Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Un uomo serio | Il giurato | ► |
Le commedie immorali
In un palco di seconda fila c’è una signora, un signore e un bambino seduto sullo sgabello di mezzo.
Il bambino, col mento appoggiato al parapetto, si diverte a contare a voce alta tutte le teste calve che vede in platea.
La signora al signore:
— In verità, Gustavo, stasera non mi aspettavo di vederti.
— Perchè?
— Ho dovuto fare il segnale così tardi!
— Non è mai tardi per passare dalla tua strada.
— Sempre grazioso! D’altra parte capirai bene che la cosa di venire al teatro, è stata una risoluzione che lui ha preso lì per lì, proprio sul punto di andare a tavola. Uno dei suoi soliti estri. L’hai veduto?
— È giù nel Caffè che dorme.
— Dorme? e bada che ha dormito finora anche qui nel palco! Che si canzona! Un marito, che dorme sempre, e che in casa non ha mai sonno! Credilo, amico mio, è la più gran disgrazia che possa toccare a una donna.
— E ieri sera?...
— Stai zitto. Ieri sera abbiamo avuto un santo dalla nostra. Appena andato via tu, è tornato lui. Se ti trattenevi cinque minuti di più, ti avrebbe trovato!...
— Ossia ci avrebbe trovati....
— Per carità non ne parliamo neanche. Mi vien freddo soltanto a pensarvi!
— Voglio credere che non avrà avuto in tasca la chiave di casa.
— La chiave ce l’aveva.
— Che imprudenza!
— Ma non era la chiave di casa. Gliel’avevo barattata.
— Giusto volevo dire. A una donnina, piena di giudizio come te, ti avrebbe fatto torto! Sono i primi rudimenti dell’arte del quieto vivere.
— Ti ricordi di quella famosa sera?...
— Pur troppo: ma un’altra volta, in un caso simile....
— Che cosa faresti?
— Rimarrei seduto al mio posto. Alla fin dei conti, che cosa mi potrebbe dire?
— A te nulla; ma con me! con me sarebbe il finimondo. È ombroso, sospettoso, geloso come una bestia! Fossi io almeno una donna da dargliene motivo!
— E novantacinque — grida il bambino, che ha finito di contare le teste calve della platea. Quindi, voltando la bionda testina verso la mamma, e guardandola con due occhioni spalancati e pieni di vita, comincia a dire:
— Com’è bellina questa commedia, ’un è vero, mamma?
— Sì, caro.
— Ma quello che dicono, lo dicono, tutto per chiasso, ’un è vero?
— Sì, amore.
— A vederli di quassù pajono tutta gente vera, ’un è vero?
— Sì, tesoro.
— Hai visto, mamma, quella signora laggiù sul palcoscenico che ha fatto tutti quegli urli, e che poi gli è venuto il singhiozzo, e che la chiamavano la signora Gabriella? Quando l’era seduta sul canapè con quel bel signore tutto vestito di nero, perchè l’ha sentito che arrivava quell’altr’uomo uggioso colla voce grossa, l’ha fatto come te quella volta che tornò i’ babbo a un tratto, e che tu nascondesti il sor Gustavo in camera mia, te ne ricordi?
— Chétati giuccherello! Già, quando ti mando a letto, faresti meglio a dormire! —
Poi voltandosi verso Gustavo:
— Che disperazione, amico mio! Da un pezzo in qua, con queste commediacce immorali, non si può più condurre i nostri ragazzi al teatro!... —