbrica fatta ultimam.te ha donato a N. S. le medaglie di bronzo schietto et da S. S. è stato assai commendato questo modo. Che quando a Lei così paresse sarebbe di molto risparmio all’erario del nostro povero pubblico grandemente esausto.»

Pei denari necessari il Consiglio il giorno stesso aveva autorizzato i signori Priori a valersi di 27 scudi lucrati nella vendita dei luoghi di Monte avuti pel porto e a prelevare il resto dal fondo delle spese straordinarie. Intanto il Comune pregava l’Uffreducci a significargli a quanto ascenderebbe la spesa totale. L’Uffreducci a mezzo di Antonio Negosanti fece sapere che la spesa ascendeva a quaranta scudi, ma che non si potevano per ora toccare i 27 scudi sui quali si faceva conto e il Comune di rimando pregava l’Uffreducci a "non voler abbandonare per questo l’impresa ma seguitarla alegramente, che hora che si sa la quantità della spesa non mancaremo procurare di trovar modo di havere il denaro o rimetterlo quanto prima sarà possibile." E infatti il 22 agosto il Depositario del Comune pagò a Giuseppe Uffreducci quaranta scudi perchè li trasmettesse allo zio Galeotto, ciò che egli fece poco tempo dopo. Intanto il Comune si raccomandava che le medaglie venissero spedite subito per "gittarle in quel poco di fondamento che si sta per fare per prova."

Le medaglie arrivarono finalmente il 21 novembre e il Magistrato Comunale ne scrisse all’Uffreducci cosi:

«Mentre eravamo in Consiglio aspettando il numero, il S.r Giuseppe ci ha mandato la scattola con le medaglie e con quella occasione le habbiamo fatto vedere a tutti i consiglieri che v’erano, che è stata cosa di molto gusto. Ne ringraziamo infinitamente l’amorevolezza di V. S. R.ma et non mancaremo distribuirle secondo l’avviso suo.»

Qui la mancanza delle lettere dell’Uffreducci è proprio da lamentarsi, perchè avremmo potuto sapere il numero preciso degli esemplari e quindi il loro costo e la distribuzione che ne venne fatta; se ve ne furono in oro e in argento o soltanto dorate e inargentate. Le notizie locali portano a credere, come vedremo, che ve ne fosse qualcuna di argento, ma non sono certo pervenute fino a noi, mentre una dorata appartenente alla Collezione Hirsch di Monaco fu venduta a Milano nel 188832.


La medaglia riprodotta in testa a questo articolo da un bellissimo esemplare originale della mia collezione ha un diametro di 58 millimetri. Al dritto evvi il busto del pontefice con camauro e mozzetta volto a destra con la leggenda circolare: PAVLVS • V • BVRGHESIVS • RO • PONT • MAX • A • D • MDCXIII • P • IX • Sotto il busto, a caratteri piccoli, il nome dell’artista: pavl . sanqvir . Al rovescio è riprodotto il disegno avolo d’uccello della darsena e del canale d’accesso che sbocca sul mare: sul davanti o campo inferiore della medaglia è disegnato una porta con bastioni accennante alle mura della città. La leggenda circolare è: PORTV • BVRGHESIO • A • FVNDAMEN • EXTRVCTO • Nel campo superiore in due linee il nome della città, COL • IVL • FANESTRIS •

Altro esemplare simile a questo si conserva nell’Archivio Municipale di Fano: quello della Collezione Hirsch citato di sopra era pure identico e identica è la descrizione che ne dà l’Amiani33.

Il Venuti34 invece descrive due medaglie che diversificano alquanto. La prima ha il busto del Pontefice a capo nudo con piviale: la leggenda del dritto e la leggenda e rappresentazione del rovescio sono identiche a quelle descritto. L’altra ha il busto del Pontefice col camauro come nel nostro; la leggenda invece è: PAVLVS V • BVRGHESIVS • ROM • PONT • MAX • AN • IX • Nel rovescio evvi il diseguo del porto senza le mura: la leggenda circolare è: COLONIA • IVLIA • FANESTRIS • e nel campo: PORTVS • BVRGHESIVS •

Anche il diametro di queste due medaglie non corriponderebbo perchè il Venuti le assegna al suo modulo 2 che è di 64 millimetri: ciò forse dipende dal non aver moduli intermedi tra il 2 ed il 3 che è di 51 millimetri. Sarebbe invece interessante conoscere se il disegno del porto di questa seconda medaglia sia uguale a quello da me riprodotto.

Il disegno, come vedemmo, fu dato dal Rinaldi stesso fin dai principi del lavoro ed esso non riproduce che le linee generali e rudimentali dell’opera. Da ciò si deduce che tutti i miglioramenti, e specialmente la loggia, furono introdotti in seguito a completare l’idea primitiva più desta e semplice. Infatti se la loggia era in progetto, sarebbe stato naturale di farla figurare nella medaglia dove avrebbe fatto assai buon effetto contribuendo a dare all’insieme un aspetto grandioso e monumentale.

Pochissime rappresentazioni grafiche, o per meglio dire nessuna dettagliata e precisa è giunta insino a noi dell’opera del Rinaldi per giudicare se il rovescio della medaglia la riproduce esattamente. Tuttavia in una stampa raffigurante


la Città di Fano, che io possiedo e che non so a qual libro abbia appartenuto35 e che dovrebbe rimontare ai primi anni del secolo scorso, c’è la veduta del porto che somiglia molto al disegno della medaglia e ho quindi creduto opportuno riprodurla. Attualmente poi del Porto Borghese non resta, come dicevo in principio di questo articolo, che la loggia ora chiusa e adibita ad uso di magazzeno. La darsena venne ristretta per dar luogo al porto e al canale costruito nel primo quarto del secolo scorso. Sulla fronte della Loggia sonvi gli stemmi di Paolo V, del Cardinale Borghese e del Cardinale Serra. Sul fregio a grandi caratteri sta scritto: PORTVS BORGHESIVS. I due pilastri di mezzo hanno sul capitello, quello a destra, lo stemma di Mons. Cuccino Grovernatore di Fano e l’iscrizione: M. A. Cuccinus, Romanus, ut. S. R. Guber.; quello a sinistra, l’arma del Comune e la scritta: Senatus Populusque Fanester.

Nell’intorno della loggia havvi un altro stemma di Paolo l’e una iscrizione che ricorda il completamento del Porto nel 161936.


La cerimonia della posizione della prima pietra tante volte annunziata come imminente non ebbe luogo che il 31 maggio 1614. Questo ritardo mi fa credere che non si trattasse più della prima pietra del porto ma bensì della loggia. E questo è confermato dal Gasparoli37 il quale, riportando l’iscrizione incisa in una lamina di piombo posta nei fondamenti, dice:

«Nelli fondamenti del porto, cioè sotto il secondo pilone dalla parte della Città fu sepolta una cassetta con diverse medaglie d’argento e di bronzo, alcune delle quali dorate, coll’effigie di Paolo V  e dall’altra il disegno della Darsena che fu fatta in quel tempo (ma del 17.... nel riattam.to delhi Darsena non fu rinvenuta la d.a cassa, se pure non fosse nascosta) et una lastra di piombo con questa iscrizione.» Il secondo pilone non può essere che quello della loggia perchè il porto era circondato di mura e non di archi: è vero altresì che era impossibile che nel riattamento della darsena si avessero a trovare le medaglie poste sotto la loggia. Ma il buon Gasparoli nella smania di raccogliere notizie non badava tanto a collegarle logicamente tra di loro e non si preoccupava di qualche piccola contradizione.

Come dissi più sopra, dalle parole dell’Amiani38,’ e da quelle del Gasparoli pare assodato che qualcuna delle medaglie fosse in argento. Quanto alla cassetta in cui furono riposte dallo stesso registro, ove vedemmo annotata la spesa di stampa dell’editto, apprendiamo che si spese uno scudo per 4 pezzi di pietra d’Istria lavorata da mettere le medaglie. Da ciò possiamo dedurre che la prima pietra era fatta di 4 pezzi di pietra entro ai quali furono poste le medaglie e la lastra di piombo.

Dobbiamo esser grati al Gasparoli di averci conservata la iscrizione di questa, che qui riporto, perchè ci dà la relazione della cerimonia che dal nostro storico39 viene descritta come imponente: D. O. M. Paulo V. Burghesio Pont. opt. Max. sedente, Thomas Lapius Florentinus Epis Fanen. assistentibus Laureto Murtano Spoletino Ref. Apos. Gubernatore, Livio Ponticolo Forolivien. praetore, Mutio Rainaldutio Gonfalonerio, Hyeronimo Gambetello, Antonio Raynaldutio, Paterniano Passaro, Josepho Uffreduccio Prioribus, Petro Dominico Constantio, Nolfo Nolfio, Pandulfo Carrario, Castruccio Castracani et Vincentio Bertotio praefectis, ae Hyeronimo Rainaldo Architecto, Portus Borghesii primum lapidem demore benedictum, praecedentibus, pubblicis ad Deum praecibus, in fundamento posuit. Anno D. MDCXIIII.

A chi si voglia raffigurare alla mento lo spettacolo di questa cerimonia, esso deve apparire sicuramente grandioso. Dopo le solenni preci e la Messa con scelta musica celebrata al Duomo tutto il clero co’ suoi più ricchi paludamenti, il Magistrato del Comune con i severi costumi di cui abbiamo ancora i campioni nell’Archivio Comunale, col pittoresco corteggio dei donzelli, famigli e trombetti nelle loro assise smaglianti; i consiglieri ossia tutti i nobili di Fano vestiti collo sfarzo del seicento, il Governatore anch’esso col corteggio dei suoi famigliari e bargelli, il Pretore o Giudice, le milizie cittadine e immensa folla di popolo si recarono processionalmente al nuovo porto dove il Vescovo pose la prima pietra nelle fondamenta tra il rombo delle artiglierie della fortezza, il suono dei sacri bronzi, lo squillar delle trombe e l’applauso degli astanti ai quali tutti sorrideva quasi il miraggio di una vita novella di prosperità dal lavoro che si intraprendeva con auspici così solenni. Nel fondo del quadro campeggiano le colline fanesi "popolate di case e d’uliveti" e dorate dal sole fecondo di maggio....

E fermiamoci qui, che purtroppo il più bello del Porto Borghese fa questa cerimonia alla quale tennero dietro le più amare disillusioni. Di essa restò la memoria negli scritti e nella tradizione, mentre del porto non rimase che un debito ingente che fu pagato con continui e gravi sacrifìci.

Riandando queste memorie, che pur qualcosa ci serbano di glorie passate, chissà non sorga nella mente dei presenti il desiderio di rivolgersi ad opere le quali tornino a vantaggio del paese che, pur troppo da allora ad oggi, ha ancora perduto molto del suo splendore e della sua ricchezza.

Giuseppe Castellani.

  1. Architettura, Lib. 2.
  2. Nolfi Vincenzo, Delle notizie istoriche della Città di Fano, ms. nell’Archivio Comunale. — Negosanti Pietro, Compendio dell’Historie della Città di Fano, ms. nell’Archivio sudd. — Amiani Piermaria, Memorie istoriche della Città di Fano. Fano, Giuseppe Leonardi 1751.
  3. Gasparoli Francesco, Li marmi eruditi di Fano raccolti e descritti, ms. di mia proprietà. — Amiani, T. II, appendice.
  4. Tomo I, pag. 43.
  5. Billi Alessandro, Cippo Milliario Fanese inedito. Estratto dall’Enciclopedia Contemporanea di Fano, 1855. — Masetti Luigi, Antiche Colonne Milliari della Via Flaminia da Cantiano a Rimini, Fano, Tip. V. Pasqualis, 1879.
  6. Amiani, Tomo I, pag. 119.
  7. Idem, Tomo I, pag. 140.
  8. Idem, Tomo I, pag. 351.
  9. Ho tolto queste notizie dal Sommario dagli Atti Consigliari dal 1398 al 1741, esistente nell’Archivio Municipale, Sezione Amiani N. 4, e dallo Spoglio incompleto della Segreteria Comunale di Fano nella stessa sezione al N. 6.
  10. De Cuppis Pompilio, Sulla Fisica Generale del Bacino di Fano. Nella Rivista delle Marche e dell’Umbria, 1866, Distribuz. V, pag. 709 e seguenti.
  11. Ovidius, de Fastis cum duobus Commentariis, Venetiis, Mcccclxxxvii, car. 148.
  12. Amiani, T. II, pag. 239.
  13. Idem, id., pag. 244.
  14. Idem, ib. pag. 240.
  15. L’Amiani lo dice da Ferrara: in varie iscrizioni e atti è detto Romano: anche il Cantù nell’indice di uomini illustri, unito alla Storia Unirersale nel volume della Cronologia, lo dice Romano e vissuto dal 150 al 1655. Fu buon architetto e la molteplicità delle opere da lui condotte meriterebbe forse uno studio. Dopo costruito il Porto Borghese fa anche al servizio del Duca di Parma. Sono disegno del Rainaldi, in Roma: la facciata di S. Maria Maggiore, l’altar maggiore della Cappella Paolina, la facciata di S. Andrea della Valle e l’altar maggiore di S. Girolamo della Carità; in Bologna: le volte di S. Petronio e la chiesa di S. Lucia, ora Palestra Ginnastica.
  16. Cenni biografici dell’Abbate Galeotto Uffreducci Fanese Canonico di S. Maria Maggiore in Roma di Evaristo Ab. Francolini, Fano coi tipi di Giovanni Lana 1857.
  17. Gasparoli Francesco, Le glorie di Fano abbozzate negli illustri suoi Cittadini et esposte ai propri figli per emulazione e stimolo alla virtù. Ms. nell’Archivio Municipale, Sez. Amiani N. 39, pag. 102.
  18. Ambedue queste iscrizioni sono riportate dal Francolini nell’opuscolo succitato e credo inutile riprodurle. Riporto invece l’iscrizione onoraria che lo ricorda nella Tav. VI, dell’albo Albriziano chlta Colonia Fanese che conservo presso di me: Galeot. Uffreducci, post multa itinera cum nuncio apostolic. in Gallia, cum veneto oratore in Bizantio, inter primos cubicul. e numero participantium, D. Marie Majoris Basilicæ canonicus, patr. cathlis opt. mer. obiit Romae an. 1643 detatis anno 77.
  19. Uno di questi volumi venne compreso dall’egregio Mons. Zonghi nel riordinamento dell’archivio antico di Fano tra i registri al N. 21. Vedi: Mons. Aurelio Zonghi, Repertorio dell’antico Archivio Comunale di Fano. Fano, Tipografia Sonciniana 1888 a pag. 314. L’altro volume lo rinvenni nel Carteggio e precisamente tra le minute di lettere al N. 4 descritto nel sudd. repertorio a pag. 375. Questo volume è stato scucito e manca di molte lettere.
  20. Atti del Consiglio 7 Giugno 1613 e lettera del Magistrato all’Uffreducci.
  21. Si conserva copia di questa lettera nel voi. 24 dei reg. c. 289.
  22. Ambasciatore del Comune era il Capitano Pandolfo Carrara e Agente Gregorio Amiani.
  23. Reg. 24, c. 239.
  24. Cristoforo Negusanti viveva in Roma insieme all’Uffreducci ed era anch’esso Cameriere secreto di Paolo V, e Referendario utriusque signaturæ. Il Pinauro gli avrà indirizzato il suo scritto sperando forse in qualche sua gelosia con l’Uffreducci, ma nulla ci fa credere che il Negusanti si prestasse a intralciare l’opera dell’Uffreducci.
  25. Reg. 24, in fine.
  26. Lettere di Pandolfo Carrara nell’Archivio Comunale di Fano. Carteggio Ambasciatori ed Oratori, busta 15.
  27. Carteggio del Porto. Busta I, N. 101.
  28. Fabbrica del Porto, N. 2. È un piccolo quaderno così intitolato: Addì 20 settembre 1643. In questo libro sarà notato da me CastruccioCastr.ni tutti li denari che si spenderanno a — minuto p. bolettini del Rainaldi architetto — sì in cavam.to del Porto come in tutte l’altre — robbe p.d. servitio. La notizia di questa spesa trovasi a pag. 12 in questi termini: E addì d.o (15 9bre) pag.to al sta.patore che ha stampato l’editti et M.o Ant.o orefice per haver i.tagliato l’arma d.l S. Card. Serra da stampare i d.i editti g.i trentanove. sc. 1.95. Siccome qui non è indicato che lo stampatore sia di fuori, così può ritenersi che gli editti siano stampati a Fano e la notizia diventa di molto interesse per la storia delle officine tipografiche fanesi. Il Cav. Luigi Masetti nelle Memorie sulla Biblioteca Comunale di Fano denominata Federiciana. Fano, tipografia Lana 1870, in una nota a pag. 18 dà l’elenco dei Tipografi che lavorarono a Fano e al N. 3 pone Pietro Farri nel 1590. Ora si conoscono edizioni del Farri stampate a Fano fino al 1612, nel quale anno cominciano anche stampe del medesimo colla data di Venezia. Vedi: Dott. Alfredo Margutti, Pietro Farri tipografo veneto e le origini della Tipografia Sinigagliese. Osimo, stamperia di V. Possi, 1887. E dal 1612 al 1672 non si hanno notizie edite finora di altri tipografi. Per cui l’editto di cui è parola sarebbe uscito da una officina finora ignota o da quella del Farri medesimo che pur tornando a Venezia potrebbe aver lasciato materiale e operai anche a Fano come in quel tempo facevano molti impressori.
  29. Una copia di questo Compendio trovasi al Registro 24, Archivio Comunale di Fano che contiene, come abbiam detto di sopra, le lettere dirette dal Comune all’Uffreducci.
  30. Chiesa che esiste tuttora ed è la parrocchiale del Porto.
  31. Basti accennare che il cavamento fu appaltato a paoli 8 la canna cuba ossia a poco più di cinque centesimi il m.c, mentre ora costa centesimi 30 il m.c., e i pali furono pagati in media 35 paoli l’uno, mentre ora costano L. 40 circa. Tenendo conto di queste cifre si vedrà che non ho esagerato ragguagliando la spesa a 100,000 lire ossia non raddoppiando nemmeno l’effettiva spesa sostenuta.
  32. Impresa di vendita in Italia di Giulio Sambon. Catalogo della Collezione Hirsch di Monaco. Milano, Tip. Luigi di Giacomo Pirola 1888, pag. 172, N. 2677.
  33. Tom. 11, pag. 258.
  34. Numismata Romanorum Pontificum praestantiora a Martino V ad Benedictum XIV per Rodulphinum Venuti Cortonensem aucta ac illustrata. Romae mdccxliv, Ex Typographia Jo. Baptistae Bernabò et Josephi Lazzarini: pag. 213 N. XXIII e XXIV.
  35. Le dimensioni di questa stampa mi fanno supporre che possa appartenere a un’opera storica e geografica edita a Venezia nel secolo scorso di cui io posseggo qualche volume.
  36. L’iscrizione non è pubblicata da alcuno e siccome ora è nascosta agli sguardi del pubblico, sarà opportuno riprodurla qui: Pauli quinti P. M. munificentia, portum Burghesium, navibus nautisque refugium et mercemoniis emporium S. P. Q. F. anno salutis MDCXIX. M. Ant. Cuccino Gub. Mutio Raynaldutio Con., Vincentio Bertotio, Joanne Lanceo, Francisco Borgogellio priorib. Nolfus Nolfius, iidem Vincentius et Mutius, Franciscus Palatiuis et Nicolaus Schacchius V.riri electi posuerunt. Hier Raynaldo Rom. Architecto.
  37. Li marmi eruditi di Fano.
  38. Loc. cit.
  39. T. II, pag. 257.

Note

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