< Misteri di polizia
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XXVIII. I Giornali
XXVII. I Libri XXIX. L'Antologia

CAPITOLO XXVIII.

I giornali.

Il quarto potere non era allora che un’aspirazione, e un’aspirazione assai indeterminata, dei liberali. Pel governo esso era un’incognita. Ciò che allora si chiamava stampa politica si riduceva alle magre notizie che dava ai suoi scarsi lettori la Gazzetta Toscana, che, come tutti i giornali ufficiali, sapeva assumere, nelle più gravi circostanze, un dignitoso ed autorevole silenzio.

L’unico giornale a cui la politica colle sue ardenti discussioni, non escluse le violenze, non fosse interdetta, era la Voce della Verità, di Modena, più che giornale, disgustoso ed osceno libello, dove i liberali, tre volte la settimana, erano vituperati e calunniati con linguaggio da bordello.

Ma, se in Toscana la stampa politica era muta, vi riceveva un’ospitalità, benchè spesso limitata da proibizioni, quella estera, specie la francese. La Polizia, la quale leggeva attentamente gli articoli che si pubblicavano sui giornali stranieri e se ne procurava la traduzione quando essi si riferivano alle cose d’Italia in generale, o a quelle di Toscana in particolare, per quella parsimonia che nei fiorentini discendenti da mercanti è diremmo quasi naturale, non riceveva direttamente i giornali, nemmeno i due o tre più autorevoli che si stampavano in quel tempo a Parigi; e per conoscere quanto questi scrivevano sugli affari del Granducato o degli altri Stati italiani, ricorreva ad espedienti sin’anco ridicoli. Ora si dava uno o due paoli al cameriere d’un Gabinetto di lettura o di Caffè, perchè per una due ore prestasse all’Ispettore di Polizia o a un confidente i Debats o il Temps; ora era un impiegato della cancelleria d’una legazione o d’un consolato estero che forniva il giornale, quando già il signor ministro o il signor console ne aveva fatto la lettura. Nè pare che tutti i caporioni della Polizia sapessero il francese; imperocchè fra gli atti dell’Archivio Segreto si trovano ad ogni piè sospinto traduzioni di articoli comparsi sui fogli di Parigi. E si traduceva e si meditava dai superiori, non solo roba politica o attinente in certo modo alla politica, ma anche impressioni di viaggio scritte da letterati come Alessandro Dumas o Giulio Janin. Una lettera da Firenze, di quest’ultimo, pubblicata nei Débats del 1838, è postillata di pugno del Bologna nel modo seguente: „È un pasticcio di cose insulse, goffe e sconclusionate.„ Naturalmente, la proibizione di circolare in Toscana era per codesti giornali una spada di Damocle pendente sul loro capo. Bastava che avessero pubblicato un articolo un po’ pepato sulle cose italiane, perchè s’impedisse loro di circolare nello Stato. Ma qualche volta il Granduca era meno codino dei suoi ministri e della sua Polizia. Leopoldo II, purchè l’Austria, e per questa il principe di Metternich, non lo sgridasse di troppo, amava di mostrarsi uomo di vedute piuttosto larghe. Non gli piaceva che gli si appioppasse la taccia d’intollerante, come si faceva agli altri principi d’Italia. Il Temps, del 24 maggio 1834, pubblicò un’articolo in cui l’amministrazione del nipote dell’immortale Pietro Leopoldo era parecchio bistrattata. Vi si leggeva: „Le rendite della Toscana ascendono a 20 milioni di lire, tre dei quali sono assorbiti dalla Corte; cioè, un milione e trecento mila Toscani danno a Leopoldo II, ciò che otto milioni di francesi danno a Luigi Filippo, di guisa che se Leopoldo di Lorena fosse re di Francia si buscherebbe ogni anno sessanta milioni.„ Al Bologna l’articolo parve irriverente ed interrogò il Corsini se tosse il caso di vietare l’introduzione del Temps nel granducato, come già era stato praticato per la Tribune e il National; ma don Neri, con biglietto del 15 maggio, rispose: che avendo sottoposto il negozio al Real Padrone, S. A. I. e R. aveva osservato come non fosse opportuno il prendere una misura odiosa contro il giornale parigino. Insomma, il principe riteneva che tre proibizioni, l’una dietro l’altra, fossero di troppo. E il Temps continuò ad esser letto a Firenze.

La stampa periodica letteraria, per circa tredici anni, compendiossi nell’Antologia, il migliore fra quanti giornali di scienze, lettere ed arti si pubblicassero in Italia, nella prima metà del presente secolo. Ma dell’Antologia e della sua soppressione parleremo distesamente in quest’altro capitolo. Degli altri giornali acquistò fama la Guida dell’Educatore diretta dall’abate Raffaello Lambruschini, uomo di costumi intemerati, apostolo dell’educazione e della istruzione popolare in Toscana, ma che la Polizia guardava con occhio sospettoso per i principi liberali da lui professati. Sottoposto il primo numero della Guida all’esame del padre Mauro Bernardini, questi così ne scriveva il 10 febbraio 1836 al Ministro dell’interno: „Il solo annunzio che ha precorso questa pubblicazione ha risvegliato i sospetti di idee poco rette ed il giornale la Voce della Verità ha dato valore a questi sospetti ed ha fatto tristi presagi... Comunque sia, in questo fascicolo io non troverei alcuna eccezione, avvertendo però che a forza di storcere alcune frasi potrebbe incontrare qualche disapprovazione, non sui principî religiosi e morali, ma sul metodo.„ — D’un altro giornale educativo, che qualche anno prima aveva incominciato a veder la luce a Firenze, l’Ispettore di Polizia riferiva il 4 febbraio 1834 alla Presidenza del Buon Governo: „Sono autori del nuovo Giornale dei Fanciulli, i noti dottori Giuseppe Beyer e Pietro Thouar, i quali sono animati dal colpevole disegno di versare nei teneri cuori dei fanciulli il veleno nascosto della irreligiosità, della immoralità, del fanatismo e l’alienazione dall’amore e subordinazione al legittimo governo.„ — Accuse più sciocche che stolte; che, il giornale passava per le mani della censura, e l’immoralità con tutto il resto non era che una fantasmagoria del cervello ammalato d’un birro.

Ma fra il 1831 e il 1846, profondamente impensieriva i governanti, non la espressione più o meno equivoca d’un articolo già passato sotto le forbici della censura e della Polizia, ma, all’incontro, la stampa clandestina, specie la mazziniana, che per la via di Livorno, filtrava, malgrado i divieti, le perquisizioni e qualche volta il carcere e le multe, nel resto del Granducato.

L’Apostolato Popolare, sopratutto, che il Mazzini pubblicava a Londra, fornì per lungo tempo alla Polizia motivi di ricerche, di arresti e di processure. Il giornale mazziniano correva dall’un capo all’altro della Toscana senza che mai la Polizia, per quanto s’affaccendasse e si sbracciasse, potesse arrivare a mettere le zanne sugli introduttori. Era allora quel giornale la lettura favorita dei liberali, compresi quelli che in seguito alla comparsa dei libri del Gioberti, del Balbo e del d’Azeglio, mutarono convinzioni, e deposte le idee di unità e di repubblica, si convertirono al sistema delle riforme a spizzico. Già alla Polizia, nel 1838, non era ignoto come il Mazzini tenesse un carteggio assiduo con Pietro Bastogi, F. D. Guerrazzi e Carlo Bini a Livorno, col Ruschi e l’avv. Roncioni a Pisa, con Giuseppe Mazzoni a Prato, con Vincenzo Manteri e G. P. Vieusseux a Firenze; ma sapeva pure come siffatto carteggio, benchè politico, non fosse d’organizzazione insurrezionale; e non dandosene per intesa, pur sorvegliava i corrispondenti del grande agitatore, se non altro perchè dall’innocuo campo della contemplazione non passassero a quello temuto dei fatti. Ma i diffonditori del giornale, ove con calda, eloquente e tribunizia parola il Mazzini cercava di scuotere gl’italiani sostenendo imperterrito il programma che fu quello di tutta la sua vita, cioè, quello di un’Italia una e repubblicana, sfuggivano alla vigilanza della Polizia. Questa, se voleva leggere l’Apostolato, bisognava che andasse a cercarlo presso un consolato, o presso qualche cittadino straniero. Era, peraltro, un giornale di combattimento e i cui scritti appartenevano alle migliori penne che allora vantasse il partito liberale. La parte politica era quasi esclusivamente trattata dallo stesso Mazzini: qualche articolo di letteratura vi pubblicava il Guerrazzi, e le poesie del Berchet, a cui le polizie d’Italia davano un’assidua caccia, vi comparvero quasi tutte, come per la prima volta stampate vi comparvero alcune delle satire di Giuseppe Giusti — s’intende, senza nome d’autore — precauzione peraltro, perfettamente oziosa, chè, a Firenze, la Polizia non ignorava di chi fossero le poesie che s’intitolavano: L’Incoronazione, Lo Stivale, le Mummie d’Italia, Girella. Aggiungiamo subito — come più diffusamente diremo in seguito — che il Giusti era estraneo a quella pubblicazione. Queste poesie, benchè mai stampate, erano cadute nel dominio pubblico, e il Mazzini che ne comprendeva la forza demolitrice, accordò loro la pubblicità nella sua effemeride, strappandole così da quel ristretto numero di lettori liberali toscani, di cui sino allora avevano formato la delizia, per gettarle nel mare magno delle passioni rivoluzionarie che allora agitavano l’intiera penisola. Però quella pubblicazione di strofe settarie in un giornale più settario ancora non lasciò senza sospetti il Governo sulla complicità del poeta in quella stampa; e difatti con biglietto del 9 maggio 1843, il Ministro degli affari esteri faceva conoscere alla Presidenza del Buon Governo come il dottor Giuseppe Giusti avesse ricevuto varie copie del N. 10 dell’Apostolato Popolare per mezzo di Michele Palli, di Livorno, ed aggiungeva. „Non se ne conosce l’epoca, ma pare da non molto tempo.„ Ma il Bologna che conosceva quanto timido fosse il poeta pesciatino malgrado che rivoluzionariamente sentisse, s’affrettò a rassicurare il ministro, anche perchè nel numero indicato — portava la data del 3 febbraio 1843 — non era stata pubblicata nessuna poesia del Giusti.

L’Apostolato Popolare non si pubblicava che ad intervalli più o meno lunghi. Il primo numero vide la luce il 1 gennaio 1842, ed aveva una — Preghiera dei fanciulli italiani, di F. D. Guerrazzi; il primo capitolo dei Doveri dell’Uomo, del Mazzini, il quale vi stampò pure una breve recensione del romanzo di Massimo d’Azeglio: Niccolò de’ Lapi e faceva rilevare l’alto significato patriottico del libro, aggiungendo „che non bisognava meravigliarsi se a Milano avessero stampato quel romanzo, perchè anche fra i censori vi sono italiani.„ Lo stesso numero conteneva l’iscrizione dettata da Alessandro Manzoni per la contessa Teresa Confalonieri. Nel numero sesto (13 agosto 1842), si stampava la poesia del Giusti ora conosciuta col titolo: Brindisi di Girella, ma che allora s’intitolava: Ai liberali del 1831, oggi Avvocati del Fisco. Nel numero successivo (23 settembre 1842), vedeva la luce l’altra poesia del Giusti: Per l’Incoronazione. Nel numero ottavo (2 novembre 1842), si stampava l’altra poesia: La Cronaca dello Stivale. Nel numero nono una prosa del Guerrazzi intitolata: Roma antica con una nota del Mazzini, ove si diceva che si pubblicava quello scritto, benchè la redazione del giornale non dividesse le idee troppo sconfortanti dello scrittore livornese.

Intanto la diffusione sempre crescente del giornale repubblicano dava da pensare al Governo. Don Neri Corsini, l’11 gennaio 1843, scriveva al Presidente del Buon Governo:

„Sotto la data del 25 novembre dell’anno ora decorso è stato pubblicato a Londra il n. 8 dell’Apostolato Popolare.

„Nel detto numero fra le altre cose si legge il componimento poetico: La Cronaca dello Stivale attribuita ad autore toscano e da lungo tempo già conosciuto in Toscana. Il detto numero circola in Italia, malgrado la speciale vigilanza che si esercita generalmente per impedire l’introduzione nella penisola di quella stampa incendiaria, più specialmente destinata ad agire sullo spirito degli italiani. La scoperta fatta di recente in Lombardia di un ritrovato assai artificioso posto in uso per far passare in contrabbando gli stampati in questione, è stato qui ufficialmente reso noto.... Tutti gli esemplari destinati per una medesima località sarebbero legati in un solo volume, il cui frontespizio porterebbe il titolo di un’opera di letteratura, approvata già dal censore.

„Questa indicazione varrà a porre V. S. Ill.ma in grado di prevenire con opportunità l’accennato fraudolento modo d’introduzione di stampe rivoluzionarie, qualora il medesimo venisse realmente praticato in questi dominî.„

Benchè la Polizia austriaca avesse benevolmente insegnato a quella toscana l’arte di mandare a monte i tranelli dei diffonditori dell’Apostolato, il giornale del Mazzini continuò a circolare nei dominî granducali, alla barba delle due polizie.


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