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MEDITAZIONE SECONDA.


LA STORIA DELLA CREAZIONE.


Qui vivit in æternum creavit omnia simul;
Deus solus justificabitur.
Ecclesiast., XVIII, 1.

Universa propter semetipsum operatus est
Dominus.
Prov., XVI, 4.




Sommario.


I. Occasione massima d’errori in ogni scienza. — II. Come fuggirla nella storia. — III. I due fonti della storia dalla creazione. — IV. La cosmogonie delle nazioni primitive. — V. La greco-romana. — VI. La mosaica. — VII. Le astronomie e geologie filosofiche antiche. — VIII. Quelle del medio evo. — IX. Quelle della filosofia restaurata. — X. Quelle ultime progredite. — XI. Armonia. — XII. I miracoli, i misteri, la causa finale della creazione.


I. L’occasione massima d’errore in ogni scienza è quell’abito che si prende troppo sovente in ciascuna, di non considerare la verità universale se non da un solo aspetto, di non volerla scoprire se non per una via, con un solo metodo, di chiudere gli occhi agli altri aspetti, di escludere gli altri metodi, di rinnegare in somma le altre scienze, di restringere la sapienza ad una scienza. A coloro che hanno preso quest’abito,succede invariabilmente, che giunti al limite esterno della propria scienza, o dichiarino non scienza non certezza tutto ciò che è al di là; od anche peggio, che volendo andarvi per la loro via a ciò inopportuna, ei vi vadano male, credano scoprirvi ciò che non v’è, non vi scoprano ciò che v’è, e così chiamino verità ciò che andando per altre vie avrebbero facilmente chiamato errore, errore ciò che avrebbero chiamato verità. — Parecchi matematici non considerando se non le verità delle misure e dei numeri, chiamando queste verità matematiche, e la certezza loro certezze matematiche, prendono l’abito di considerare come meno certe le altre verità, e così più o meno le negano. — I fisici, i chimici e tutti gli studiosi della natura materiale, osservando i fenomeni improvocati di essa, ovvero quelli ch’ei provocano collo sperimento, prendono talora l’abito di non riconoscere come fonte di certezze se non l’una o l’altra osservazione materiale, come certezze se non le dedotte da tal fonte; chiamano le proprie sole scienze, sola filosofia naturale, e deridono, disprezzan l’altre chiamandole innaturali o oltrenaturali, speculative, non intelligibili; quasi lo spirito non fosse nella natura, non fosse intelligibile pur esso. — E gli osservatori della natura spirituale, i metafisici, derisi da questi e derisori loro a vicenda, cadono pur essi talora in simile errore, ed a forza di contemplar lo spirito giungono a negar la materia. — Quanto più poi si restringe l’oggetto delle scienze, più elle cadono in tale errore. I medici che osservan l’uomo nel corpo, non trovando l’animo, lo negano. Il politico e l’economista rinnegano quanto non entra negli interessi della potenza o della ricchezza umana da essi proseguiti; il moralista stesso quanto non è necessario alla società umana, e via via. Quindi, se dall’ampliarsi di tutte le scienze nasce ad ogni uomo la necessità di coltivarne specialmente una sola, ei si fa pur necessario e quasi dovere a ciascuno l’entrar nel campo delle altre, tanto almeno da intendere la connessione di quella con queste. Come niun campo, così niuna scienza non può esser compiuta se non a’ suoi limiti; e questi sono pur limiti de’ vicini. — All’incontro, i grandi di qualunque scienza, coloro che la compresero tutta nell’ampia lor mente, ne compresero sempre i limiti ultimi, e così le connessioni con tutte le altre vicine. E questo è carattere loro così costante, che non solo gli antichi quando le scienze eran ristrette, ma anche i moderni coltivatori di esse crescenti e cresciute, Dante, Galileo, Descartes, Pascal, Newton, Leibnizio e gli altri simili, errarono sì talora addentro, talor fuori de’ limiti della propria scienza, ma non mai nel non volerne uscire con altri metodi, nel non iscorgere e connessioni della propria con l’altre scienze. Nè io crederei che così errasse nemmen Bacone, che ne fu troppo incolpato; ma solamente i seguaci, pervertitori e ristringitori del metodo di lui. Ma fra tutti, Pascal ne’ suoi Pensieri, Newton nella conchiosione de’ suoi Principii, diedero forse i due più begli esempi che sieno, del modo di proseguire quelle sublimi connessioni.1

II. Non facciamo nella scienza nostra quell’errore; non respingiamo niun metodo, niuna verità di niuna scienza; non restringiamo volontariamente la nostra mente. Volendo meditare la scienza storica, non poggiamo come principio di essa che tutte le verità sieno deducibili da essa; pogniamo anzi quello, che le stesse verità proprie possono essere avanzate dall’altre; e se ci parve che la storia sia la via più facile alle verità più generali, persuadiamoci fin di qua, che ella v’arriva più facilmente e più in là, quanto più ella s’aiuti di tutte le altre scienze, che son tutte compagne. La scienza delle azioni umane, non che compiersi, non può nemmeno ben incominciarsi se non dalla cognizione del campo tutt’intiero in che l’uomo le adempie, del luogo ch’ei vi tiene, del destino che egli, conscio o non conscio, vi prosegue. E Queste cognizioni essendo appunto di quelle chi stanno su’ limiti, che sono comuni alla scienza nostra ed all’altre, elle si debbono osservare tranquillamente di qua e di là, seguendo le vie, accettando i metodi di ciascuna delle scienze concorrenti, e comparandone i risultati. — Ciò faremo a nostra possa; e se così parremo forse lenti e gravi agli studiosi di storia, affrettati e leggeri agli studiosi dell’altre scienze, questo è di que’ pericoli inerenti al proprio assunto, che bisogna saper incontrare.

III. La storia della Creazione ha, come tutte altre, due qualità di fonti, le narrazioni e i monumenti. Le narrazioni sono quelle numerose cosmogonie, le quali si trovano in capo a tutte le storie, a tutte le tradizioni sacre o profane antiche. I monumenti sono gli astri del cielo e la terra, oggetti delle due scienze speciali dell’Astronomia e della Geologia. Il confronto tra quelle narrazioni e que’ monumenti, tra te cosmogonie storiche d’una parte, e l’Astronomia e la Geologia dall’altra, è il primo che tocchi fare alla critica storica. Ma fatto e rifatto più volte in guise varie e contrarie, sarebbe piuttosto oggetto di dispute scientifiche che di meditazioni volgari; se non che, rifatto un’ultima volta ai nostri dì, egli è giunto a tal grado di chiarezza, da riuscir comprensibile e facile a qualunque mente mediocremente attenta e contemplatrice.

IV. Delle cosmogonie antichissime, Egizie, Persiane, Indiane, Cinesi, Germaniche, scandinave e di quante altre ci rimangano delle nazioni primitive, noi non entreremo a dire ad una ad una, non avendone luogo qni; nè ne diremmo quando l’avessimo, non volendo far partecipare a’ nostri leggitori quella noia inutile che abbiamo provata quanti ci siamo accinti a volerle intendere o solamente leggere. Del resto, chi non crede, vi si provi. Sono numerosi e volgari i libri, instanti gli stadi fattine lungo tutto il secolo scorso ed al principio del presente; e da uomini non solamente eruditi, ma, per emulazione alla cosmogonia Mosaica, bramosi di trovar nell’altre chiarezza, certezza ed antichità almeno eguali. E tutti questi gridarono si più volte trionfo, ed annunziarono il gran trovato. Ma, venuti dopo l’annunzio alle esposizioni, non riuscirono nessuno a ninna tollerabilmente chiara; venuti alle spiegazioni, non arrivarono se non a confusioni via via maggiori; e se talora in alcune trovarono qualche parte intelligibile, questa riusci intelligibilmente assurda, contraddittoria ad ogni altra notizia del nostro intelletto2 — Tutte queste cosmogonie primitive si potrebbero classificare quasi in famiglie secondo lor somiglianze vicendevoli. Parecchie fanno nascere il mondo da un seme od un uovo; altre dalla congiunzione di due principii maschio e femmina; altre da una fecondazione o corruzione o svolgimento spontaneo della materia primitiva, terrestre, acquea, aerea od ignea, cioè da uno di que’ quattro che si chiamavano elementi; altre finalmente dalla fortuita combinazione degli atomi. Talora, non che sciorre, elle non introdussero nemmeno la difficoltà dell’origine del seme o dell’uovo o de’ due principii o de’ quattro elementi o degli atomi; talora, volendola sciorre coll’intervenzione degl’Iddii, elle si complicarono, e fecero derivare gl’Iddii stessi da una o più delle medesime origini; e per lo più elle rimescolarono tutte queste, non fecero altro se non risalire dall’una all’altra, e non cessarono se non quando mancò la pazienza o l’imaginazione de’ primi, de’ secondi o dei successivi inventori.

V. Non è quindi meraviglia se la più complicata, e per complicazioni più contraddittoria di sé stessa, fra le cosmogonie antiche, fu l’ultima, la Greco-Romana. Qui, il padre, il re del mondo, il Dio sommo era fatto nascere in un’isola della terra già creata; era figlio d’un altro Iddio, del Tempo; era suddito tiranneggiato d’un terzo Iddio, o d’un principio, d’una legge non fatta da lui nè da nessun Iddio, la legge del Fato; e questo Fato inesorabile pur si pregava; ed una Dea diversa ed inferiore era pur essa adorala come generatrice universale, ed era madre dell’Amore che era pur il principio d’ogni generazione, e la Dea era pur nata dal Mare, e il Mare era Iddio o dominio d’un altro Iddio: e via via ciò che san tutti di quella cosmogonia Greco-Romana che si potrebbe chiamare anzi vero caos d’Iddii. E quindi non è meraviglia se in questa più ancora che nell’altre si perdettero gli espositori tutti; se in questa, men che nell’altre, non si trovarono mai ninna di quelle filosofie nè parti di filosofia così sovente annunziate. Il fatto sta, che, e nella cosmogonia eclettica Greco-Romana e nell’altre primitive non è se non una gran questione filosofica da sciogliere; come sia potuto avvenire che tra tante cosmogonie inventate, non siasi inventata, o se inventata mai privatamente, non accettata da tutti la più semplice di tutte, la più facile al nostro intelletto, la più cónsona a nostra ragione, quella che fa derivare il mondo tutto, materia e forma, senza aiuto, senza successione di altri Iddii, da un solo Dio, solo creatore, solo preesistente, solo eterno3.

VI. Ma non inventata esisteva tal cosmogonia prima di tolte l’altre per tradizione, di che abbiamo un chiaro e magnifico documento nel libro di Giobbe.4. Del quale non importa che sia anteriore o no a’ libri mosaici, o di scrittore ebraico o no; ei ci tramanda ad ogni modo una tradizione esistente fuori d’Israello, più o meno tardi in quelle età primitive. Ad ogni modo, la Genesi fa determinazione, forse ampliazione, certo sanzione di quelle tradizioni. Ed insegnò fin d’allora con meravigliosa semplicità, brevità e chiarezza: che Iddio solo esisteva in principio e creò tatto, cielo e terra, tutta la materia5; che il primo atto della divisione della materia e dei mondi fu la creazione della luce6; il secondo la divisione delle acque, delle materie fluide nell’immensità de’ cieli7; il terzo la divisione della terra e dell’acque sul nostro globo8; e via via la germinazione vegetale su questo, l’apparizione de’ luminari celesti, la creazione degli animali acquatici, de’ volatili, de’ terrestri9; finché, condotta a termine e perfezione ed apparecchiata l’abitazione dell’nomo, ei creò l’uomo principe di tutti gli abitatori della terra, re di essa, scopo «Mia creazione sovra essa, solo spirito fatto quaggiù ad immagine e similitudine di SÈ10. E certo (affrettiamoci a dirlo, per timore d’aver mal compendiate le sublimi parole della narrazione divina), certo restano difficoltà nell’interpretazione di esse, e così anche in questa cosmogonia; ma non possono non restare anche in una esposizione fatta da un’Intelligenza infinita, ma ad uso d’una finita. Ad ogni modo, tra questa e tutte le altre cosmogonie non riman possibile niun dubbio. Questa non ispiega tutto, ma l’altre non ispiegano nulla; questa ci soddisfa in parte, ma l’altre non soddisfano a nulla; o per dir meglio, questa soddisfa a tutte ciò che è necessario sapersi da noi, le altre contraddicono a tutte le facoltà, a tutte le condizioni della nostra intelligenza, ed oscurano principalmente ciò che ci è più necessario. In breve, l’esame intimo di ciascuna delle cosmogonie implica falsità di tutte l’altre, verità della sola Mosaica; e quando per far la storia della creazione non avessimo se non le cosmogonie, la comparazione di esse basterebbe a farci accettar la Mosaica, e rigettar tutte l’altre. E poichè parecchi popoli antichi, come gli Egizii e i Greci e i Romani ebbero tra le molte pur cognizione di questa cosmogonia Mosaica, e tuttavia non seppero fare tal paragone e tale scelta, ei bisogna dire che sia più irragionevole che non si crede la ragione umana quand’è pervertita, ed anche quando si sforza da sè a rialzarsi dalla perversione.11

VII. Ma ora, se dopo comparale le narrazioni noi compariamo le interpretazioni de’ monumenti fatte nelle diverse età dalle due scienze dell’Astronomia e della Geologia, noi troveremo povere pure e deficienti queste interpretazioni lungo loda l’antichità. Sarebbe poi opera diversa dalla nostra il narrarne le vicende; osserveremo solamente che elle forano ano de’ primi tentativi fatti dall’antica filosofia per andar più oltre che non le religioni. Talete, Pitagora e tutti i primi sapienti furono, secondo la loro età, osservatori attenti e sagaci e dei fenomeni del cielo e della terra, e delle reliquie degli stati anteriori di questa; ma dalle loro osservazioni essi pure dedussero ciascuno una teorìa esclusiva, secondo che ciascuno aveva atteso più agli effetti del fuoco, dell’aria, dell’acqua o della terra. E qui pure si possono distinguere cosmologie filosofiche semplici e composte; le prime che davano la precedenza e l’operosità generatrice ad uno solo degli elementi; le seconde che variavano e combinavano d’ogni maniera l’opera di parecchi o di tutti. Alcuni, come Pitagora, quasi abbandonando gli elementi e la materia tutta, si volgevano alle leggi di essa, ai numeri, «all’amore, che fu il nome primo, l’intuizione dell’attrazione; e prendendo le leggi e i principii per enti (errore non iscansato da alcuni moderni), facevano questi poi creatori. E tutti in somma, avendo una scienza poco avanzata ed una tradizione sviata, sia che volessero spiegar quella da sé, o riattaccarla a questa, caddero d’errori in errori, e.corruppero più che mai a vicenda la scienza e la tradizione. Socrate, restauratore di quella filosofia già corrotta, già sofistica fin dai principii, filosofo egli incomparabile fra gli antichi, solo forse fra essi che comprendesse insieme la superiorità della filosofia su quelle tradizioni, e la insufficienza assoluta di quella filosofia, socrate abbandonò, raccomandò abbandonarsi quasi del tutto, tutte quelle ricerche delle cosmogonie tradizionali e filosofiche allor vane e improduttive. Ma Platone, Aristotile e gli altri seguaci immediati di lui, e peggio i seguaci de’ seguaci, non seppero imitar lui in quella virtù somma della filosofia, la ritenutezza; e cosi ricaddero ne’ medesimi errori, e ne inventarono dei nuovi, fino a quello, che non so s’io dica allor nuovo o già rinnovato ma certo massimo, della cosmogonia atomistica degli Epicurei; la quale, aggiunta a lor morale del piacere o dell’interesse ben inteso, fu, come si sa, una delle ultime e la più divulgala fra le filosofie antiche, od anzi il risultato definitivo, la conchiusione logica di esse tutte.

VIII.Caduta la scienza antica e per impotenza propria e per ispinta ultima del Cristianesimo, e divulgata la cosmogonia Mosaica, questa colla sua semplicità e compiutezza soddisfece a lungo ai bisogni anche scientifici di tutta la Cristianità. Nè fu forse osservato abbastanza: che la verità di questa cosmogonia contribuì probabilmente molto a non lasciar errare quanto avrebbero errato le scienze materiali e nell’oscurità del medio evo, ed anche all’epoca del risorgimento. Certo la narrazione mosaica universalmente accettata impedì che la filosofia del medio evo ricadesse in quelle ricerche di cosmogonie che avevano fatto perdere tanto tempo e fatica alla filosofia antica. Errarono le scienze nell’interpretazione della cosmogonia Mosaica, ma almeno non errarono fuori di essa’; ed è in ogni scienza un gran pro lo scemar il numero o l’ampiezza degli errori; i maggiori progressi si fanno per eliminazione. Cosi, per esempio, si presero i fossili tutti per reliquie del diluvio; ma appunto cosi si rivolse ad essi l’attenzione universale; e questa scopri a poco a poco che non potevan essere reliquie diluviane, che dovevano essere di altri stati anteriori del nostro globo, delle epoche della creazione, che erano conferma non del capitolo VII, ma del I della Bibbia, conferma ancor più bella.— Noi vedemmo e vedremo sempre più di queste armonie delle scienze naturali colla rivelata; ma prendo intanto quest’occasione di riporre quanto io sappia in onore ed uso un principio, che mi pare troppo vituperato ed essere anzi essenziale alla storia. Il post hoc, ergo propler hoc non è sempre cattivo, anzi perlopiù è buon modo di ragionare sugli eventi umani; niuno è di questi indipendente dagli anteriori o contemporanei; e quando, come qui, noi troveremo qualche scienza, qualche parte di coltura o di civiltà non mai progredita altrove e molto progredita nella Cristianità, noi presumeremo od anche conchioderemo ch’ella non poteva progredire se non nella Cristianità. È vero, che tal principio ci porterà lontano; ma noi non negheremo d’andargli dietro fin dove ci basteranno le forze.

IX.Del resto, questo fatto cosi facile oramai ad osservarsi, del progresso di tutte le scienze nella Cristianità, non era di gran lunga cosi evidente ne’ secoli scorsi. La innegabil distruzione delle scienze antiche al tempo, e in parte per opera del Cristianesimo, e la lunga stazione scientifica del medio evo non erano per anco compensate da’ nuovi progressi; e nel complesso dei secoli cristiani potevano parere più numerosi i retrogradi o stazionari, che non i progrediti. Quindi allora quell'opinione, la quale noi dobbiamo perciò compatire, che il Cristianesimo, non che favorevole e promotore, fosse anzi di natura sua nemico ed oppressor delle scienze; che fossero stati più favorevoli ad esse il divagare, la libertà scientifica antica; che fosse necessario tornar a quella per restaurar la scienza; che fossero due vie, due metodi, due sapienze, non che diverse, contrarie, quella del Cristianesimo e della scienza. E quanto alle scienze cosmologiche in particolare, non bastò separarle dalla cosmogonia Mosaica, e contrapporle; ma, strano e quasi incredibile a dirsi oramai, si tentò restaurare le cosmogonie antiche, e trovar tra esse e la scienza più concordanza. Tornossi all’origine ignea, all’acquea, all’atomistica, a qualunque altra più dimenticata già o più rigettata, con poche o ninne differenze, senza ninna invenzione nuova; tal non essendo nemmeno quella cosmologia che fa dalla materia primitiva ed eterna svolgersi spontaneamente prima l’organizzazione più semplice de’ vegetali, poi quelle successive e più complicate degli animali invertebrati, vertebrati, mammali e manupedi, fra cni non rimase l’nomo se non l’ultimo e meglio organizzato, il pensiero se non un prodotto di tal migliore organizzazione. Cosi di perfezionamenti in perfezionamenti arrivavasi dalla materia rozza all’uomo, oltre al quale dicevasi non poter andare;.ovvero, all’incontro, risalivasi dall’uomo alla materia pnra ed universale. E cosi, escluso Dio creatore, facevasi creatore e Dio la materia. E questo chiamavasi scienza, questo filosofia, questo obbedire alla ragione umana!

X. Ma, ridotta a tale estremo la ragione umana, si ribellò a tali dei, a tale scienza troppo mal detta naturale, e tornò a quella che più conformemente alla nostra vera ed intiera natura, alla più vera ed intiera sapienza, ammette pur la tradizione fra i fonti di essa. Vedremo, lungo tntto il corso delle nostre meditazioni, due grandi tentativi essersi fatti al mondo per separar la scienza dalla tradizione, quello della filosofia antica, e quello dell’antica restaurata. Nel primo, la tradizione provata falsa doveva cadere, e la scienza non aiutata doveva fermarsi. Ma nel secondo la tradizione vera doveva vincere ed aintar la scienza ad avanzarsi. E sia che Cuvier, accettando in sua coscienza qnegli aiuti, venisse da quella a questa, ovvero da questa sapesse risalir a quella, certo egli fu il ^ran restauratore delle vie scientifiche ai principio del secolo presente; e il fu, per aver trovato od anzi ritrovato e rimesso in pratica anche nelle scienze materiali il metodo, la ricerca delle cause finali. Con questo metodo egli istituì una scienza nuova, la Zoologia comparata, e mise sulla retta via la scienza non nuova della Geologia. La quale cosi progredita dopo lui, e facendo forse coli’esempio progredir le compagne, e ad ogni modo connettendoci con esse progredite, con la Botanica, la Fisica, la Chimica e l’Astronomia, sono giunte ora tutte insieme a questi ammirabili risultati: che in tutte ed in ciascuna, è sogno, è assurdità, disragione e non scienza il non ammettere la ricerca delle cause finali, e che questa ricerca è anzi la via più natnrale e più pronta d’arrivare alle leggi generali d’ogni scienza; che quelle cause finali sono in somma il desiderato, queste leggi non altro che la generalizzazione de’ fenomeni di ogni scienza; che (eleggi, che le cause finali de’ fenomeni di ogni scienza si connettono tutte tra sé, e quando si san connettere, si trovano non altro che leggi e cause ancor più generali; che da queste si può arrivare, si arriva di necessità ad nn legislator delle leggi, ad una causa delle cause; che gli altri globi e questo, gli altri mondi e il nostro, cielo e terra, tutta la materia sono un mondo solo, totto connesso insieme, che non potè avere se non un solo Creatore, immateriale; che è intermediaria tra qne’ mondi una materia, special dividitrice d’ogni materia, che non importa come si chiami, calore, luce, elettro, od etere, da qnesto o quello de’ suoi principali fenomeni; che probabilmente tutti i globi, certo il nostro incominciò in istato fluido aeri forme, e non venne se non più (ardi ona parte di esso allo stato liquido, e più tardi ancora un’altra parte allo stato solido; che niun corpo celeste non potè apparire ed operare i suoi effetti sulla terra, niun corpo terreno organizzarsi prima che fatte tali distinzioni; che primi possibili, primi necessari allora furono i vegetali, le cui reliquie si trovano nei terreni più anticamente formati entro al seno della terra; e che seguirono via via poi gli animali acquatici, i pesci, i grandi cetacei e i volanti, le cui reliquie si trovano nei terreni successivi; che sorsero ultimi i quadrupedi, gli animali più simili ai presenti che si trovan ne’ terreni superiori; che tra le une e le altre di queste grandi condizioni successive e migliorate della terra avvennero grandi moti, grandi mutazioni di mari e di terre, onde rimasero qneste sepolte, scoperte, risepolte e di nuovo scoperte più volte; e che l’uomo finalmente, il quale non si trova in nessuna di queste reliquie, non appari se non quando, compiuti tutti que’rivolgimenti massimi, era oramai più sicura, era preparata la sua abitazione; del resto, assurda l’origine, impossibile la trasmutazione spontanea della materia inorganica nell’organica, della vegetale nell’animale, o solamente d’una specie in un’altra; e cosi tutte queste venir necessariamente da’ primi individui che furono di necessità prodotti di altrettante creazioni speciali, altrettanti atti della creazione. E tutti questi risultai poi, quantunque nuovi molti, sono cosi moKiplici, cosi vari, cosi concordi, cosi provati, che ben potrà la scienza ulteriore aggiungervi o forse mutarne alenn particolare, ma non oramai distrarti nelle loro parti essenziali; e che, comparati con tntte l’altre teorie scientifiche anteriori, non può sorgere un momento, un abbaglio di dubbio.

XI. E se ora finalmente noi compariamo questa sola satisfacente, sola scientifica cosmologia colla sola satisfacente cosmogonia, i monumenti cosi studiati colla narrazione mosaica, niuno sarà, credo, il qnale non ne veda le numerose ed oramai compiute concordanze, che vedendole non dia credito alla scienza, non si confermi nella fede alla narrazione, che non confessi una la verità trovata per le due vie, sola vera la storia cosi risaltante. Rimangono, è vero, incerti alcuni particolari, alcune interpretazioni de’ monumenti e della narrazione. Ma che perciò? L’une e l’altre si sono meravigliosamente riaccostate, l’une sull’altre quasi precipitate da poli opposti a produrre una luce inaspettata; non si può dubitar piò nè del loro mirabile incontro, nè della loro derivazione dal fonte, dal fuoco comune della verità. Nè ne dubita oramai più nessuno; se non forse alcuno o di que’ gretti ed esclusivi scienziati che ricusano veder niuna verità oltre l’unica loro scienza, o di que’timidi cristiani che dalle ostilità passate delle scienze si sono avvezzi a temer anche delle scienze ravviate12.

XII. Fermata la storia di questo grande atto di Dio, contempliamolo. Non per certo compiutamente, chè sarebbe opera di tutte insieme, e compiute, le scienze divine ed umane. Per noi la creazione non è da contemplarsi se non come il primo degli atti di nostra storia; e noi avremo poi a rammentarne tanti altri, e sopra tutti uno pur cosi grande, che saremo ridotti sempre ad accennare e delibare, anziché satisfarci in contemplazioni. — Noi non abbiamo fatto qai se non un passo nella storia della terra, nè uno gnari nemmeno nella storia degli uomini; e tuttavia già abbiamo trovati due incontri che sono ingombri a parecchi scrittori della scuola filosofica restaurata: i miracoli e i misteri. Ma appunto, abbiamo già fatto tal passo da non poter tornar indietro, e da persuaderci fin di qua, che que’due incontri non si possono evitare; che, non che avanzare, non si può nemmeno incominciare la storia senza essi; che, eliminati miracoli e misteri da tutto il séguito, resterebbero al bel principio sempre il miracolo ed il mistero della creazione; che, naturalizzata, razionalizzata tutta la storia, resterebbe sempre soprannaturale soprannaturale dì natura sua la creazione. Già dicemmo in generale al fine della prima Meditazione, che non sapremmo assolutamente discorrere di storia universale senza discorrere di relazioni di Dio cogli nomini, di rivelazioni; ma qui diciamo più particolarmente che non sapremmo proseguire senza miracoli e misteri: e già ne prevediamo altri tali, che non potrebbero più che quelli della creazione esser tolti di mezzo. Quindi noi po(remo bene disputare talora se questo o quel fatto sia miracolo o mistero, soprannaturale o no; ma non escludere il soprannaturale dalle nostre contemplazioni.— Qui poi, ne’misteri concomitanti della creazione, noi ne veggiamo di quelli che chiameremmo quasi minori, i misteri della eternità prima del tempo, dello spazio prima della materia; i quali non sono misteri se non per la insufficienza sentita da ciascuno di noi di concepir compiute in nostra mente le idee infinite. Il mistero maggiore, perchè implica non solamente insufficienza, ma apparente contraddizione tra le nostre povere idee, è quello della causa della creazione. Come, perchè volle creare, perchè creò egli Iddio? Iddio, che noi non possiamo concepire se non eternamente’perfetto, eternamente contento, eternamente sufficiente a sè stesso? Ma di questi e di tutti gli altri misteri, i quali noi abbiamo pure ad incontrare, noi lasceremo le contemplazioni compiute a que’ filosofi che ne fanno oggetto proprio, aiutandosi di tutte le facoltà, di tutte le informazioni della ragione e della rivelazione; noi non osserveremo di essi, se non le armonie loro con gli eventi gmaiù, assunto nostro. E cosi noi osserveremo qui: ohe l’inesplicabile, l’ineffabile fine, volere, o piacer di Dio nella creazione, non potè aver per oggetto se non sè sóle, solo esistente prima della creazione; che Egli non operò, nè potè operare se non per sè; che Egli è, e non può essere se non la causa finale di tutta la creazione. — Ma in qual modo è ordinala a tal fine ogni creatura di Lui? Questo sarà oggetto della Meditazione seguente, sarà occasione di contemplar nuove armonie: là, come qui e sempre, di contemplare, armonizzare, adorare.

  1. Non molti Francesi forse seguirono l’esempio di Pascal. — All’incontro, molti Inglesi seguirono e seguono Newton; e non solamente gli autori della citata raccolta di Bridgewater, e Babbage lor continuatore ed Herschel, Mistriss Sommerville e Wiseman che fecero di tali connessioni scopo speciale de’ loro libri, ma quasi tutti i cultori delle varie scienze fra essi. — E intanto gl’Italiani ne tacciono; e molti Tedeschi ne sognano. — Mi par segno irrefragabile, che delle quattro colture la più avanzata sia la Inglese, la quale tende per buone vie a questo avanzatissimo degli scopi scientifici.
  2. Chi n’abbia pazienza, potrà vedere le opere di Dupuis, Benjamin Constant, Creuzer, Anot de Meziéres. Gli Italiani troveran questa tradotta ne’ documenti alla storia del Cantù, e potran veder ivi abbreviatamente la Tav. III, pag. 76. Vedi le varie Cosmogonie accennate nella Storia Ecclesiastica di Rohrbacher.
  3. Veggasi un paragone della più perfetta fra le antiche cosmogonie colla Mosaica nella recente opera del prof. Martin, Études sur le Timée de Platon, 2 vol. 8°, Paris 1841; e principalmente nelle note XXII, Sur la formation de l’âme du monde; XXXVIII, Theologie platonique, cosmographie; e LXIV, De l'origine du monde. — Questo bel libro servirà pure a mostrare quanto siasi progredito nel modo di trattare siffatte quistioni storiche filosofiche.
  4. Che il Teismo puro di Giobbe fosse tradizionale, non Inventato, non razionale, si vede lungo tutto l’ammirabil libro, ma principalmente l’VIII, 8,9. La sua cosmogonia trovasi pure in vari luoghi, ma principalmente IX, 5-11 (se forse questo passo, com’altri, non si riferisce alla memoria forse recente del diluvio anziché alla creazione), e poi XI, 7-10; XII, 7-10; XXVI, 4-13, XXVIII,24-26; XXXVI, 24-32; e tutti i capi XXXVII, XXXVIII, XXXIX, XL, XLI.
  5. Genesi, I, 4, 2.
  6. Ibidem, I, 3-5.
  7. Ibidem, I, 6-8.
  8. Ibidem, I, 9, 10.
  9. Ibidem, I, 11-25
  10. Ibidem, I, 26-31.
  11. I libri mosaici probabilissimamente, e le tradizioni ebraiche certamente furono portate in Egitto da’ numerosi Ebrei che vi migrarono contemporaneamente alla cattività di Babilonia, e così prima dei viaggi che fecero colà parecchi filosofi greci, e fra gli altri Platone. Quindi può far meraviglia che questi sopra tutti non ve le sapesse trovare, e valersene poi, a purificazione, ovvero a conferma del Teismo già puro di Socrate. Ma voleva egli tal purità? o non anzi quasi un compromesso tra quel Teismo e la religione stabilita? non più che un razionalismo di questa? — Ad ogni modo, la Bibbia intiera fu, come si sa, nota in Egitto al tempo de’ Lagidi, e da essi fatta tradurre in greco, e quindi nota in Grecia ed in Roma; ed Alessandro Macedone e parecchi de’ successori, e molti capitani e imperadori romani fino a Tito furono a Gerusalemme; ed intimo d’Augusto fu Agrippa principe degli Ebrei. Eppure tuttociò non bastò a far accettare la prima e più importante pagina della Bibbia, la cosmogonia mosaica!
  12. I cattolici in particolare avrebbero tanto meno scusa di non ammettere l’accordo della Bibbia colla scienza geologica, e di respingere le interpretazioni favorevoli a quell’accordo, che queste sono state pubblicamente insegnate e stampate in Roma, parecchie volte, ma soprattutto ultimamente dal Wiseman (Discorsi sulle relazioni tra la scienza e la Religione rivelata, Disc. V e VI). I bramosi di svolgimenti e citazioni ulteriori potranno cercarle là, e nelle opere di Buckland e di Labèche, in Perrond, Praeletiones Theologicae, vol. III, De Deo creatore; ed in Marcel de Serres, De la Cosmogonie de Moïse comparee aux faitt géologiques, 2 vol. 8°.

Note

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