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La piada I due alberi

GLI EMIGRANTI NELLA LUNA1


canto primo

Il brodiag e lo studente


i


Mancava ormai la legna e l’acquavite.
Non venne il sonno e ritornò la fame.
3Disse un brodiag ai contadini: “Udite?„

Si lisciava la gran barba di rame
senza parlare, e si togliea tra il pelo
6le foglie secche e qualche fil di strame.

Quelli aprivano gli occhi color cielo,
zuppi di sogno. “Il vento!„ disse: “il vento
9del nord! Quest’anno tarderà lo sgelo!„

E l’isba scricchiolò con un lamento
lungo ad un urto. Alzò le spalle un vecchio
12senza levare dalle palme il mento.

Gli altri alla romba porsero l’orecchio.
"Hai pane, tu„ ghignò il brodiag “tu, fieno!
15legna nel canto! latte anche nel secchio!„


“Che farci?„ disse il vecchio. “Olio, non meno!... „
II lume un po’ guizzò palpitò sfrisse,
18si spense. Il vecchio disse: “Olio, nemmeno„.

Che farci! Serrò gli occhi. Altro non disse.
Ecco e s’empiva l’abituro d’una
21pallida nebbia. Che via via men fisse

vanian le stelle all’alba della luna.


ii


E la luna calante battè gialla
sull’impannata. Netta, senza brume,
25stava, sul liscio mar di neve, a galla.

L’immensa taiga biancheggiava al lume.
Qualche betulla nuda, qualche cono
28d’abete, e solchi d’ombra d’un gran fiume.

E si levò tra quelle genti un suono
dolce di voce: “Il giovine straniero
31giunto tra noi, che parla a noi, ch’è buono...

egli sa tutto; vede anche il pensiero
chiuso nei cuori... egli leggeva un giorno
34un libro, il libro che ci dice il vero...


La Luna, dice, è un’altra Terra, attorno
a questa Terra. E ci si va. C’è gente
37che v’andò, che ne parla, ora, al ritorno... „

La giovinetta voce piovea lente
le sue parole. Balenava un raggio
40or qua or là da due pupille attente.

E il contadino e il boscaiol selvaggio
e donne e bimbi, nella solitaria
43capanna, udian la storia del passaggio

a quella luna, per il mar dell’aria.


iii


Scrollò la testa, il vecchio, e disse: “Fole!
L’uomo non vola, o garrula ghiandaia,
47come gli uccelli e come le parole!

L’acqua ci può. Sul fiume va l’alzaia,
non già per aria. L’aria è aria: nulla.
50Ma l’acqua è cosa, quando pur traspaia.

Fole da dire sotto una betulla
d’estate, a sera... „ Ed ella disse: “Allora
53le nuvole?... „ E il brodiag: “Ecco, fanciulla!


Terra e lombrichi vede chi lavora
la terra. C’è nel mondo altro, che il grano!
56Il sole cade; e l’uomo fa l’aurora!

Uno bisbiglia; e l’ode uno lontano
le mille miglia! I carri vanno a torma,
59da sè, con un fragore d’uragano!

E c’è chi vola senza lasciar l’orma.
Sì! Sì... come la nuvola che batte
62nella luna, e si ragna e si deforma... „

Le sue parole in un chiaror di latte
passavano, nel loro alitar su.
65Come nuvole presto fatte e sfatte

le rimirava l’umile tribù.



canto secondo

Com’è la luna


i


Scórsero i giorni, anche le notti; e il vento
soffiò più forte, e si levò la luna
3più tardi, e il fuoco morto e il lume spento

s’era più presto: un’altra notte, e una
pallida nebbia errò su padri e figli
6non sazi. Ma la madre era digiuna.

Destò la luna i languidi sbadigli
degli altri: a lei si riflettè su gli occhi
9umidi e lustri sotto i curvi cigli.

Si scaldavano un poco ora i marmocchi
a lei. L’ultimo, in terra, il capo ciondo-
12loni via via le urtava ai due ginocchi.

Ella parlò: “Se fosse qui quel biondo
grande... Ma egli prese la bisaccia
15vuota; e chi sa, dov’ora è mai, del mondo?


Io gli avrei detto: Non è lei che ghiaccia
i fossi e i fiumi? Non è lei che imbeve
18del suo biancore i lunghi teli e l’accia?

Non fa la brina e il gelo essa? Ci deve
far così freddo! tra le stelle sole,
21liscie, lustranti! Quel biancore è neve... „

“No, mamma„ disse la fanciulla: “è il Sole!„


ii


E la tribù guardò nel cielo. Quella?
Dunque piena di sole essa trascorre,
25di notte, come una più grande stella?

Una piccola Terra, or sulla torre,
or sull’abete... Ma quell’ombre? Monti,
28quelle ombre, rupi valli greppi forre...

rughe: le rughe delle vecchie fronti.
Ma ella, dunque, è vecchia calva ossuta,
31senza verde di frondi, acqua di fonti?

E la fanciulla disse: "Io l’ho veduta.
In un suo libro. Egli sapea contare
34i monti e i mari. Io l’ascoltava muta.


C’è il Mare di Serenità. C’è il Mare
di Nubi. Anche, di Pioggie e di Tempeste.
37Un altro Mare senza l’acque amare.

C’è la Palude delle Nebbie meste.
C’è anche un Seno, a goccia a goccia pieno
40di guazza dalla grande alba celeste.

E c’è il Lago dei Sogni. Anche c’è il Seno
delle Iridi: tanti alti archi di porte
43nel cielo: un infinito arcobaleno.

Vicino ai Sogni, il Lago della Morte„.


iii


Anche la morte? e dunque anche i viventi?
“No! no! nessuno. Chi v’andò, discese.
47In terra avea del bene e le sue genti„.

Dunque nessuno... O tacito paese
sopra le nubi! O isola del cielo,
50che fiorisci e sfiorisci d’ogni mese!

Il sole ha fatto colassù lo sgelo!
Gli stagni son coperti ora dei gigli
53d’acqua, a fior d’acqua sopra il lungo stelo.


Si sommergono gli alberi vermigli
dentro la cilestrina acqua dei laghi.
56L’aria è fiorita dall’odor dei tigli.

E rossi e gialli spuntano tra gli aghi
d’abeti e pini che nessun calpesta,
59fiori, bocche di lupi, occhi di draghi...

Al dolce vento trema la foresta.
Dalla foresta vengono col vento
62lontane voci di campane a festa...

Vi s’ode ancora un palpito più lento,
un tuffo molle a quando a quando, un va
65e vieni: ondeggiamento sonnolento,

lassù, del Mare di Serenità.



canto terzo

In sogno


i


Scorsero i giorni; ancor le notti, a una
a una, sempre più stellate e scure;
3e più tarda e più vana era la luna.

Ma quelli in sogno ecco prendean la scure
avanti l’alba. Erano, chi tra un denso
6nebbione, chi su ventilate alture.

Chi s’arrestava avanti un mare immenso,
chi camminava, lungo un colonnato
9d’enormi pini, tra l’odor d’incenso.

E non vedeva che a sè stesso il fiato
cerulo, ognuno, e s’ascoltava il gemito
12arido, nel silenzio inabitato.

A pini e cerri i pionieri estremi
davan la scure per la lor capanna
15e i nuovi aratri, e per la nave e i remi.


Quella, in un poggio, il tetto avea di canna
fiorita ancora. Questa, umida ancora,
18nereggiava sotto alte iridi, in panna.

Ma tristi gli emigranti erano! Allora
uno di tronchi costruì l’altare.
21E saliva un soave inno, all’aurora,

dallo scosceso Caucaso lunare.


ii


Due, la fanciulla e il giovane che amava,
ecco non più si videro. Interrotte
25n’erano l’orme a un tondo orlo di lava.

Vicino al Lago, essi, dei Sogni, in grotte
azzurre, orlate d’ellera e vilucchio,
28vivean felici. V’era anche la notte,

presso quel Lago! Era lor letto un mucchio
d’alghe e di felci; e li addormiva il vago
31sogno dell’acque e il fievole risucchio.

Presso il Lago dei Sogni, c’era il Lago
dei Morti; e niuno ardìa venirci. Alfine
34erano soli. Il loro cuor fu pago.


E i morti? Ebbene, anime pellegrine
anch’esse, anch’esse giunte là dal lido
37terrestre, buone e tacite vicine...

non s’udiva che un loro esile strido
di notte, come già sotto le gronde
40a notte buia il pigolìo d’un nido:

lo strido, ch’uno chiama uno risponde,
allor che spunta dalle cime, ed erra
43nel cielo azzurro, e tremola sull’onde

azzurre, come un grande astro, la Terra.


iii


Tutti felici! V’era solo Dio
lassù. Poneano nel lor campo un sasso,
47poneano un segno al lor canotto: È mio!

Ma non premeva le lor vie, che il passo
di miti renne. Il lor tranquillo mare
50solo sentiva remigar lo svasso.

Le donne al Mare senza l’acque amare
soleano andare all’acqua; ma lontano
53gli uomini in pace le sentian cantare.


La vecchia fame li rodea... ma il grano
c’era; ma gialle non avea le reste;
56ma già prendeano le falciole in mano.

Il vecchio freddo li pungea... la veste
c’era: in dosso alle renne era tuttora.
59La legna c’era, ma nelle foreste.

E non c’è dì senz’alba, e l’alba è l’ora
più bella; e senza fiore non c’è frutto,
62e il fiore è bello, il fiore è il più che odora.

Ed è bello ogni boccio, anche s’è brutto...
Sì; ma il lor mondo, più vicino al dì,
65era una falce, un’unghia, un filo... e tutto

in una luminosa alba vanì.



canto quarto

Ritorno in sogno


i


Ed il lor sogno anche vanì dai cuori.
E si sparsero intorno, come i cani
3dopo una morte: vagolano fuori,

fiutano cento miglia oggi, domani
piangono all’uscio. Quella madre a Dio
6tendeva, sola, dentro sè le mani.

Ma c’era, ahimè! tanto piagnucolìo
di madri, al mondo! che potean soltanto
9dire, d’un po’ di carne viva: È mio!

Il cielo alfine si velò, poi franto
giù si versò. L’acqua s’udia cadere
12col suono ora d’un canto, ora d’un pianto.

Non c’erano nel mondo albe nè sere.
C’era un silenzio fatto di frastuono
15nei giorni oscuri, nelle notti nere.


Ed ecco che rimbombò lungo un tuono
allegro, apparve in fondo al cielo un fioco
18raggio di sole, un suo sorriso buono.

E su la terra non restò per poco
che un luminoso sgocciolìo sonoro;
21e poi, tra i cirri e i cumoli di fuoco,

un filo, un’unghia, era una falce d’oro!


ii


Scórsero i giorni; ella cresceva: ed ecco
l’un dopo l’altro scesero a trovare
25la lor capanna e la lor nave in secco.

L’erba cresceva sopra il limitare.
Lungo il lido la nave intarmoliva.
28Là sui monti funghito era l’altare.

Chi stava in monte, ora scendeva in riva
del mare. Chi vivea presso lo stagno,
31ora cercava una sorgente viva.

E ciascuno s’urtava al suo compagno.
Taciti, prima; e quindi alcuno disse:
34Va, mosca! e l’altro ribattè: Va, ragno!


Al Mare Dolce s’accendean le risse
stridule, acute. V’accorrean dai monti,
37l’ascie nei tronchi abbandonando infisse,

gli uomini, calmi e gravi in viso, e pronti,
nel cuore, a tutto. Uno dicea sereno,
40in viso: “O donna, mancheranno fonti!

Prendi l’orciuolo e va per acqua al Seno
della Rugiada!„ Era sparita intanto
43la luna; e folgorava egli un baleno

d’odio a colui che gli tremava accanto.


iii


E malcontenti erravano già tutti
lassù, notturni, nell’odor del sole
47che apriva i fiori e maturava i frutti.

E questi invece si mettea per gole
nere di monti, e quegli ambiva rade,
50nei grandi mari, inesplorate e sole.

E quegli, andando per anguste strade,
vedeva un altro, di rincontro, al varco.
53Si vedeano con truci occhi di spade...


E questi cauto s’allestìa lo sbarco
tra giunchi e biodi, quando, ecco un burchiello
56venir, piccolo e nero, sotto un arco

d’iride... Ognuno fuggì via dal bello
e scese tra le nebbie, alla Palude.
59Ma vi trovava l’ombra del fratello.

E da per tutto s’incontrava, rude,
in quella donna con la sua sommessa
62voce, con quelle creature ignude.

In poco tempo il lor dolore messa
avea la sua radice anche su lì;
65e quella terra era già vecchia anch’essa:

soffriva ognuno ciò che già soffrì.



canto quinto

L’altra faccia lunare


i


Crescea la luna. Ognuno già per ogni
plaga passava come a lui straniera.
3Ognuno al Lago ora pensò, dei Sogni.

Forse la morte non temean, tant’era
la lor tristezza. E il Lago era pur bello
6con le bianche ninfee di primavera!

Ivi abbracciato al dolce oblìo gemello
era il ricordo. Ivi cantava un nido,
9da sè, partito ch’era già l’uccello.

Cantava il cuore, ora, da sè, col grido
d’allora, a notte! E ve l’udian cantare
12i soli morti assisi lungo il lido.

Ed era il Lago ora nel lume, e chiare
fiorian le schiume. Ecco, una luce scialba
15si diffondea nel Caucaso lunare.


E dalle grotte orlate di vitalba
videro, i due, rifulgere le accette
18lassù, nel monte, tra il chiaror dell’alba.

S’udiva per le valli e per le strette
l’arido scroscio delle foglie morte...
21I lor compagni erano sulle vette,

volti ai Laghi dei Sogni e della Morte!


ii


E si levò tra quelle genti un suono
dolce di voce. Usciva allor da un velo
25rado la luna pendula, dal cono

d’un abete. Una nebbia, un ragnatelo
di luce scialba tremolò su crani
28lustri, su cenci e bioccoli di pelo;

e rifulsero allora occhi lontani,
zuppi di sogno, e bocche aperte a un alto
31ululo. Il pugno si stringean le mani.

Videro tutti là, di soprassalto,
quella fanciulla, con le braccia in croce,
34bianca sul liscio lago di cobalto.


Ella parlava timida e veloce.
Quello che ammansa, quello che consola,
37pioveva dalla giovinetta voce.

“Io l’ho veduta. Corre sempre, vola,
passa. Ma mentre va, che non mai posa,
40a noi non volge che una parte sola.

Vediamo, noi, nel cielo azzurro o rosa,
sempre quelle montagne, sempre quelle
43paludi. Sempre. Ma di là? Che cosa

è mai di là, verso le grandi stelle?„


iii


E la luna fu mezza. Erano tutti
di là. Ciascuno avea varcato un nero
47cerchio di monti, un bianco orlo di flutti.

Ciascuno andava per un suo sentiero.
Movean lassù per il paese vuoto,
50silenzïoso come il lor pensiero.

Movean pensosi; e cancellava il moto
l’orme sue stesse; per l’eternamente
53non visto, per l’eternamente ignoto;


là dove il tutto rifiorìa dal niente,
libero, dove s’adempìa perenne
56un sogno, sogno del buon Dio dormente.

C’era anche il pane. E c’erano le renne
placide, il latte, il fuoco: tutto! Oh! molto
59pensava il vecchio; ma di là non venne.

Oh! la sua Terra! Egli torceva il volto.
Veder la Terra gli era assai; chè infine
62e’ non doveva ch’esservi sepolto.

Oh! pur dal fascio, ch’era lì, di spine,
all’appressarsi dell’oscurità,
65veder la Terra rosseggiar sul crine

delle montagne e dileguar di là!



canto sesto

In cerca della guida


i


Più che mezza la luna era, e più ore
restava su, tra l’iridato alone,
3e le notti imbevea del suo pallore.

E sonava il fragor d’un acquazzone,
sempre: era il fiume che la terra brulla
6fendea, cantando la sua gran canzone.

Rimpennava ogni tiglio, ogni betulla.
Era la primavera, era lo sgelo.
9E, una sera, uno esclamò: “Fanciulla!

Dov’è colui che sa le vie del cielo?
La luna è là. Le cose ormai son fatte„.
12Ciascuno attese. Anche quel vecchio, anelo...

“Oh! no! Restiamo! O madre che si batte
perchè ci nutra! O madre che si lascia
15se non dà pane, dopo dato il latte!„


"Dov’è?„ chiedeva con segreta ambascia
la triste madre. Che darebbe or ella
18ai bimbi, a cena? il ferro, ormai, dell’ascia?

“Dov’è?„ Splendeva una solinga stella
presso la luna, per il gran deserto
21del cielo. “Dove?„ “Sì, dov’è, sorella?„

“Dov’è? Cerchiamo. In qualche luogo è certo„.


ii


Si sparsero dall’alba di quel giorno,
come da quercia morta aride foglie
25a una ventata che le sparge intorno.

Stavano, come indifferenti, a soglie
di vecchie case, ad ascoltar lì, gronchi,
28l’uomo gridare e sfaccendar la moglie.

Battean le selve: il frullo dei bofonchi
parea parole: erano péste i picchi
31dei picchi verdi sui marciti tronchi.

Sedean sopra le pietre nei crocicchi,
guardando i carri; con pupille fisse
34seguendo al passo i contadini e i ricchi.


Non c’era più! Non c’era più! Ma disse
alcuno: “Forse... se per suo costume
37quello straniero sol a notte uscisse?„

E per le lande errarono nel lume
di luna, tutti, per le selve rare,
40lunghesso il verde scintillìo del fiume.

Videro alcuni un uomo in mezzo a un mare
di luce, nero, e diedero la voce...
43Ed era il vecchio che volea restare;

sopra un sepolcro, a’ piedi d’una croce.


iii


E scórse un giorno. E spuntò, grande grande,
la luna piena, e per il ciel si mosse.
47Risplendean l’acque, risplendean le lande.

Come di giorno. Un giorno senza rosse
luci, nè voci; il giorno d’un riverso
50silenzïoso, che nessun più fosse.

Per vero, intorno, qualche cane sperso
urlava a lupo. Al colmo era la luna,
53sola soletta in mezzo all’universo.


E nella terra errava quella bruna
compagnia d’ombre. Elle tendean le braccia.
56Avean lassù tutta la lor fortuna!

E case e terre! E persa avean la traccia
della lor guida! E videro uno spetro,
59lontano, col bastone e la bisaccia.

Corsero. Corse, coi marmocchi dietro,
la madre. E come furono di paro...
62era il brodiag. Egli si fermò, tetro.

La grande barba risplendeva al chiaro
di luna... “Guida, esso non c’è, sii tu!
65La luna è pronta... „ Oh! come rise amaro!

Rideva; e i cani urlavano vie più.

  1. [p. 235 modifica]Lessi in un giornale che alcuni poveri contadini russi s’erano dati a credere di poter salire sulla luna e lì trovare terra e libertà. Uno studente leggeva a loro, mi pare, un romanzo di Verne. Nel mio poemetto si tratta invece d’un libro d’astronomia.

Note

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