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Giuseppe Nicolosi
1921

PREFAZIONE

L'arte austera di Mario Rapisardi, che non è la facile retorica dei classici di mestiere, l' arte di Lui che è palpito di vita di un pensiero poderoso, che è manifestazione possente del genio che crea l' idea e non ha parola risonante, non è certo il campo che può essere battuto dai molti avventurieri della letteratura ufficiale. Ed è certamente per questo che, l'opera Rapisardiana è stata insidiata dalla congiura del silenzio, quando non è stata fatta segno agli strali velenosi della critica idiota ed interessata da tutti i mercanti che si annidano nel tempio dell' Arte Italiana. Spezzare i pregiudizi dell'ostilità che la stupidaggine e la malafede altrui ha tessuto intorno alla poesia del Rapisardi, penetrarne e comprenderne tutta la bellezza intima e la vigoria di pensiero per mostrarla agli altri, è l'opera coraggiosa ed ardita che il Nicolosi ha compiuto nel suo lavoretto che, se non è classicamente perfetto, dimostra un ingegno non comune. Questo il merito del Nicolosi che non si può negargli, e ch'è il migliore incoraggiamento per proseguire. Catania, agosto 1921. G. Battiati

..... che mai sperate
Dalla giurata propaganda ostile,
Se più il gigante, che abbassar tentate,
S' erge nel gran pensier, nell'aureo stile !
Lucio Finocchiaro

Quando penso alle poderose concezioni filosofiche che costituiscono il nucleo delle ispirazioni poetiche Rapisardiane, mi sento interessato dall'opera stessa, che, a traverso la notte dei secoli, lancierà il grido di protesta e di rivoluzione ideale contro le moderne scuole che non attingono mai alle pure fonti della vita e della natura per darci, che eletta creazione artistica, che sarà come oggi, anche domani, la placida poesia umana dell'avvenire. Così anche questo poemetto del catanese scomparso inosservato dalle turbe plaudenti ed isteriche, irrigidite dallo ibridismo e dallo egotismo, resta sopraffatto e travolto nell'oblìo per la povertà di spirito che è nei critici di oggi. Ma fra tanto parlar di metodi e sistemi non inutilmente io oso affermare che:

Questo componimento poetico è un capolavoro sia per vigoria di stile, che per vivente bellezza d'immagini, e per profondità di pensiero. Dal poeta fu diviso in tre parti: nella prima appare la Morte, regina degli uomini e dei Numi; nella seconda la Vita sorge e trionfa; nella terza la Vita e la Morte regnano insieme sui destini dell' Essere. Esaminiamo queste parti e le strofe di cui consta ciascuna: parte I, Str. I.

Su su dalle tenebre fitta.
Che sopra alle cose si stende,
La Morte, fantasima invitta,
Al trono dei secoli ascende.

Lo sfondo sul quale sorge la Morte è dipinto con sobrietà ed efficacia. Della Morte, nessuna descrizione; un solo appellativo racchiude quello che ne hanno detto altri poeti. Non è l'Atropo dei Greci che tronca con le forbici lo stame della vita; non è la pallida Mors di Horatius Flaccus, che batte con eguale piede alla capanna ed al superbo palazzo; ma è una figura grandiosa che domina tutti i secoli. Qui, fatta astrazione delle circostanze e di luogo e tempo, è rappresentato il trionfo della Morte. Parte I, Strofa II.

Al gelido soffio dell'ale
Abbrivida l'ampia Natura,
Vacilla la face vitale,
L'aureola de' numi si oscura.

Essa non atterisce pochi paurosi, non si contenta d'immerger nel dolore anime umane; bensì arresta tutta la Natura nella sua creazione, toglie ogni splendore alle divinità. E purtroppo ne sono tramontate religioni che, sembravano imperiture alle caste sacerdotali da cui erano amministrate. Si spense la religione d'Egitto come quella di Grecia e di Roma. Chi sa quanto dureranno ancora il Cristianesimo, il Buddismo, il Maomettismo? Strofe III.

Che fuga di trepidi dorsi !
Che eccidio di glorie, d'amori !
Sui campi mietendo trascorsi
L'obblio sparge i nivei suoi fiori.

La furia devastatrice della Morte produce effetti simili a quelli d'un uragano o d'una battaglia. L'obblio è come la quiete dopo la tempesta; i suoi fiori sono bianchi, perchè dalla fusione di tutti i colori si ottiene il bianco. In « trascorsi » è sottinteso il complemento di agente: della Morte. Strofe IV.

Silente ella sorge, ella ingombra
Del cielo la vivida mole;
E immane allargandosi ad ombra
Gli specchi fiammanti del sole.

Anche la materia cosmica che si muove nello spazio senza confini, anche il Sole sono immersi dalla Morte nelle tenebre. «Gli specchi fiammanti» per esprimer la luce ed il calore solare, è frase efficacissima, e suscita in noi l'idea dell'abbarbagliamento. Parte II. Strofe I.

Ma come di nubila balza,
Che fosca nell'aria torreggia,
Se il roseo mattino s'inalza,
Indorasi l'orlo e fiammeggia.

Qui abbiamo il primo termine d'una similitudine non iperbolica, ma naturale. E' un quadro, ove spiccano in diretto contrasto il color fosco della balza nell'ora antelucana e la nuova tinta che prende sul far del giorno, all' apparir del sole. L'ultimo verso ricorda il dantesco:

.......le sue spalle
vestite già dei raggi del pianeta

Ma in questo il fenomeno è già avvenuto; nel verso rapisardiano il fenomeno è colto nel suo svolgimento. Classica è la semplicità della descrizione; nell'oro dell'orlo c'è la tinta; nella fiamma d'un indefinibile colore di porpora, di zafferano c'è la sfumatura. «Nubila» è detta la balza perchè attinge le nubi con la sua altezza; con la sua brevità; la parola rende fedelmente l'immagine. Se invece il poeta avesse inteso dire cinta di nubi, e ciò per accrescerne l'orrido aspetto, qui meglio ci sarebbe stato l'aggettivo nebulosa; in altra composizione poetica «La montagna fatale», il Rapisardi scrisse: Di nuvole perenni atea ha la vetta. Ma se la balza fosse cinta di nubi, non potrebbe produrre il fenomeno luminoso descritto nei versi seguenti; quindi nubila vuol dire che si eleva sino alle nubi. Strofe II.

Così dietro all'ombra solenne
Se un raggio d'amore la invita
Furtiva, tenace, perenne
S'affaccia, si spande la Vita.

Qui si compie il paragone. L'ombra è solenne per il trionfo della Morte che in essa si è svolto; solenne è ciò ch' è grandioso e severo, che ispira timore e rispetto, che costringe dall' ammirazione. L'amore è causa diretta della vita , perchè quasi tutti gli esseri nascono dalla fusione di due germi, avvenuta per quella forza di attrazione che Empedocle chiamò Amore. È vero che alcuni esseri monocellulari si riproducono per scissione, il qual fenomeno i naturalisti chiamano endogenesi o esogenesi, secondo che la scissione va dal nucleo al protoplasma o viceversa; ma questi microrganismi, che nell'Atlantide il Rapisardi chiama

......genti viscide e strane
Che hanno per patria un cacherel di cane,

non sono mai entrati nel mondo poetico. Gli ultimi due versi contengono una bella gradazione costituita dall'affacciarsi furtivo e dallo spandersi tenace. Strofe III

Ignara di fato, di dio,
Di luogo, di tempo, di mira,
Beata in un florido oblìo
L'eterno presente respira.

Qui la Vita è contemplata nel suo significato più esteso di energia che popola la terra di piante e d'animali sempre riproducentisi. Invano i filosofi si affannano a meditare sui destini dell'Essere, sul dio che l'ha cercato, sel tempo ed il luogo in cui apparve per la prima volta. La vita si svolge nella estremità. Strofe IV.

E mentre ogni cosa in lei muta,
E il tutto di lagrime stilla,
Sul torbido oceano seduta,
Come iride immota essa brilla.

In questa strofe come anche nella precedente si accennava alla teoria per cui niente si crea, niente si distrugge, ma tutto si trasforma. L'Essere piange colpito da mille sventure, perchè non può effettuare il sogno di felicità cui tende; e si agita come un mare tempestoso, ma la Vita risplende per sempre. Parte III Str.I

O tenero verde ridente
Per l'avide rime dei lidi
O appeso alla roccia imminente
Fecondo tripudio di nidi.

In «avide rime» abbiamo un aggettivo e un sostantivo latini trapiantati in italiano. Rime significa spaccature, crepacci; angusta rima che usò Horatius Flaccus, ed è del latino classico. In italiano la parola rima con questo senso fu usata da Francesco Berni, da Antonio Cocchi, medico napoletano del sec. XVIII, e da Niccolò Tommaseo. Avide qui significa ampie, che prendono intorno a loro da ogni parte. Questo significato acquistò per metonimia l'aggettivo avidus in Titus Lucretius della cui opera De Rerum Natura, il Rapisardi fece una traduzione che parve al Trezza meravigliosa. Una gentile imagine suscitano i due ultimi versi dì questa strofe in cui il poeta si rivolge alla Natura vegetale ed animale; vediamo la roccia sospesa nel vuoto per un miracolo di equilibrio e i nidi di graziosissime forme, fecondi di nuova prole, lieti di trilli d'amore. Strofe II.

O anima umana, fanciulla,
Che il nume fuggevole agogni,
E assisa fra un'urna e una culla
Ritessi la tela dei sogni.

E' questa la strofe più bella di tutta l'ode. Stupendamente vi è compendiata la vita dell'anima; il bisogno irresistibile di credere in un Ente superiore; il desiderio di un ideale nel quale rifugiasi dopo aver gustato le prime amarezze della realtà. Dalla culla all'urna, vuol dire dal primo sorriso di chi apre gli occhi alla vita sino all'ultimo addio pien di tristezza dei morente che, si avvia verso l'Ignoto. Strofa III.

O armato pensiero, che movi
Di strani castelli all'assalto,
E attorto da serpi e da rovi
Prorompi svolgendoti in alto.

Armato si deve intendere come cinto, fornito di sapienza, che appresta le armi per combattere i mostri dell'ignoranza, annidati nelle menti dei più. Gli "strani castelli" sono i cumuli delle superstizioni che sono aumentate attraverso i secoli di decadenza intellettuale, Rovi sono i triboli che il pensiero deve soffrire prima che una sua gloriosa scoperta venga da tutti riconosciuta; simboleggiano il martirio che deve subire il bene, il vero, il bello prima di entrare nella coscienza degli uomini. In «prorompi» sentiamo l'impeto vivo e ardente di chi combatte per una causa santa. C'è qui il progresso del pensiero umano che s'è compiuto attra-verso tutti gli ostacoli frapposti da chi aveva interesse di soffocarlo. La parola serpi sì riferisce ai preti cattolici in particolare, ed alle caste sacerdotali tutte, che sono state colpevoli di aver ritardato il progresso del pensiero, facendo della dottrina un loro monopolio privato, anzi segreto. A conferma di questa interpretazione della parola serpi, cito due strofe dell'ode rapisardiana: Per la venuta dei Gesuiti al collegio Cutelli in Catania:

Poichè dai nostri mali imbaldanzita
La lojolesca biscia
Sopra la mensa al popolo imbandita
Viscida striscia
O verità, vibra un tuo raggio, e straccia
Dal mostro empio le trame;
O storia, abbassa il piè di bronzo e schiaccia
Il capo infame.
Strofe IV.
La Vita e la Morte abbracciate
Vi guardan dall'arduo sentiero,
E al baratro immenso piegate
Le testi sussurran: Mistero!

La Vita e la Morte agiscono insieme: l'una creando, l'altra distruggendo. L'arduo sentiero e l'atmosfera; oggi che l'areonautica ha fatto nuovi progressi, attraversando l'atmosfera, è meno arduo di quanto lo era ai tempi in cui il Rapisardi scrisse questi versi. Il baratro immenso è l'ignoto; le fronti che vi si piegano, sono le menti che, nella risoluzione dei grandi problemi profondano lo sguardo scrutatore. Mistero: ecco la parola che sorge spontanea sulle labbra di chi, studiando la Biologia, non ha saputo trovar la legge che governa una relazione così intima com'è quella tra la Morte e Vita.

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