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I. Gli uomini materia e spirito. - II. Soli spiriti sulla terra. - III. La scala delle cause finali. - IV. Causa finale dell’uomo. Morte spirituale? Metempsicosi? Panteismo? - V. Soluzione data della rivelazione: vita ulteriore ed eterna. - VI, VII. Destini simili di altri spiriti. - VIII. Conseguenze per la storia. Di nuovo i miracoli e il sovrannaturale. - IX. Altre: la preghiera, l’importanza storica delle religioni.
I. Quando l’uomo osserva sé stesso, egli discerne facilissimamente in sè due essenze, due modi diversi di esistenza, la materiale e la spirituale; ei si sente, si discerne materia e spirito. Fra gli innumerevoli filosofi che dal principio fino a noi hanno studiato l’uomo, e fra le innumerevoli opinioni in che caddero, pochissimi caddero in questa di considerare l’uomo come uno di natura sua, di negare la differenza tra lo spirito e la materia, di negare o lo spirito o la materia; e contro a que’ pochissimi si sono sollevate subito e sempre la coscienza del genere umano, la coscienza d’ogni uomo. La natura dello spirito umano, le facoltà, la durevolezza di esso furono si soggetti di questioni frequenti, non solubili le une in niun modo, non solubili altre se non dalla scienza rivelata; ma la immaterialità dello spirito, la non spiritualità della materia sono assioma di qualunque filosofia non rinneghi quella stessa coscienza umana ch’ella si vanta di osservare e seguire.1 — E quest’assioma della coscienza interna è confermato ed esteso poi in ognuno di noi dalla propria osservazione esterna. £ vero, che alcuni filosofi negarono la certezza di ogni osservazione esterna, dell’esistenza d’ogni non io, dell’esistenza soggettiva dell’oggetto; ma sono dubbii, idee, espressioni, confusioni più che niun’altre rigettate dal sentimento personale e comune di tatti gli uomini.2 L’idea dell’esistenza di altri enti simili a noi, intorno a noi, è forse la prima, certo una delle prime di noi fanciulli;3 ed è poi una delle più chiare, delle più universali che sieno nell’uomo crescente od adulto. Non dubita nessuno dell’esistenza simile alla propria, della spiritualità degli altri uomini. E se anche qui si cadde in dubbi sui grado di tal somiglianza, sull’eguaglianza delle facoltà e dei destini umani, se vi cadde l’antichità principalmente «petto agli achiavi; nessuno poi, nemmeno degli antichi, non dubitò mai della spiritualità di niun nomo, nemmeno degli schiavi. — Insomma, la distinzione tra lo spirito e la materia ci è data dall’osservazione interna di noi ed esterna de’ simili a noi, con tal certezza, che ad ogni uomo non filosofo pare inutilità, importunità e stoltezza il volergliela provare; e che tra coloro stessi che s’assumono l’officio di confermare a modo loro il già certo a tutti, i piò e migliori la confermarono sempre ognuno a modo suo in ogni modo; e ne diedero all’uomo il nome di Microcosmo o mondo ristretto, e ne fecero fondamento, punto di partenza di ogni filosofia. L’uomo non è Microcosmo, se non nel senso che comprende in sé le due nature, le due esistenze da lui vedute nell’universo; che, come sé, ei vede l’universo materia e spirito. Tutte le filosofie poi, tutte le scienze, tutta la sapienza, e superiori alla sapienza le idee del bene e del male, della virtA e del vizio, si fondano su questa distinzione. — E sovr* essa si fonda soprattutto la ricerca del fine, e quindi del destino degli nomini. A chi crede tutt’ uno materia e spirito, è inutile, è irragionevole cercare il fine della materia in qualunque modo ordinata; è chiaro, è universale tal fine; è di disordinarsi e non piò. A quelli soli che distinguono materia e spirilo può esser utile, è ragionevole, concedendo quel fine alla materia, cercare il fine, la causa finale, il destino degli spiriti.
IL E perciò osservati noi, creatura uomo, noi dobbiamo osservare tutte le altre, sotto e sopra noi, terrene ed oltreterrene. Incominciamo dalla terra. Sopr’essa, oltre a noi materia e spirito, noi osserviamo con non minor certezza molte altre creature, le qnali o sono solamente materia, o, se mai, sarebbero spiriti mollo diversi ed inferiori a noi.— I naturalisti distinguono le creature in inorganiche ed organiche; e queste in vegetanti ed animate. Ora, che le inorganiche non sieno congiunte con niuno spirito, ninno è che dubiti, se non que’pochi filosofi che dicemmo aver negata la differenza tra lo spirito e la materia; la materia inorganica non ha unà di tutte le facoltà che lo spirito nostro osserva in sé, e di che forma l’idea di spirilo. Le vegetanti poi non ne hanno che nna, la sensitività, od anzi, come si deve chiamare in essi, la irritabilità. Ma qoand’anche si volesse ridurre a qnesta l’idea di spirito, quando nelle creatore vegetanti, od anche nelle inorganiche, si volesse supporre qualche recondita spiritnalità, qualche unione di spirito colla materia, qnesta spiritualità sarebbe cosi menomata e celata alla nostra intelligenza, da non poterne noi assolatamente tener conto in ninna nostra scienza o contemplazione; e sarebbe ad ogni modo cosi immensamente inferiore alla spiritualità nostra, da non doversi nè potersi chiamar col medesimo nome, da far diventar contesa di parole, e non piò, ogni contesa per chiamarla cosi. — Ma tra noi e gli animali, oltre alle somiglianze materiali cosi numerose che non fu guari possibile ai naturalisti il distinguerci materialmente da essi se non come specie da specie, appaiono pure tali somiglianze di facoltà intellettuali, che fu, ed è, e sarà forse dubitato sempre da molti del loro grado di spiritualità.1 Ma nemmeno tal questione non importa guari a noi. Qualunque somiglianza si voglia scorgere tra il nostro spirito e l’anima de’ bruti (imperciocché questa nella lingua nostra non si potrebbe nemmeno dire «pirito),1 qualunque parte d’intelligenza e di durevolezza si voglia concedere a queste anime, qualunque relazione si voglia supporre tra esse e il Creatore; questo pure ri man certo, questo chiaro, questo non disputabile, che la intelligenza, che l’anima de’ bruti è inferiore, immensamente inferiore allo spirito ornano; che le loro relazioni col Creatore non possono nou essere anch’esse immensa man te inferiori a quelle che sono tra Lui e noi. — E in somma, noi quanti siamo contemplatori semplici di tutte queste somiglianze e differenze, noi crediamo che gli
’ Della questione dell’anima de’ bruti vedi san Tommaso somma, pastini (vedi l’indice alla parola ammalia); e Rosmini, Antropologia, lib. II.
- In queste materie è importante tenersi alla significazione delle parole in una lingua sola. Il medesimo suono esprime idee diversissime e sovente contrarie in diverse lingue; ma niun suono, niuna parola ha forse sensi più vari che questo di spirita. In latino si direbbe epiritus, piuttosto che anima, e massime che animus de’ bruti. In italiano si dice anima, piuttosto che animo, ma massime piuttosto che spirilo de’ bruti. — Da noi, spirilo è parola generica che comprende gli sffiriti celesti e gli umani, escludendo i bruti. spiriti umani sieno i soli spiriti abitatori della terra. Ma anche i piò incontentabili contemplatori, i piò ostinati disputatori ci concederanno, che, se non soli, siamo sommi.
III. E ciò solo concedutoci appena, subito ci apparisce chiara una di quelle che non saprei come chiamare ineffabili idee, piaceri o voleri del Creatore, una certamente delle piò sublimi magnificenze della creazione. Vedemmo la scienza traviata aver voluto spiegare la creazione collo svolgimento spontaneo della materia inorganica in corpi via via più e meglio organizzati, aver immaginata cosi quasi una scala di corpi spontaneamente svoltisi fino all’uomo. E vedemmo poi la scienEa ravviata e ricongiuntasi coll’antica e sola satisfacente cosmogonia, aver, per cosi dire, restituito il Creatore nella creazione, o mutata quella scala di corpi spontanei in igeala di creature fatte materialmente superiori l’una all’altra fino all’uomo. E certo questa fu già per si una dello più belle fra le numerose correzioni della scienza progredita.1 Ma ora, se noi concepiamo questa scala delle creature, come di creature non solamente materiali, ma anche spirituali; se dove che incominci l’introdusione in essa d’un’anima qualunque, noi veggiamo nell’uomo poi la sola indubitabile congiunzione dello spirito colla materia, la sola creatura terrena indubitabilmente spirituale e materiale; allora ci appariranno a un tratto ricongiunti terra e cielo, ci apparirà una soala, un complesso solo di tutte le creature terrene ed ultraterrene, ci apparirà più che mai bella a con tempiale questa, che diventerà scala delle cause finali, dall’una all’altra salenti. — Imperciocché tutte le osservazioni, tutte le scienze ci mostrano ogni creatura terrena aver nella sua superiore la causa finale sua; la terra, la materia inorganica esser substrato necessario alla vegetazione; la materia vegetante essere necessario pascolo a molti animali; questi necessaria nutrizione di altri, fino all’uomo, a cui tutta la materia vegetante ed animala è pascolo, od abitazione, o
1 Uno de’ più bei risultati della nuova scienza geologica, aiutata dalle compagne la Botanica e la Zoologia comparate, fu questo, di ritrovare in ceno alla terra molte specie di vegetali e d’animali non più ora esistanti; e di riempir in tal modo molti de’ gradi che parean vuoti nella acala salente delle creature. vestito, od ornamento, o piacere in mille modi; e cosi d’una in altra tutte le creature terrene, aver loro scopo, lor causa finale nell’uomo. — Ma l’uomo non ha creature superiori a lui sulla scala terrena, non ha causa finale sulla terra. Dunque ei deve cercar oltre essa, il grado, la causa superiore; la terra è come piedestallo, su cui egli sta eretto a mirare oltre essa a qualche proprio scopo; è come albergo splendidamente fornitogli, ond’ei debbe riuscire verso qualche destino ulteriore; è mucchio di materia e n«n più, dov’è naturale, è intelligibile ch’egli lasci la sua materia pari all’alti®, ma dove non sarebbe nè naturale nè intelligibile ch’ei lasciasse lo spirito suo. Questi debbe cercare altrove i suoi pari, i suoi superiori se vi sono, ed in ultimo lo spirito superiore a tutti che certo è, poiché li ha fatti tutti, lo spirito sommo che non può non essere, che è al sommo ed oltre ogni scala di sue aseature, causa Quale dello spirito come della materia, caasa delle cause finali, ultima causa finale di tutto.
IV. Quest’ idea del destino degli nomini è cosi volgare, ed in proporzione dello svolgimento d’intelligenza di ciascuno cosi chiara a tutti oramai, che può farci meraviglia che dia non sia stata volgare sempre. Nuova pjova dell’impotenza delle menti umane a spargere per invenzione e scienza le idee più semplici e. più necessarie. Il Catto sta, che questa, ammessa in parte da parecchie religioni e filosofie antiche, non fu lattavi* universale in nessuna, o che anzi si trovano in tutte più o meno.opinioni contrarie. In generale, religiose o filosofiche, false o giuste, compiute o incompiute, tutte le opinioni sul fine, sulla cansa finale,’sul destino degli spiriti umani, si possono ridurre a quattro: 1° La merle dello spirilo, contemporanea colla morte materiato, collo scioglimento della materia a cui va unito: 2°.La Melempncos» o passaggio dello spirito umano in altre creatura ora inferiori or superiori: 3° Il Panteismo, o ritorno dello spirito umano alla universalità degli spiriti, allo spirito universale: 4° o finalmente La vita ulteriore ed «terna, o la durala dello spirito distinto, della personalità, della persona umana, in regioni, in tempi oliràtercChi, nell’eternità. Noi non faremo nè la storia, nè la critica di questo quattro opinioni; ma ci contenteremo di osservare sommariamente quanto alla prima: che I* annientamento dello spirito ridurrebbe questo a condizione peggiore che non hi materia stessa, la quale non reggiamo annientarsi mai, ma solamente sciogliersi, disordinarsi per passare ad altre organizzazioni; e che tale opinione non iseiogtie, ma distrugge la qaistione sdì destino degli spiriti, dì ad essi un fine, ma non una causa finale, un destino; ondeehè questa parve sempre la più improbabile, e fu la più rara delle quattro opinioni. • All’incontro, F opinione seconda della Metempsicosi asskqsa la condizione dello spirito a ’quella della materia, tacendolo passare •nch^esso a nuova esistenza dopo la morte; e cosi questa opinione parve molto più probabile che la prima, e fu dogma di quasi tutte le religioni nazionali primitive. Ma nernmen essa la Metempsicosi non iscjoglie, ella allontana solamente le due questioni: le quali dopo una, o molte, o infinite trasmigraiioai pur rimarrebbero le stesse: come finiranno, a che serviranno gli spiriti? — La terza opinione poi, de’ Panteisti, che al disgiugnergi dello spirito dalla materia lo congiugnersi subito e confondersi collo spirilo universale, dà ben cosi uno scioglimento immediato alla questione del fine, ma non nemmen essa alla questione della causa finale di lui. A Che vivere od esser vivuti distinti qui «osi brevemente, per perdere ogni distinzione, ogni sentimento d’esistenza, anzi propriamente ogni esistenza 1 in eterno? A «he aver sentita l’esistenza qui dOv’è cosi breve.e mal lieta* per non sentirla fellte « durevole mai? A che, o come amare, adorare lo spirito universale, il tutto di che saremmo parte cosi 1 A che poi, e chi amare quaggiù, dove non compagni" o fratelli, ma avremmo emuli, ma usurpatori d’una parte d* esistenza, a col disputar» ogni briciolo d’esistenza terrena, sola preziosa, soia desiderabile, sokquasiesistepza? Il Pan teismo fa diventQf l’amore Egoismo» è la più trista delle qaattro opinioni, più che la prima stessa,la quale lascia al
1 La parola stessa di esistenza da exthlere implica colla particella se parativa ex un modo di essere distinto (UT essere pwo ed infinito. (Vedi Gioberti, Introduzione aliafiosofia, tomo li. pag. Ì4.) meo per a tempo vivere più distinto Io spirito amano; i il più tristo dei dogmi, è la più trista delle filosofie. Eppure, dogma o filotofia, espresso o no, professato o non professato, si trova in fondo a tutte quante le filosofie antiche, o restaurate dall’antiche.1— Or che è ciò? se non prova, non più solamente dell’insufficienza, ma anzi della perversità della mente umana; la quale qualunque volta abbandonò irragionevolmente la rivelazione, non solo non seppe ritrovare mai da sè l’opinione più semplice, ma si fermò a quella stessa.che è la meno satisfacente alla propria ragione, agli stessi suoi propri desiderii. Temiamolo, confessiamolo quindi, od anzi professiamolo per l’avvenire: nuove religioni non son prevedibili, a malgrado le profezie od anche i programmi che se ne van facendo; ma prevedibili sono e la continuazione di molte antiche, e forse il sorgere di alcune nuove filosofie abbandonatrici della rivelazione; e finché ne continueranno e sorgeranno di tali, elle non sapranno provare se non più o meno d’improbabilità, ma non mai l’impossibilità del Panteismo; elle recapiteranno dove recapitarono le preeeditriei, alla soluzione panteistica satisfacente alla questione del fine, ma non a quella della causa finale degli spiriti. £ naturale: lo filosofie che abbandonano la rivelazione, abbandonano più o meno l’idea, o almeno l’importanza dell’idea della causa finale, l’identità della causa finale colla causa prima o causante.
V. E quindi noi rifuggiamo premurosi a quella rivelazione, che sola diede compiuto, e cosi sola volgarizzò lo scioglimento quarto ed ultimo della gran questione, il dogma della vita ulteriore ed eterna degli spiriti. Imperciocché è vero che tal dogma si trova in parecchie delle religioni antiche traviate, e principalmente nella eclettica grecoromana e nelle settentrionali scandinavogermaniche; ma in tutte queste, come poi nella maomettana, la vita nlteriore
1 se si facesse intorno a qualunque delle filosofie privatesi del fonte della rivelazione un lavoro «ritico simile a quello fatto da parecchi, ma principalmente dal Gioberti, intomo alla filosofia del Cousin, ei si verrebbe, credo, alla medesima conchiusione del trovarvi implicato, a malgrado le espressioni contrarie, il Panteismo. Ma non è mala fede di que’filosofi, è impotenza di quelle filosofie. degli spiriti ti trova cosi materializzata, da aver ripugnalo sempre alle menti più contemplalrici, e da aver cosi chiamate nuove modificazioni dalla filosofia. Ma nè questa non le diede mai satisfacenti. Bisogna vedere in Platone,’ che fu pure il più immaginoso e il più spiritualista de* filosofi antichi, quanto confusa e povera, e male spirituale fosse ogni loro idea della vita ulteriore degli spiriti. E se socrate, forse, ed alcuni altri ne concepirono nna più chiara, certo è poi che eqsi non la poterono diffondere mai, e che non fecero salir mai il genere umano oltre l’idea materiale de’ Carni» Elisii o de’ paradisi d’Odino o di Maometto. — All’incontro, l’idea della vita eterna fu senza dubbio più pura, più spirituale, più precisa, o nelle prime rivelazioni tramandate da Adamo e Noè a tutto 11 genere umano, ed in quelle tramandate specialmente da Abramo, da Mosè e dai Profeti al popolo ebreo; essendo falso il dir di alcuni, che non si trovi cenno in tutto l’Antico Testamento del dogma della vita eterna; chè anzi se ne trovano molti.’ Tuttavia è certo che questi cenni sono mollo meno chiari in quelle rivelazioni e in tutto l’Antico Testamento che non nel Nuovo; e convien dire che non paressero chiari nemmeno a tutti gli Ebrei, posciachè si trovan questi divisi più tardi in due opinioni, due sètte, non iscomunicata nessuna delle due, i saducei ed i Farisei, i primi de’ quali o non credevano, o non tenevan conto dell’opinione della vita eterna, creduta solamente dagli ultimi. — Il fatto sta, che queste oscurità ed incertezze non cessarono se non per l’ultima e maggiore rivelazione di Gesù Cristo. Egli primo, egli solo degnò spiegarsi in tal modo da
- Vedi principalmente il Fedone e il Timeo; e per questo il commenta citato del signor H. Martin, e principalmente n’XXII, XXXVMXJJV, CXXXIX, CCVII.
1 1 principali sono: Genesi, 1,26,28;— ib., 11,7; — ib., XV, 15;—ib., XXXVII, 35;—ib., XLV11,9. —Numeri, XX, si;—ib., XXVII, 13. — Eoclesiastes, XI, 9; — ib., XII, 7, 13, 14. — Proverbi, XIV, 32. — EzechieUe, XXXVII, 2,14. — Damele, XII, 8, 3. —Tobia, 11,15, 18. — sapienza, 111, 4, 9;—ib., V, 16. —Psalmi, LXXI1, 85,26. E questi sono tali ebe anche senza liuto d’interpreti convinceranno chicchessia. Molti altri poi si potranno vedere raunati ed interpretati nel Guéné, Lettree de quelques Juifs à M. de Voltaire, V partie, lettre Vili, et 3* partie, lettre IV; stolberg, Geschichte der Religim Jesu Christi, Wien 1825, 2er Band, ss. 287300, e in Molitor, Philosophie der Geschichte oder uber die Tradition, Munster 1834; 1«* Th., ss. 272274. farle cessare; in lai modo, che fra le tante cattive interpretazioni date alle parole di Lui, quasi nessuno non interpretò male queste; che fra le tante negazioni dell’uno o i’altro dogma, quasi nessuna toccò a questo; e che questo in somma, tramandatoci dalle parole di Lui, nel Vangelo, nella tradizione, ne’fatti, in latta la storia, incorporalo, per cosi dire, nella Chiesa Cristiana, è ginnlo di generazione in generazione, pnro, certo, indispntalo da ninn cristiano Qno a noi; indisputabile da ninno che non voglia rinnegare qnel cnmulo di testimonianze e certezze, più ragionevoli a credere le mille, le infinite volle che non ninno altro argomento, ninn’altra scienza, ninn’altra filosofia. Che se non paresse arroganza l’accennare nn ordine, una superiorità qualnnqne ai benefizi del divino Rivelatore, noi diremmo, ninna delle rivelazioni di Ini chiamar la gratitudine nostra come questa; la qnale, facendoci chiaramente conoscere tal fine, tal causa finale, tal destino degli spiriti terreni, ci dà ragione d’amar qui gli spiriti compagni, e speranza d’altrove ritrovarli; ci dà ragione d’amar e servir fin di qna Lui, il donatore di tali amori e tali esistenze, ragioni di desiderare e sperar quella che non ci appare più insenlita confusione, ma felice ed eterna >~ congiunzione con Lui.—Nè questa, cosi lieta, cosi utile, cosi feconda d’amori e d’adorazioni, è poi dottrina recondita e riserbata a pochi iniziati o sapienti; ma anzi volgarissima in tulli i Cristiani, prima insegnata, prima nota a qualunque fanciullo cristiano, coi appena balbettante si domanda e s’insegna a rispondere in tutta la Cristianità:
D. Chi vi ha crealo?
Jt. Mi ha crealo Iddio.
D. Per qnal fine vi ha creato?
R. Per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e poi andarlo a godere per sempre nella celeste patria.1
Con tal semplicità, in cosi poche parole è sciolto a’ nostri fanciulli il problema maggiore e perenne di tutta la’filosofia, spiegato it destino, spiegala la cansa finale, la storia passata, la presente e la futura degli spiriti umani.
’ Compendio della dottrina cristiana ad uso delia Diocesi di Torino,
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& VI. Ed anche di altri poi. Imperciocché, se non contenti d’aver salila la scala delle creatore materiali e spirituali terrene, noi ci sforziamo di salir pur qoella delle celesti, e chiamiamo a ciò l’aiuto pure di ogni scienza naturale o rivelala quante ci son date, noi impareremo dalla prima primamente: che questa terra, la quale tanto usurpa le nostre preoccupazioni, non è tuttavia se non uno de’ ventinove globi o pianeti principali o secondari che veggonsi girare intorno al globo maggiore e centrale del sole; che altri forse s’aggirano in lontananze a cui non potè arrivare la nostra osservazione; che certamente poi altri corpi diversi in lor costituzioni e lor giri, le comete, a migliaia s’aggirano intorno al medesimo sole or vicinissime, or perdentisi nelle ignote regioni, ed accostatisi forse ad altri soli; che al di là poi di tntlo questo già immenso, già complicalo, già popolassimo sistema planetario nostro, sono in lontananze non più misurabili e ditferenlissime altri soli, e cosi probabilissimamente altri sistemi planetari; che il nostro sole e parecchi altri sembrano aver tra sé qualche connessione, qualche moto comune o intorno a un sole maggiore, o intorno a un centro comune di gravità, e costituir cosi un sistema stellare, comprendente parecchi planetari; che certamente poi sono e si osservano tali sistemi duplici o triplici stellari, ed altri composti di stelle innumerevoli, ed altri ove la materia celeste pare ancora non distinta in globi ma in istato di nebulosità luminosa; che finalmente ed in somma consiste l’universa di una innumerevole moltitudine non solo di globi in parte simili, in parte diversi del nostro, ma di sistemi, di mondi incipienti, compiuti, od anche distrutti. E se, tutto ciò osservalo, noi consideriamo poi che di tutti questi corpi e mondi celesti, molti rimasero lunghi secoli ignoti agli uomini, altri non sono nemmeno ora noti, se non per un punto di luce non discernibile se non in qualche chiara notte per mezzo di qualche ottimo e raro strumento da qualche scienziato che v’attenda, ed altri probabilissimi non ci son noti nemmen cosi: noi potremo ben dire che essi tutti non ebbero, non hanno coll’uomo niuna relazione che d’un momento d’osservazione scientifica ed individuale; e molti non ebbero e non avranno nemmeno questa; e conchiuder quindi non esser credibile che sieno falli nè unicamente per noi, nè per aggirarsi inutilmente gli uni intorno agli altri; che non abbiano una esistenza, uno scopo, una causa finale propria.nota La quale poi se vogliamo trovare, non facciamo come coloro che riscendono di lassù per disprezzar la terra, e noi spiriti terreni. Per quanto alle e grandi sieno quelle contemplazioni, elle finché restano materiali sono meno alte che non qualunque contemplazione spirituale; per quanto alta e sterminatamente grande sia tutta quella materia, ella è meno grande ed alta che non il nostro spirito; il menomo spirito è nella scala delle creature superiore a tutta quella materia; lo spirito non può trovar eguaglianza e superiorità se. non negli spiriti. Prendiamo dnnqne di qua e da noi, e riportiam al cielo le nostre notizie spirituali; ed allora si innalzeremo veramente il nostro pensiero, allora ci parrà probabile, ci parrà chiara l’esistenza in que’ globi, in molti o tutti, o successivamente o alternatamente, o in qualunque modo, di altre creature spirituali, di altri spiriti qualunque sieno, similmente, diversamente congiunti o non congiunti colla materia, inferiori, eguali, superiori a noi, ma come noi creati, come noi destinati « a conoscerlo, amarlo e servirlo nella loro vita per i andarlo a goder poi nella celeste patria! » nota
4 5 VII. Ma quest’esistenza degli spiriti nltraterreni, che non è se non probabilità filosofica più o meno appariscente a ciascuno, secondo le proprie cognizioni, e che non sarà mai filosoficamente prorata a nessuno; quest’esistenza e questa causa finale degli spiriti celesti ci sono insegnate con certezza dalla scienza rivelata. La medesima storia che ci ha date già le origini e la causa finale degli spiriti terrestri, ci dà quelle de’ celesti. Ella ci insegna1 che molli ordini di tali spiriti precedettero i terrestri nel tempo della creazione; che vissero prima di noi una vita simile alla nostra nella libertà di bene o male operare, e nell’aver molti mal usala tal libertà; una vita di prova, di meriti o demeriti come la nostra, alla quale è succeduta, come succederà alla nostra, la vita ulteriore di rimunerazioni e di pene. E di questi noi sappiamo si dalla rivelazione che furono sempre puri spiriti. Ma ne furono o ne sono eglino altri uniti colla materia ? E se cosi, fino a qual pnnto s’assomigliano eglino i corpi loro a’nostri, o tra sé? O fino a qual punto s’assomigliano essi gli spiriti ancor viventi, o che vivranno in islato di prova? Tuttociò non ci è dato, per vero dire, nè dalla scienza rivelata nè dalla non rivelata. Ma alle reticenze della seconda è avvezzo chiunque sia per poco avvezzo a studiare o meditare, ed alle reticenze della prima è pur forza avvezzarci; ella non ci suol dare se non le notizie necessarie od utili, e suol tacere le puramente curiose. E noi abbiamo cosi dall’una e dall’altra oramai quanto ci basta a scorgere approssimati, assomigliati, od anzi immedesimati i destini di tolti gli spiriti nell’universo, chiaro anzi il destino dell’universo tutto. L’universo, tutto il creato è materia e spirito; la materia serve allo spirilo, lo spirito a Dio; i vari luoghi
6 dell’universo non sono se non stanze varie della casa di Dio, non sono se non altari vari nel tempio a sè stesso innalzato da Dio; gli spiriti di ogni globo non sono se non i sacerdoti di ogni tempio.
VIII. Ma riscendiamo di lassù. Il dimorare in quelle contemplazioni non è conceduto se non appunto agli spiriti già purificati, agli Angeli; le poche notizie rivelateci, le poche facoltà scientifiche dateci non cel concedono; e come il corpo nostro attaccato alla terra non può alzarsi se non per nn momento, e ricade, cosi ricade l’animo nostro da quel momentaneo toccare al cielo. Ma non sarà inutile l’esservi saliti un momento. Di là scendendo, e quasi vedute di su in giù, si fanno più comprensibili la terra, il genere nmano, gli eventi umani; di là scendendo, sparisce soprattutto ogni distinzione troppo assoluta tra quegli eventi naturali e soprannaturali, che non appaiono più se non quasi terreni e sopraterreni; sparisce la supposta improbabilità di questi. Creati noi per il cielo, od anzi creature celesti anche noi, fratelli non solo tra noi ma con gli altri spiriti celesti, e figli tutti del Creatore, quelle relazioni tra esso e noi, tra gli nni e gli altri di noi, che narrate dalle storie sacre e travisate ma pur rammentate dall’altre, furono poi negate o derise da alcuni come impossibili, ci parranno non che possibili ma probabili, ma cosi certe, che ci farebbe anzi meraviglia se elle non fossero avvenute. I miracoli, cioè quegli eventi che contrariano le leggi della natnra terrestre, non ci parranno se non effetti di quella natura nniversale, che comprende l’antore stesso della natura, se non atti più diretti di Lui; non li diremo soprannaturali se non relativamente alla natura creata, e non mai innaturali, chè noi possono essere all’autore onnipotente della natnra. Le rivelazioni, cioè la parola di Dio parlata agli uomini in qualunque modo, le discese e le azioni di Dio e degli spiriti celesti sulla terra non ci parranno soprannaturali se non nel medesimo senso; e cosi lo stesso evento massimo della storia nmana, la massima delle relazioni tra cielo e terra, tra il Creatore e sue creatore, il massimo de* misteri, l’umanazione di Dio. E cosi ci si allargherà il campo della storia; cosi ella non rimarrà del tatto
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MEDITAZIONE TEBZA.
Sulla (erra, nè ricuserà cercare oltre essa, talora aiuti, e sempre principio e fine agli eventi nmani.
IX. Non finiremmo, se volessimo prosegnire tutte le armonie, tutte le conseguenze storiche di queste contemplazioni. Delibiamone ancor nna. A molti sarà talora avvenuto più volte di nodrir dubbio in sè soll’ntilità della preghiera. A che, dissero forse, e non solamente nel prosegnimenta di qualche viziosa ma por di qualche buona operosità, a che distrarsi da qnesta, la quale poteva essere utile ad essi, a’ fratelli, o forse all’allargamento stesso del regno di Dio, per rivolgere oziose laudi a quell’Iddio che non ne ha bisogno, a quell’Iddio tanto superiore a noi, tanto innalzato sopra noi nell’impenetrabilità de’ suoi cieli? L’umiltà dell’ente nostro non ci fa ella indegni di tale ufficio di laudatori? La infima importanza nostra non fa ella vano il domandare al regolator del mondo l’intervenzione di Lui contro alle leggi stesse ordinate da Lui, non fa ella quasi importune a Lui le nostre preghiere ? Che prò, che piacere può Egli sentire di esse? — La mente e le parole umane non bastano, per vero dire, a sciogliere compiutamente tal questione, a penetrare nella mente, e, per cosi dire, negli afletti, ne’ piaceri della mente divina. Ma se procedendo, come possiamo, dal cognito all’incognito, noi osserveremo prima, che in tutte le età, su tutta la terra, tutti gli uomini pregarono sempre Iddio con fiducia di essere uditi da Lui; che tra la diversità de’ riti e delle fredenze, questo rito e credenza della preghiera fu ed è universale; se quindi noi considereremo la improbabilità, la impossibilità di questo che sarebbe inganno universale fatto da Dio agli uomini, di fare o solamente lasciar loro credere all’efficacia, che non fosse, della preghiera; noi conchiuderemo certamente che tale efficacia è, è volata, è ordinata da Dio, che ella piace a Dio, muove Dio in qualunque maniera. E quindi sarà spiegato ulteriormente a noi il vero fine, la vera ntilità, il vero ufficio o destino degli spiriti tntti terrestri e celesti, che è di comprendere, di sentire, di pregare e di amare Iddio, di farsi sentire, amare, esaudire da Lui, nniti alla materia, disgiunti da essa, in qualunque condizione, in qualunque laogo, in qualunque tempo della creazione. Né quel concento universale di preghiere, di amori e di virtù verso Dio, la cui idea appena penetrata soddisfa e convince l’animo, ci si farà dubitabile per li misteri a cni ella conduce; noi siamo oramai avvezzi ai misteri. Sia pur mistero il compiacersi di Dio nelle preghiere di sue creature, sia un altro l’errar di molle di queste nella preghiera; quel compiacersi di Dio e questo errare di molte creature sono (almeno sulla terra) due fatti indnbilabili. Ma non é possibile poi che Iddio si compiaccia egualmente in tutte, nelle preghiere delle sante vergini cristiane, e delle sacerdotesse di Venere o di fiacco;1 nelle preghiere de’ Cristiani sacrificatori di lor vita per Iddio e per li fratelli, ed in quelle dei sacrificatori antichi de’ fratelli a proprio creduto prò. Quel dir d’alcuni, che il eoncenlo delle Iodi date a Dio non è guasto a Lui per niuno errore, che tutte le laudi sono eguali dinanzi a Lui, é un grande errore morale, è un abbassar Lui sotto a qualnnque uomo assennato, il quale non si compiace egualmente delle lodi dategli da chicchessia ed in qualunque modo; ed è poi un grande errore storico, poiché non tien conto de’ manifesti eccessi congiunti cosi sovente colla preghiera. E quindi poi, se le laudi, se l’amore a Dio sono lo scopo degli spiriti umani sulla terra, ma se poi non tulle le laudi sono egualmente accette a Dio; senza dubbio la purificazione delle laudi, lo sceveramento delle buone dalle cattive, e la generalizzazione delle purificale, cioè in somma l’abolizione delle religioni false, e la generalizzazione di una sola vera, debbono essere il più importante, anzi il solo importante evento della storia del genere umano. Eppure, molti storici attesero alle religioni quasi ad accessori! di costumi, e ne trattarono quasi in appendici a’lor capitoli delle leggi, degli abiti o degli spettacoli. Non cosi i grandi, per vero dire; i quali, sapendo dare la vera importanza ad ogni evento, fecero della storia delle religioni la ultima filosofia della storia. E noi ci sforzeremo di seguir questi, ben che da lungi, a nostra possa.
- sella prostituzione sacra degli antichi negata da alcuni storici del secolo scorso, vedi le numerose prove in Larcher, n° 491494, al libro 1° di Erodoto, Parigi 1802.
- ↑ Talora dopo l’error filosofico del Materialismo, nacque, come suole per eccesso contrario, l’errore dello spiritualismo universale; ma con due nomi è il medesimo errore. Di due enti che si vogliano identici, non importa qual nome prendasi; resta sempre una l’essenza. Tra la materia e lo spirito non è osservabile da noi se non un’identità: quella d’essere ambedue creature di Dio. Per noi tutto il resto è differenza. Forse Leibnizio nella sua Filosofia delle Monadi, certo parecchi altri Tedeschi moderni nella loro Filosofia delle Forze non sodo puri di tal errore. Ma delle numerose confutazioni di esso non ricorderemo se non questa recentissima e di fatto: schelling, il patriarca dell’ultima e massima di queste filosofie, apri il suo corso di questo anno, rifugiandosi da quella in braccio alla rivelazione.— E con tal fatto particolare, ma grande, si compie quello massimo a che assistiamo del ritorno o riaccostamento di tutte le filosofie presenti alla vera via.
- ↑ Io temerei mettermi in polemiche interminabili, se citassi gli autori di tali errori. A chi vi cade o ammira i cadutivi, resta sempre, grazie all’oscurità delle idee stesse, la possibilità di negare d’esservi caduti.— Ma se non vi cadde nessuno, se l’errore che io dico fatto di rado, non fu fatto mai, tanto più se ne rinforza il mio argomento.
- ↑ La prima idea del fanciullo, dico del fanciullo reale non dell’automa immaginato da alcuni sensisti, è senza dubbio un’idea di esistenza. Ma della propria, o dell’altrui, o delle due insieme? questo noi lasciamo dubbio, rimandando chi cercasse lo scioglimento al trattato Della origine delle idee, e all’altre opere di Rosmini, e de’ contraddittori di lui.
- ↑ La facoltà o piuttosto la necessità inerente alla mente umana di cercar le cause finali di tutti gli oggetti cadenti sotto la sua osservazione, insieme colla impossibilità di trovarne una ai corpi celesti quali si concepivano dall’antica Astronomia, furono quelle senza dubbio che diedero origine all’Astrologia. Postisi gli uomini al centro dell’universo, e fatti gli astri inservienti alla terra, e non vedendo tuttavia a che potesser servirle, immaginarono che servissero colle recondite influenze. È noto che anche in seno alla Cristianità, anche condannate dalla Chiesa, si riprodussero sempre le credenze astrologiche fino alla diffusione delle scoperte di Copernico e di Galileo, cioè fiuo a mezzo il secolo XVII. Dante, cosi ortodosso in tatto e condannatore degli Astrologi condannati, aveva probabilmente trovato qualche mezzo termine per conciliare la sua ortodossia colle credenze astrologiche; e credeva ad ogni modo probabilmente a qualche influenza degli astri Vedi Inf., XV, 66, e Par., XXII, Us.— E vi si crede tuttavia In tutta l’Asia. Vedi Malcolm, storia della Persia, tomo I, pag. 379 (traduzione francese).
- ↑ Le osservazioni ci danno tante differenze di temperatura, di gravitazione e di atmosfera tra’ diversi globi del nostro stesso sistema planetario, da rendere quasi impossibile la supposizione che sieno abitati da uomini simili a noi. Ma che perciò? La fecondità del Creatore ci è già dimostrata dalle osservazioni a noi possibili; e quali elle sieno le differenze de’ corpi od anche degli spiriti colà congiunti od anche degli spiriti puri, rimane intiera la probabilità razionale delia loro esistenza, e quindi della causa finale loro identica coll’umana.
- ↑ La creazione e i diversi ordini degli Angeli, il peccato e le pene di alcuni, la virtù e la vita degli altri non ci son narrate colle origini umane distesamente nè nella Gerifeai, nè in nessun altro luogo del Vecchio o del Nuovo Testamento. Ma nell’uno e neil’altro sono frequenti le allusioni e le narrazioni che suppongono questo, il quale ai vede essere stato costante dogma tradizionale ebraico e cristiano. Vedi san Tommaso, svmma Thtologica, pars I, qutest. LLXIV e CVlCXIV.— Petavio, De angelis. — Suarez, De Angelis.