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LA MESSE
I due fratelli con le due sorelle,
stringendo il grano e le lunate falci,
3mietean le spighe e ne facean mannelle.
Torceano spighe, per legar, non salci.
E le stendeano. O vite, così stese
6le carezzavi con l’ombrìa dei tralci.
L’erbe così, mentre fiorian, sorprese,
morìano al sole; onde alle bestie grata
9si fa la paglia come fien maggese.
Passava il padre tutta la giornata
pei solchi, e ritte le mannelle in croce
12ponea, se l’erba già vedea seccata.
Seguian nel campo l’opera veloce
lieti i fratelli e le sorelle accanto.
15Ma non si udiva, o Rosa, la tua voce.
Un canto, sì, di lodoletta, o un pianto.
In ogni campo alzarono due tonde
mete di spighe. Posero per prime
19quattro mannelle, le più grosse e bionde.
Posero il calcio in terra, alto le cime;
e poi, con le altre sopra quelle e intorno,
22fecero una gran cupola sublime.
Mietean tre giorni. Sul finir del giorno,
era finita. Placida la sera,
25erano i cuori placidi al ritorno.
“Il grano è bello, e, di verdugio ch’era,
secco sin troppo. Con quel sole, ha sete.
28Oggi la spiga ci parea leggiera„
diceva il babbo, e soggiungea: “Vedrete!
Il gran che il sole ora ha stremato e franto,
31poi si rifà la notte nelle mete,
e s’enfia e s’empie, e peserà più tanto„.
Nere le mete: solo qualche lampo
facean le paglie, come se un tesoro
35fosse disperso qua e là nel campo.
Diceano i grilli grazie mille in coro
a chi, tagliato, per lor agio, il grano,
38gittò poi l’arma... La falciola d’oro
brillava in cielo e ricadea lontano.