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Meditazione I
Prefazione Meditazione II

MEDITAZIONE PRIMA.


LA CONTEMPLAZIONE DELLA PROVVIDENZA NELLA STORIA.


Nolite multiplicare loqui sublimia, gloriantes:
recedant vetera de ore vestro; quia Deus
scientiarum dominus est.
Annas Cantis., I Reg., II, 5.

Il faut ignorer profondément l’essentiel de la
religion pour ne pas voir qu’elle est toute
historique.
Fénelon, De l’Éducation, ch. VI.




Sommario.


I. La contemplazione della Provvidenza è possibile in tutti gli oggetti naturali, epperciò nel genere umano. — II. È officio di tutte le scienze, epperciò della storia. — III. Ma principalmente di questa. — IV, V, VI. Fu fatta sempre. — VII. Vari nomi dati o da darsi a tal contemplazione. — VIII. È ella opportuna a’ dì nostri? — IX. E a noi particolarmente?


I. Qualunque degli oggetti materiali che cadono sotto ai nostri sensi, il sassolino, il fuscello d’erba o il verme raccolto ai nostri piedi, non meno che le magnificenze della terra e de’ cieli, tutto ci narra la gloria di Dio, tutto c’innalza alla contemplazione di Lui. Nè solamente di Lui creatore, ma par di Lui conservatore; nè solamente d’un atto momentaneo di potenza e sapienza e bontà di Lui, ma di quell’atto perenne e di quelle proprietà infinite di Lui. Questo atto perenne di Dio è ciò che noi chiamiamo Provvidenza Divina; è ciò che risplende a noi da qualunque punto; da tutto il complesso della natura. — E non risplenderebbe ella pure in particolare nell’uomo, re, culmine e perfezione di questa natura sulla terra? nell’uomo che è la materia più organizzata, l’ente più animato, l’anima somma quaggiù? Ovvero, risplendente nella creazione e conservazione di ciascuno di noi, non risplenderebb’ella, la Provvidenza Divina, non sarebb’ella discernibile in tutti insieme noi, nel genere umano in complesso? Ciò è impossibile, ciò sarebbe assurdo, ciò certamente non è.

II. Ogni scienza umana non è altro che cognizione ulteriore d’una parte della natura. Ed ogni scienza c’insegna, prima e quasi elementarmente, l’uso che noi possiam fare di quella. Ma quando ella si ferma lì, quando ella non penetra a contemplare la sapienza creatrice e conservatrice, la Scienza non adempie se non la inferior metà dell’ufficio suo, non dà la mano all’altre scienze compagne, non entra in quella sapienza universale nostra, che è parte ella stessa della universale e divina. — E la storia ella pare, la scienza delle azioni del genere umano, ha i due uffizi senza dubbio: non è possibile che la Provvidenza, contemplabile per mezzo delle scienze materiali, contemplabile per mezzo di quelle che hanno ad oggetto lo spirito umano, per così dire, immobile, non sia contemplabile per mezzo di quella che ha ad oggetto speciale le azioni, i moti, la vita di quegli spiriti. Non è possibile che questi moti sieno senza motore, senza causa. Non è possibile che questa causa sia il caso, negazione di ogni causa. Non è possibile che sia quella necessità che ridurrebbe gli spinti a condizione di materia, che distrarrebbe la loro spontaneità, la loro personalità, e così ogni colpa ed ogni virtù d’ogni uomo, e la coscienza del genere umano. Non è possibile poi, che questa o queste cause, quali che sieno, non sieno più o meno discernibili dagli spiriti che elle muovono. E non è possibile finalmente che dall’una all’altra non ci possiamo più o meno innalzare alla contemplazione della prima causa, del primo motore.

III. Ma facciamo pure subito un passo di più, e diciamolo arditamente: fra tutte le scienze non rivelate, la storia è quella che può andare, che va più su, in tale contemplazione. Tutte l’altre non ci fanno conoscere se non, per così dire, Iddio in generale; la storia sola ce lo può far conoscere in particolare. Le altre ci additano il dovere di servire Iddio; la storia sola ci può dire se Egli abbia voluto essere servito in un modo particolare, e quale sia tal modo. In somma, le altre scienze non conducono guari se non a quella religione indeterminata che suol chiamarsi naturale; elle restano al limitare della positiva, della quale non possono osservare se non poche armonie con sè stesse; la storia sola entra nel santuario ed osserva di là armonie innumerevoli.1 — E v’ha più: senza voler entrare in dimostrazioni che sarebbero qui anticipate, mi si conceda usare un modo d’argo mento, una sfida generale già usata da altri. Fu ed è asserito molto bene, non essersi trovata mai nè trovarsi nazione, gente, nè società o congregazione d’uomini, quantunque barbari o selvaggi, senza Dio, senza religioni; e così l’ateismo essere stata rara eccezione. Ma io dico, non essersi trovata nemmeno mai ninna società d’uomini che seguissero una religione puramente naturale, una religione dedotta dalla sola contemplazione della natura, inventata dalla mente umana, senza derivazioni; e così anche la religione detta naturale essere stata più o meno rara eccezione. La storia intiera ci mostra che questa non fu mai se non di pochi e disgiunti, i quali or fuggirono, or pretesero fuggire gli errori delle religioni positive; e che queste sole in somma furono seguite in ogni tempo dai più, dal popolo, dalla società stessa, di mezzo a cui si separavano que’ pochi ed eccezionali. Come religione sociale e di molti, la religione detta naturale è dalla storia dimostrata la più innaturale, la più antistorica di tutte; più che il politeismo, che l’idolatria e che qualunque più abbietto feticismo, i quali si trovano, mentr’essa no. — E vi ha ancor più: se è vero ciò, se apparisce a chiunque abbia onde che sia la menoma notizia di storia universale, se sarà dimostrato poi meditandovi sopra specialmente, che tolte le religioni umane furono sempre e dovunque religioni positive; certo ne segue che nè elle possono essere tutte vere del paro, nè anzi può essere vera se non una; e che, dove che sia, debbono essere documenti a distinguere la sola vera. Che Iddio abbia negati questi documenti agli uomini, non è possibile, sarebbe assurdo; perchè sarebbe assurda l’ipotesi d’un Iddio produttore di soli inganni, negator di documenti alla parte più importante della verità; Lui il medesimo Iddio che ci diede documenti a tante e tante altre parti (quasi inutili al paragone) della verità universale. E che questi documenti poi si debbano trovare nella storia universale, non è più altro che questione di parole. Se per istoria universale s’intenda la raccolta di tutti i fatti umani, chiaro A che ella deve pur comprendere quelli massimi degl’insegnamenti, delle rivelazioni di Dio, di tutte le relazioni tra gli uomini e Dio.

IV. E il vero è, che dal principio fino a noi, la storia comprese, narrò, contemplò tali fatti. Facciamo sotto quell’aspetto una breve storia della storia. I primi libri scritti sono narrazioni e contemplazioni di que’ fatti divini insieme ed umani; incominciano colle cosmogonie, o narrazioni del primo grande atto di Dio quaggiù; e continuano colle me morie di altri alti minori ma non meno diretti della provvidenza di Lui. Poi, aiuti di quelle prime storie, le prime poesie cantano que’ primi atti provvidenziali; e i primi monumenti ce li ritraggono a modo loro. Seguono, ricchi de’ medesimi fatti, quegli annali sacerdotali, que’ libri dei Re, di che non abbiamo se non estratti, ma che sappiamo essere stati presso a tutte le nazioni primitive.2 Quando poi dimezzo alla civiltà già progredita ma corrotta si separarono la contemplazione religiosa e la razionale para, e si separarono tanto più, perchè ripugnavano, e da tal ripugnanza sorse la ammirabile filosofia greca; non perciò la storia ripudiò quelle altissime contemplazioni, ma solamente le fece in modo nuovo. Sono due gravi errori de’ moderni, l’asserire che gli antichi non avessero nè storie filosofiche, nè filosofie della storia. I nomi soli sono nuovi; ma queste due scienze, o per dir meglio, qnesti due modi della scienza storica sono antichissimi, se per istorie filosofiche s’intendano, come si deve, quelle che narrando i fatti pur ne cercano le cause, se per filosofia della storia s’intenda la ricerca professata e fatta separatamente di queste cause, e il tentativo d’arrivare dall’una all’altra quanto più presso alla prima. Che gli antichi non sieno saliti alle cause vere e più alle, che non abbiano avute storie filosofiche nè filosofie storiche giuste, io lo credo, e ne cercheremo in breve la ragione principale; ma non si può nè deve dire che una scienza non esistesse presso gli antichi, perchè essi non le dieder nome, o perchè non v’arrivarono ad una buona teoria; chè, così dicendo, si negherebbero loro quasi tutte le scienze. Certo sono storia filosofica quant’altra mai, e molle parti del libro di Erodoto,3 e l’ammirabile introduzione di Tucidide, e la Ciropedia di Senofonte, e non poche digressioni di Polibio, di Plutarco e di parecchi altri Greci. E sono poi trattati meravigliosi di filosofia storica molti di quelli di Platone, e sopra tutti quel delle leggi, quel della repubblica, e il Timeo; e poi parecchi di Plutarco, e quello sopratutti della Provvidenza divina. — I Romani poi scrissero storie meno filosofiche e meno trattati di filosofia storica; sia che venisse loro tale inferiorità dalle loro grandi preoccupazioni di pratica, sia che piuttosto dall’aver l’antica filosofia fatto già prima di loro l’estremo di sua possa. E tuttavia sono pur talora molto filosofiche le grandi storie romane; quella di Livio che giudica così magnificamente fin dalla prima pagina tutto il passalo e l’avvenire della grandezza romana; quella di Sallustio, che dicesi essere stato scellerato uomo, ma fu storico virtuoso, e mostra così la virtù essere stata tenuta dagli antichi quasi parte necessaria della storia; e quella di Tacito, che è riconosciuto per istorico filosofico anche dai moderni più esclusivi. E certo sono trattati di filosofia storica parecchi fra quelli di Cicerone e di Seneca, e quello, qualunque ne sia l’autore, Della perduta eloquenza. E tutti questi esempi provano che la filosofia, che la ricerca, che l’indicazione più o meno diffusa delle cause, fa sempre tenuta dagli antichi come parte essenziale della scienza storica; che l’eliminazione di tal ricerca, che la riduzione della storia a narrazione semplice e gretta non fu praticata mai dall’antichità, non fu se non invenzione posteriore delle età barbare.

V. Non solamente poi la filosofia storica è scienza antichissima, ma non è nuovo in lei nemmeno il progresso principale, conseguenza immediata e contemporanea del Cristianesimo. Noi cercheremo in breve le ragioni di questo gran fatto di nostra scienza; qui non vogliamo se non farlo constare. E il fatto sta, che quantunque i Vangeli paiano a prima vista piuttosto esempi e precetti di virtù personali e private, tuttavia essi contengono pure que’ semi di vita pubblica tutto nuova, che or si vede dallo sperimento quanto fosser fecondi, quelle novissime rivelazioni sulle relazioni degli uomini con Dio e tra sè, sul destino del genere umano, sulle vie, su’ disegni della Provvidenza, che sono filosofia corretta, filosofia più sublime, filosofia sola divina insieme ed umana, e così sola compiuta filosofia, ma in somma ciò che si chiama filosofia storica. E tali seguono le lettere degli Apostoli, e sopra l’altre quelle di san Paolo, e sopra tutte quella di lui agli Ebrei; e tali innumerevoli squarci e libri intieri de’ santi Padri, e sopra tutti quel libro della Città di Dio, che è vero e special trattato della filosofia storica rinnovata, come fu storia filosofica cristiana quella di Paolo Orosio, ispirata dal medesimo Sant’Agostino. Delle quali due opere scritte entrante la barbarie ed all’orlo del medio evo, è da notare, che elle rimasero, duranti quella e questo, quasi sole opere storiche cognite e studiate; appunto per ciò, che elle contenevano la sola filosofia storica, la quale combaciasse colla religione, con tutte le opinioni cristiane; che elle narravano e consideravano i fatti antichi dal punto di vista cristiano4. Quanto ai fatti nuovi succeduti lungo la barbarie e il medio evo, vero è che furono narrati per lo più senza quasi niuna filosofia; e che la storia fu ridotta a quelle narrazioni pure, che nemmeno allora non s’ardirono chiamare storie, ma per pudore chiamaronsi annali o cronache; quegli annali o cronache, che tra le poche virtù forse troppo ammirate a’ dì nostri hanno tanti vizi storici, da mostrare qual diventi la storia quando si separa da essa ogni contemplazione delle cause. — Ma siffatta separazione poi è così innaturale ed alla storia ed alla filosofia ed a tutto l’ingegno umano, che uscito questo appena da quelle oscurità verso la metà del secolo XI (e per opera, come vedremo, tutta della Chiesa Cristiana, quasi tutta della Romana in particolare), subito risorse la filosofia storica, la scienza delle vie della Provvidenza nelle azioni umane, prima forse che qualunque altra scienza. E risorse, dico, nella pratica e negli scritti; nella pratica, di quelle frequenti riunioni or pacifiche e legislative, or diplomatiche, or guerriere, di tutta la Cristianità, le quali, vituperate e derise già, or s’incominciano, in parte imitandole, a capire; e negli scritti poi, di que’ rozzi ma forti e retti scolastici, i quali da mezzo il secolo XI a tutto il XIII terminano compendiati ed immortalati in san Tommaso ed in Dante. I passi di filosofia storica che si trovano principalmente nell’ultimo (quando ei s’innalzò oltre alle preoccupazioni di parte) sono tali, da far vergogna a parecchi de’ vantati filosofi storici che seguirono5. Vero è che questa filosofia storica, indubitabilmente esistente nella pratica e negli scritti di que’ secoli, v’esistette recondita, non professata, non ridotta nè a trattati speciali, nè a storie bene e filosoficamente scritte. La virtù, la scienza stessa v’erano; la ma, l’arte, no. L’età che seguì diè la forma e l’arte, ma tolse la virtù, e pervertì la scienza.

VI. Imperciocchè, quest’età principiante più o meno tardi nel secolo XV, la quale gli stranieri chiamano prima, ma noi Italiani non possiamo chiamare se non seconda del risorgimento delle lettere, produsse storie molto bene scritte, con ricerca ed esposizione ben proporzionata delle cause, ma cause molto mal cercate; storie filosoficamente scritte, ma mal filosofiche, cattiva filosofia storica insomma. Fu naturale, fu effetto soprattutto dell’imitazione antica troppo servile. Della quale non è il luogo qui di discernere il buono e il cattivo effetto in tutta la coltura; ma basterà notare che ella non ne viziò niuna parte, quanto la filosofia storica. La filosofia storica antica è tutto diversa dalla cristiana; voler seguir quella in mezzo alla Cristianità, voler adattare quella a’ fatti adempiuti in questa, è contrattempo, inopportunità, error logico e storico il maggior di tutti; perchè è eliminare dal ragionamento o il fatto, o l’importanza del Cristianesimo. E questo errore fu pur fatto da colui, che senz’esso sarebbe certo stato il maggiore de’ filosofi storici moderni, da quel Machiavello, che fu forse men perverso egli che non i tempi suoi, più errante che non perverso. Certo lo storico fiorentino fu precipitato in quel grande errore dalle condizioni, dalle miserie, da’ pregiudizi della sua patria; l’errore di lui fu errore specialmente italiano e fiorentino.6 Ma caddervi poi quasi tutti gli storici filosofici e i filosofi storici italiani e stranieri. Caddevi Vico molto sovente in quella sua Scienza che chiamò nuova, ma che non è insomma se non la antichissima, e troppo antica in lui, della filosofia storica. E caddevi poi Montesquieu in quel suo trattato Della grandezza de’ Romani, che è ordinamento altronde meravigliose ed ampliazione de’ Discorsi del Fiorentino; e caddevi Gibbon in quella sua storia, che è altronde meravigliosa applicazione de’ principii del Fiorentino e del Francese; e ricaddevi questi in quello Spirito delle leggi, che è l’opera massima, e come il codice della filosofia storica antica restaurata. Finalmente caddervi tra mezzo e dopo a questi sommi, molti altri minori; i quali io non nomino, e perchè de’ sommi soli importa segnalare gli errori, e perchè le lunghe nomenclature d’erranti traggono seco una ingrata apparenza d’invidia, e perchè poi sono noti ad ognuno i nomi di que’ tanti storici e filosofi, i quali principalmente nella seconda metà del secolo scorso scrissero con ingegno e virtù storiche altronde grandi, ma senza tener conto o non bastante conto del massimo de’ fatti umani, del Cristianesimo, in mezzo a cui vivevano e scrivevano. E fu allora, e per essi, che s’inventarono que’ due nomi di storie filosofiche e filosofie storiche, i quali, assunti da essi a vanto esclusivamente, furono poi, come succede, dati loro esclusivamente ad ingiuria da’ loro avversari. — Nè mancarono questi; non poteva mancare chi continuasse la serie, non interrotta nemmeno nel medio evo, de’ contemplatori della Provvidenza in tutte le opere, in tutte le manifestazioni di lei, la scuola storica cristiana. Della quale pur tralasciando tutti i minori, e Leibnizio stesso, che tal non è se non perchè, preoccupato in altri studi, scrisse poco di storia, non accennerò se non il solo Bossuet. Il quale scrisse ad uso d’un adolescente, epperciò con disegno elementare; ad uso d’un principe, epperciò da un punto di vista alto ma ristretto; e un secolo all’incirca prima di Montesquieu e Gibbon, epperciò con tanti meno aiuti delle scienze progredite. Ma altissimo ingegno per sè, e sorretto dall’educazione e dalla scienza religiosa, seppe, più che nessuno forse de’ moderni, ben distinguere l’imitazione buona delle forme antiche dall’imitazione cattiva delle loro idee, ed innalzarsi poi d’una in altra causa alle più alte cui sia dato ad uomo di arrivare. Così egli scrisse quel libro, che apparendo grande al tempo suo, s’è fatto più grande al paragone di tanti altri succeduti, non progrediti; quel libro che tutti insieme, seguaci ed avversari, chiamano immortale. — Ma ei si vuol confessare; questo libro rimase a lungo solo grande nella scuola cristiana, incontro a tutti quegli altri della scuola antica rinnovata. Non, che non se ne scrivessero molti altri; ma, sia che anche la scuola cristiana cadesse più o meno nelle idee storiche antiche e queste traviassero le cristiane, sia che la moltiplicità e grandezza degli avversari istupidisse, per così dire, i filosofi cristiani, certo è che questi scrissero allora tutti o con tal timidità e tali concessioni, o con tali forme apologetiche, da infermare ora la forza intrinseca, ora l’effetto estrinseco di tutti i libri loro. Ciò, dico, fino al principio del secolo presente. Quando, chiamisi disposizione immediata della Provvidenza, o ritorno spontaneo della ragione umana dai propri errori, certo è che si rovesciarono le sorti delle due scuole, che incominciarono ad essere più grandi, più numerosi, più arditi gli storici e filosofi cristiani, più timidi, più piccoli, e via via pochi, ed oramai eccezionali, i dissenzienti. Quali aiuti ed impulsi venissero dall’altre scienze alla storica, quali uomini in ciascuna od anche fuori fossero duci, collaboratori o stromenti di questa gran mutazione, noi lo cercheremo altrove, se Dio voglia, particolarmente. Qui ci basterà l’accennare che questo nostro secolo XIX (non senza motivo vituperato dagli amatori esclusivi dell’antichità) incominciò con un gran ravviamento alla pratica cristiana per opera di Napoleone, con uno grande alle lettere cristiane per opera di Chateaubriand, con uno pur grande alla congiunzione delle scienze naturali colle cristiane per opera di Cuvier. E seguirono d’allora in poi più o meno nelle medesime vie tutte le parti della coltura: ma nessuna forse quanto la filosofia storica per opera più o meno diretta di quel medesimo Chateaubriand e di Bonald, Maistre, Guizot, Cousin, Villemain e non pochi altri Francesi; dei due Schlegel e di Raumer, Leo, Voigt, Hurter, Ranke e molti altri Tedeschi; di Lingard, Wiseman ed altri Inglesi; di Manzoni, Rosmini, Gioberti, Cantù ed altri Italiani. — Della grandezza, dell’intenzioni e degli effetti de’ quali, come succede de’ contemporanei, dubiti pure e disputi e detragga ciascuno a talento, e opponga, se vuole, altri nomi contrari, e faccia passare alcuni de’ primi ne’ secondi; ma ad ogni modo queste stesse dubbiezze che non erano un secolo fa su dissenzienti, e l’aver essi mutate le aperte ostilità in dubbiose od anche infide alleanze, il voler esser chiamati filosofi cristiani, Cristiani razionali, ma insomma Cristiani, tatto ciò prova che la filosofia storica, non mai cosi abbondantemente coltivata come al presente, non fa mai tanto rialzata dagli uni, riaccostata dagli altri, ad essere contemplazione vera e cristiana della Provvidenza.

VII. Quindi so questa, comunque chiamisi, contemplazione, ricerca, studio o scienza, nascono naturalmente tre questioni: 1° Quale ritenere de’ nomi a lei dati, o qual nuovo darle? 2° Se giovi dopo Bossuet e tanti altri già antichi scriverne ancora a’ nostri dì? 3° Se sia opportuno scriverne noi fra tanti contemporanei? — Ma quanto alla prima quistione, ella non mi pare con importante come alcuni la fanno. Non importa che il nome di Filosofia storica appena inventato sia stato abusato in tali opere che si potrebbon dire nè filosofia nè storia. Di che non s’abusa? anche delle cose più sante; e il pessimo degli abusi è fuggir l’uso per causa degli abusi. Nè importa che tal nome sia indeterminato; si può determinare colle buone definizioni, e massime col buono adempimento. Stolte scienze sono in caso simile od anche peggiore; parecchie, come la chimica, hanno nomi insignificanti; parecchie, come la geometria, ne hanno che significano tutt’altro che non suonano. E in tutte, salve le spiegazioni, si ritengono i nomi più o meno buoni che sono universalmente accettati. — Chi avesse quella vaghezza or volgare di dar nomi nuovi a cose vecchie, potrebbe chiamar questa Teoria della storia; seguendo così l’esempio delle scienze naturali, nelle quali si chiama Teoria l’ordinamento di tutti i fatti di esse secondo le cause scoperte. Nè osterebbe che in questa come nell’altre teorie non si possano notar sempre tutti i gradi tra le cause infime e la prima; che anzi in questa si notano forse più che nell’altre. Nè osterebbero i disprezzi che in questa come in ogni scienza i compilatori de’ fatti versano sugli ordinatori di essi, sugli scrittori di teorie; senza restituire que’ disprezzi, ei si può e deve tener utile l’una e l’altra opera in ogni scienza, e necessaria la teoria all’esposizione, alla scoperta stessa de’ fatti, non meno che questi alla teoria. — Ancora, si potrebbe a questi nomi indeterminati sostituire a dirittura la definizione, e chiamar qualunque simile ricerca chiaramente Delle cause ovvero Delle ragioni storiche. E tutti questi nomi sarebbero opportuni in qualunque di quei trattati analitici, i quali pretendono partir dal dubbio assoluto, e continuare con assoluta imparzialità per giungere alla scoperta della verità. — Ma quando la verità è scoperta da gran tempo, esposta da molti, conosciuta da quasi tutti, questi metodi dubitativi, queste esposizioni analitiche mi paiono aver seco non so quale impostura, e dover lasciar luogo all’esposizione sintetica che scende dalle cause prime alle seconde ed ultime in qualunque scienza, e tanto più in questa nostra della storia, la cui natura è sintetica sopra tutte. Quindi io non dubito di dar all’assunto mio fin da principio il nome determinato di Contemplazione delle vie della Provvidenza nella storia; e se non l’ho posto sul titolo, ei fu solamente per timore di non saperlo adempier poi. Lo stesso sommo ed arditissimo Bossuet non chiamò il trattato suo se non Discorsi. Chi ardirebbe esser più ardito? ovvero, prendere il titolo di lui?

VIII. Più grave è la quistione, se giovi, se sia lecito ritrattar di un assunto trattato da uno tale, e più anticamente da tanti altri grandi. Ma, progrediscono i tempi, progrediscono le scienze tutte, e la scienza storica come l’altre per gli studi nuovi adempiuti su’ fatti vecchi, e più che l’altre poi, perchè l’oggetto delle altre riman sempre il medesimo, mentre l’oggetto della scienza storica s’accresce tuttodi de’ fatti che si succedono. E certo poi a’ di nostri ne succedettero e ne van succedendo di così nuovi e così grandi, da muovere ed innalzare le menti anche meno contemplatrici. È nuovo e grande quel fatto da noi già segnalato, che non solamente la filosofia storica, ma tutte le filosofie, tutte le scienze sieno tornate dal tentativo di andar libere od anzi avverse dal Cristianesimo, ad andar più che mai di conserva, anzi unite con lui. È nuovo e grande quest’altro fatto, che tal ritorno siasi operato in gran parte da quei Cristiani dissidenti che avevano diviso, disperso, scosso dalle fondamenta il Cristianesimo antico; e che in tal opera si riaccostino essi stessi al centro, alla tradizione. È nuovo, è connesso con quelli, e già grandissimo aest’altro fatto, che a un quarto di secolo di tali divisioni della Cristianità, che parean minacciarla di nuova barbarie, sia succeduta una pace, un incivilimento interno, e quindi una diffusione esterna, di cui non furono vedute mai le eguali. Certo questi fatti nuovi sono tali, che meritano essere almeno classificati nell’antica scienza; che non possono non aggiungere o detrar molto dalle antiche osservazioni; che non possono non confermare le une, non distrarre potentemente e forse definitamente le altre delle proposte teorie. — Ed ora, quando in una scienza v’ha del nuovo e grande a dire, non è solamente lecito, è debito dirlo. Quel Bossuet da cui stimo vanto il prender le mosse in ogni cosa, quel gran filosofo storico del secolo XVII, disse già che se la storia fosse inutile agli altri uomini, ella si dovrebbe insegnare almeno ai principi.7 Ma quella utilità universale e popolare così lasciata dubbiosa allora, non può oramai lasciarsi tale, nemmeno per supposizione. È vero che anche a’ dì nostri l’obbligo di conoscere e intendere quanto meglio la storia passata per ben far la presente e preparar la avvenire, l’obbligo di non trascurar mezzo onde conoscere le vie vere della Provvidenza per seguirle e farle seguir poi, incombe ai principi sopra tutti; ma molti sono poco meno che principi oramai nel mettere, nel tenere, nell’avanzar gli uomini per quelle vie. In molte nazioni della Cristianità partecipano direttamente e potentemente agli affari pubblici, alla effettuazione della storia, o tutti o quasi tutti gli uomini colti; ed anche nelle nazioni dove sono pochi i governanti diretti, molti sono poi gl’indiretti, molti coloro che col credito, coi consigli, collo scritto, con gli esempi, colle associazioni possono sull’opinione, la quale, quand’è retta, può tutto oramai su’ governanti, qualunque sieno. Oltrechè, dalle lettere diffuse, dalle comunicazioni accelerate, da’ centri di pubblicità moltiplicati di ogni maniera, è sorta oramai tal unione e solidarietà tra tutte le nazioni cristiane, che l’opinione di una può su quella di tutte; e chi avvia o svia una parte, avvia o svia più o meno tutta la Cristianità. Fuori di questa sono altre condizioni, altri rapporti, altri obblighi, altre potenze, altre vie, e tutte dammeno; ma in questa, se ne capaciti ciascuno, incumbe a tutti l’obbligo di contribuire al ben di tutti, perchè è inevitabile il contribuire o al bene o al male di tutti. L’ozio è vizio dovunque, ma più nella Cristianità destinala a tanta opera, come veggiamo; la ignoranza è sovente colpa dovunque, ma più nella Cristianità destinata sola alla scienza. E la scienza senza operosità è vana senza dubbio, ma la operosità senza scienza è sovente dannosa; quando elle sono disgiunte, quella non va né fa, ma questa va e fa contra le vie della Provvidenza. Ei vi sono di coloro che si scandalezzano ad ogni tratto di ciò che chiamano la tendenza del nostro secolo agl’interessi materiali e personali. Io non me ne scandalezzo guari, perchè veggo in queste tendenze o vie non altro che una via nuova della Provvidenza, a quella potenza, a quelle conquiste della Cristianità che preparano il terreno alle conquiste del Cristianesimo. Tuttavia anche in questa come in tutte le altre vie buone veggo molti che prendon la via per iscopo; ondechè utile e santo parmi possa essere ricordare lo scopo. La virtù è più che la scienza senza dubbio; e, come disse un filosofo cristiano moderno, la scienza non ha suoi effetti se non nel tempo, la virtù sola nell’eternità.8 Ma la scienza necessaria all’adempimento de’ doveri è pur parte di virtù; e si può e deve far virtù della scienza.

IX. Resterebbe quindi sola la quistione, se fra’ numerosi e talor grandi contemporanei, i quali hanno trattalo il nostro assunto, possiamo sperar noi di ritrattarne utilmente, cioè con qualche novità di verità, o almeno di ordine. Ma che noi l’abbiamo sperato è chiaro dall’averlo noi intrapreso; e se I’ avremo adempiuto, verrà mostrandosi via via senza ohe facciamo ninna di quelle critiche d’altrui e quelle promesse di noi, che tra qualunque formola di modestia sarebbono pur sempre vanti personali importuni. — Più conveniente si potrà essere fermarci ancora su una quistione che insieme con noi interessa molli altri cultori di quesla e di altre scienze; e che, non nuova, s’è fatta più grave a’ nostri dì per le grida di molti avversari, ed anche di alcuni sinceri ma timidi seguaci delle verità cristiane. Si uniscono gli uni e gli altri da due parli opposte per escludere dalla contemplazione di queste verità gli scrittori che chiamano profani; ridividendo cosi i cultori della scienza quasi a modo del medioevo, in cherici e laici. Ma prima, agli avversari io risponderò arditamente, ricordando loro la definizione data dagli stessi antichi della filosofia, che ella è e debb’essere scienza delle cose divine ed umane; e domandando per noi e per le cose divine cristiane quell’ampiezza di contemplazione ch’essi ammirano in quegli scrittori e in quelle religioni antiche. — Agli amici poi, se fossero di quelli che temono la luce di qualunque scienza profana, io risponderò con qualche arditezza pure e non primo, confortandoli a maggior fede, ed a credere che non può niuna vera scienza, niuna verità contraddire alle verità cristiane, e che queste saranno confermate sempre da quelle quanto più si studieranno; che è in somma fra tutte le verità una armonia, nella quale contemplare sta appunto il più alto e piò santo assunto di tutte le scienze. — A coloro poi, che da noi scrittori profani temono errori o d’intenzione o d’ignoranza, e cosi il nostro accostarsi volontario o involontario a quelle scuole che dicemmo Cristiane di nome piò che di fatto, io non saprei se non concedere molta ragione, tanti furono e sono siffatti erranti; ma volendo scansar anche qui il vizio delle promesse di sè, io non saprei se non rinnovare quella protesta che fu usuale già, e parmi necessaria a tutti noi non teologi che ci accostiamo alle quistioni teologiche, di sottometterci alle correzioni di questa scienza non nostra, quella protesta soprattutto che è naturale ad ogni Cattolico sincero ed intiero, di sottomettersi alle decisioni del Capo di nostra Chiesa. Ma ciò conceduto e protestato, io pregherei quegli amici a non voler confondere in un corpo erranti e non erranti, a non giudicare degli scrittori profani come di qualunque se non ad uno ad uno, a non volerci escludere tutti da quelle contemplazioni che sono pure diritto e dover nostro, senza cui saremmo defraudati della più nobil parte di nostra scienza, senza cui la scienza stessa ricadrebbe in antiquata anticristiana e pagana, ondechè noi non sapremmo nè vorremmo trattarne. — Finalmente, a coloro che pur concedendoci questa tutt’intiera negassero solamente ad essa quell’efficacia, quella grazia o virtù divina che è promessa non alla scienza de’ dotti, ma alle predicazioni de’ mandati e consagrati, io acconsentirei molto volentieri; e professerei di soprappiù, che quanto più io mi venni addentrando nello studio de’ fatti storici, tanto più mi venni capacitando, non ad essi scientificamente studiati e narrati, ma ad essi religiosamente predicati, sovrannaturalmente confermati, esser dovuto la soprannaturale estensione del Cristianesimo. Ma ciò acconsentito e professato, io domanderei licenza d’aggiungere: vari essere nelle varie età i mezzi per cui la Provvidenza opera le sue opere quaggiù, anche le propagazioni e conversioni; i mezzi maggiori non escludere i minori; i soprannaturali non escludere i naturali e scientifici; ed essere lecito il credere che anche la scienza possa essere chiamata a sua parte della grand’opera un dì; e quel ritorno che segnalammo della scienza non solo al Cristianesimo, ma all’unione della Cristianità, esser pur cenno da far sperare, che s’accosti e sia principiato quel dì. Ma quando anche non fosse sorto né per sorgere mai, quando niuno scrittore, niuno scritto profano non avesse contribuito o a contribuir mai all’estensione o all’unione del Cristianesimo, non perciò rimarrebbe minore il diritto e il dovere di contemplare noi tutti Cristiani le armonie di nostre scienze col Cristianesimo. Né sarebbe perciò distrutta tutta l’utilità che agli implicati negli affari umani può venire dalla contemplazione dello scopo finale di essi. La storia, dicesi, è supplemento alla sperienza. Ma le storie particolari non possono supplire se non alla sperienza di affari particolari in campo ristretto. Or il campo degli affari umani s’è allargato; gli affari d’ogni nazione si connettono con quelli di tutta la Cristianità, e per essa con quelli del genere nmano; perciò debbe allargarsi e s’allarga il campo della storia, perciò si scrivono d’ogni maniera tante storie universali. — Adempiamo dunque con giusta arditezza ciascuno di noi secondo i propri studi al nostro ufficio; egli è parte di quella moneta dataci a far fruttificare da Dio. Tutte le scienze, avendo principio da Lui, debbono in Lui terminare; ma forse più specialmente la storia, quella scienza nella quale, se sia lecito dire, non isdegnò dettare Egli stesso, Egli primo. Ogni uomo vede più chiaramente la verità da questo o quell’aspetto, è più efficacemente colpito da questo o quel raggio di essa; ed Egli concede che ognuno si diletti e si giovi più specialmente di quello, e chiami i fratelli a quell’utile e quel pro. Il raggio della storia poi è il più volgarmente veduto da tutti; è il raggio, è la scienza de’ non iscienziati, degli uomini semplici e di buona volontà. — E Tu, o Dio grande e buono, concedine di proseguirlo; concedine quella sincera e semplice buona volontà di cercare la verità, che è insomma cercar Te nelle opere tue.

  1. Che le scienze naturali in particolare abbiano e possano osservare anch’esse alcune armonie colla religione positiva è illustrato da un fatto recente. È noto che Lord Bridgewater faceva un ricco lascito per la publicazione di uno o parecchi trattati da scriversi «Sulla potenza, sapienza e bontà di Dio manifestate come sono nella creazione, illustrando tale opera con ogni sorta di ragionevoli argomenti.» Il tema era così evidentemente di religione naturale. E tuttavia nè gli autori degli otto trattati a cui fu distribuito il premio, nè Babbage, autore del Trattato nono spontaneamente aggiunto, non seppero tenersi in quei limiti, ed entrarono in quelli della religione positiva, ed osservarono parecchie armonie di essa colla propria scienza. — Ma quante più non si sarebbero osservate in un Trattato decimo che si fosse scritto sulla storia? Vero è che questo sarebbe andato più che gli altri lontano, anzi contro al testo del tema; nè sarebbe potuto scriversi per le età cristiane fuori dalla cristianità fedele alla storia. Così l’avesse scritto Wiseman, o ne avesse trattato compiutamente ne’ suoi Discorsi sulle relazioni dette scienze colla religione rivelata! Invece d’inspirarci da lui, non avremmo avuto che a tradurlo.
  2. Quanto ci è narrato degli Egizii e delle nazioni asiatiche centrali ed occidentali primitive, è tutto estratto dagli annali sacerdotali. — Il libro de’ Re nella Bibbia è un estratto degli annali regii de’ regni di Giuda e d’Israello; e cita sovente questi, e qua e là poi gli altri annali regii delle nazioni circonvicine.
  3. Quando Erodoto considerò gli avvenimenti materiali come effetti d’una causa, ed impose alla storia il dovere d’indagare e rivelare tal causa primaria, allora egli sollevò la storia (greca?) dal grado di semplice novellatrice a quello altissimo di scienza.» (Peyron, Idee della storia antica della Grecia, pag. 30.)
  4. Ancora al fine del secolo XIII, e ritrovati già parecchi classici antichi, Giovan Villani pone fra essi Paolo Orosio, e se n’ispira egli a dettare la propria storia. (Giovanni Villani, Rerum Italicarum, tomo XIII, pag. 367.)
  5. Vedi lo scopo della politica e della civiltà nei libro della Monarchia, pag. vii-ix, ed. Zatta. — La Soprannaturalità del Cristianesimo, Par. XXIV, pensiero preso del resto nel citato libro di sant’Agostino, XXI,7; XXII, 5. — Gli antichi destini di Roma in molti luoghi della Monarchia ed Inf. II, 22. — I destini, l’intiera filosofia della storia d’Italia, Purg. VI, 113. — Il sunto della storia di Firenze che si potrebbe dire di tutta la storia d’Italia, Purg. VI, 145 e seg. — Oltre i numerosi passi sulla importanza politica de’ costumi, sull’aristocrazia e la democrazia ecc. ecc.
  6. L’assomigliare ogni città o repubblica italiana a Roma, e lo sperare e cercare destini eguali, fu errore frequente de’ cittadini e degli storici o cronschisti italiani fin del secolo XIII. I Ghibellini volevano la restaurazione d’un imperio romano; ogni città guelfa, Firenze e Venezia sopra tutte, la restaurazione d’una repubblica quasi romana.
  7. Discours sur l’histoire universelle, pag. 1.
  8. Gioberti, Del Soprannaturale.

Note

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