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Le erroiche pazzie, li erroichi humori
le traditore imprese, il ladro uanto
le menzogne de l’armi, e de gl’amori
di che il mondo coglion si inebria tanto
i plebei gesti, e i bestiali honori
de tempi antichi, ad alta uoce canto,
canto di Carlo, e d’ogni paladino
le gran coglionerie di Cremesino.
Sta cheto ser Turpin prete poltrone
mentre squinterno il uangelo alla gente
taci di gratia historico ciarlone
ch’ogni cronica tua bugiarda mente
merce uostra pedante cicalone
ciascun Poeta, e ciaratan ualente
dice tante menzogne in stil altiero
che d’aprir bocca si uergogna il uero.
Per colpa tua cronichista ignorante
nulla tenensis, Vescovo Turpino
drieto carotte ci caccia il Morgante
& il Boiardo, Furioso diuino,
per le chiacchere tue e fole tante
fa dir Marphisa al gran Pietro Aretino
uangelista e propheta e tal bugia
ch’un monsignor se ne uergogneria.
Fu Morgante un cotal manigoldone
che saria trangugliato uita eterna
fu Ruggiero un bellissimo garzone
ma d’Agramante, e di Carlo pincerna
Gradasso, e Mandicardo uno stallone
che non uscian mai della tauerna
Rinaldo un huom bestial senza ceruello
masnadiero di bettole e bordello
Sapete uoi chi fur signor mie cari
Ferrau, Sacripante, & Agricani?
tre ignudi mascalzon senza denari
& tre erranti e ualenti ruffiani
fur marioli inuitissimi e chiari
i quali uolean Angelica in le mani
per prestarla a uettura e giocar poi
gli auanzi che facean de fatti suoi
Rodamonte fantastico animale
fu un berton di donna Doralice
da cui compro Mandicardo bestiale
la sopradetta e diva merretrice
e ne fu Orlando al suo cugin rivale
nel omnia vincit come Turpin dice
fu ben ver chel cavo del senno fore
un natural, e fantastico humore.
Fu Carlo Magno un bel cacca pensieri
e padre di civetti e fottiventi,
Avino, Avolio, Ottone e Berlingieri
Astolfo il vituper de suoi parenti
& era un scempio il Marchese Ulivieri
e il Danese il fachino delle genti
e Gano un trufatel, Namo un castrone
& una pecoraccia Salamone.
D’Angelica Marfisa, e Bradamante
di Fiordiligi, di Morgana, e Alcina
non vo cantar che chi non e ignorante
la vita loro amorosa, eindivina
io l’assimiglio alla puttana errante
Antea, Origilla e Fallerina
l’Anchoria errante anch’essa era puttana
e Gabrina di tutte la ruffiana.
Questo è la uerità non dico fola
come ser Pulci, il Conte, e l’Ariosto
il mio sol Aretin che pel ciel uola
con quel lume chel sol da a mezzo Agosto
e Turpin se ne mente per la gola
e ue lo uoglio far ueder tantosto
state adunque ad udir, o spensierati
i ladri gesti de i guerrier pregiati.
Ma a chi faro io l’inuocatione
prima chio metta i paladini in ballo
Cupido e un furfatin, Marte un poltrone
uno asinaccio il pegaseo cauallo
pe miei fatti le muse non son buone
ch’odio le donne e tutto il mondo sallo
se fusser buone robbe inuocherei
Dante, il Petrarcha, e gli altri farisei
A me potreste dire inuoca Apollo
accio t’infonda il suo fauor diuino
chi fa per me Signor me di uoi sollo
onde col cor contrito a capo chino
ti priego che mi pigli un poco in collo
Apollo mio Philippo Pasquarino
chio diro cose tanto noue e belle
che porranno in stupor fino alle stelle
Tu sei la musa mia tu il mio pegaso
tu la mia stella il mio sole il mio dio
tu il fonte, tu il monte di parnaso
la penna linchiostro e lo stil mio
da Lindo al Mauro da l’Ostro a l’ocaso
se mi presti fauor uolero io
e de gire a man dritta anchora spero
del dottrinal, di Virgilio, e d’Omero
Se mi dai Philippo almo un baso solo
almeno in capo della settimana
a staffetta men uo da polo a polo
e la fama sera poi la mia alfana
coronami pulcherrimo figliolo
di carcioffi, d’ortica, e di borana
che uenendo da te cotali honori
edere torneran mirti, & alori:
Hora col fauor tuo Pasquarin diuo
di Iacinto più bello, e di Narciso
del miser Carlo Imperador scriuo
la ladra historia composta improuiso
perche tu sappia fanciul mio lasciuo
più presto te uorrei chel paradiso
Carlo raccolse per Pasqua rosata
lalta dozzina della sua brigata.
Una dozzina d’huomin Carlo hauea
scielta fra tutte quante le sue genti
ne sol che fusser braui si credea
ma orsi, draghi, lioni e serpenti
& in costor piu speranza tenea
che mal di Iob in glimpiasti in gliunguenti
e li chiamaua per gloria gioconda
i paladin della tauola ritonda.
Hora la Pasqua uenuta è mestiere
alla mensa ciacun sia comparito
i paladin si lanciarno a sedere
come si lancia in chiesa uno fallito
e cominciorno a mangiare e bere
con una sete, e con uno appetito
che la fame, il digiun, la carestia,
con men uoglia berebbe, e mangieria,
Venian le uiuande a son de piva,
di tamburi, di trombe, e come s’usa
& ogni uolta che un piatto arriua
saltella un pazzo a suon di cornamusa
i paladin gridauon uiua uiua
poi senza cerimonie, e senza scusa
chi grapaua un fagian, e chi un pauone
a onta d’Apollino, e di Macone
Astolfo hauendo in lungie un capon lesso
gli affise adosso un furibondo sguardo
capon dicendo, hor fussitu quel desso
fustu quel ualent’huom di Mandricardo
che in pezzi ti farebbe adesso adesso
e detto cio pien d’animo gagliardo
in dui bocconi con terribil possa
lo diuoro con furia in carne, e in ossa.
Rinaldo inuidia al suo cugino hauendo
visto un fagian a canto una pernice
irato horribilmente sorridendo
disse poniam la starna Doralice
in fagian Rodamonte, c’hora intendo
prouar che glie una ladra meretrice
& egli è un poltroncion porco pagano
e soffogollo col coltello in mano
Non disse altro, e nel petto il ferro imerse
a madama pernice alta e diuina
& al fagian dui colpi soli offerse
che gli taglio com’una gelatina
in questo Orlando gliocchi guerci aperse
e fulminando uerso una gallina
la estrema inuitta man crucciosa stese
E tanta ne squarcio quanto ne prese.
Auino, Auolio, Ottone & Berlinghieri
con gran ostination, facean gran guerra
d’intorno ad un grandissimo taglieri,
che in dui colpi lo buttar per terra
senza parole il marchese Oliuieri
contro un coniglio e una lepre si serra
& cito cito di lor carne satio
come un leurier ne fe macello & stratio
Il sauio Namo, il saggio Salamone
con parlar basso arciprudentemente
facian notomia dun buon pauone
di sua uirtu disputando col dente
il panciuto & agiato Re Carlone
era suogliato e li parea niente
mangiar, mangiando libri de pagani
un piatel di pretucci ortolani
Nostro Danese ismisurato e grande
sciocco coglion disutile furfante
facia piu guasto in tutte le uiuande
che non fe al dormi Margutte e Morgante
par orso al mele e cingiale alle ghiande
e che carnoual faccia un ser pedante
soldato a discrettion dun uent’ott’anni
che quanti a denti tanti ha saccomanni
Mentre il pasto era in gloria Astolfo inuita
a ber Rinaldo e brindisi dicea
& una tazza dun boccal forbita
di Mont’alban el sir conuien che bea
e come il uin inuolta sbalordita
la tauola ritonda se uolgea
donde i buon paladin briachi e matti
pel capo sauentar uiuande e piatti,
Messer Marchese Oliuier borgognone
finge non riguardar ueruno in uolto
e mentre si riscaldon le persone
in trarsi il brodo e luno e l’altro accolto
una spalla arrostita di montone
trasse a un tratto e contra Gan fu uolto
la carne gli auento tra il capo e il collo
e tramortito da pachiar leuollo.
Ma tosto in se tornato il conte Gano
el me che puo si strinse nelle spalle
e sopra il petto si pose la mano
fra se dicendo io non son Aniballe
ma ne faro vendetta e dissel piano
e per questa cagione in Roncisualle
condusse Orlando a morir con sua gente
e chi dice altro ne mente e stramente
Ridean con Carlo tutti i paladini
di don Gano che usci del scanno fuori
& eron molli di piu ragion uini
ricamati a minestra & a sauori
i lor habiti d’oro e cremesini
paiono i panni doue i dipintori
finiti c’hanno questi quadri e quelli
le mani si forbiscano a penelli
Odoraua la sala come odora
un gran tinel d’un Monsignor Francese
o come quel dun Cardinal anchora
quando Febo riscalda un bestial mese
finita il pachio di suagina fuora
una Giornea, che a farla un mastro attese
de gli anni trenta, in bei quadri distinti
dove i capricci humani eran dipinti.
Eraui grilli, gatti, topi e piche,
Priapi & Anni, Vulue larghe & strette,
tafani, zanzale, farfalle, & formiche
gli alocchi, barbagianni, e le ciuette,
di mellon fiori, di zuche, e d’ortiche,
fino alle calze da far le borsette
eraui teste, braccia, pesci, e uccelli,
uarii si come son uarii i ceruelli.
Chiunque senza proposito dicea
scomunicata honoranda bugia
de iure acquisteria quella giornea
c’hauerla indosso era una signoria
e tanto gloriosa si tenea
ch’unaltro sfodri altra coglionaria
o menzogna tanto è, che la sua passi
in altro modo la giornea non dassi
Terigi il paggio d’Orlando hauea cura
di ricamarne quel che meglio frappa
apunto Astolfo gentil creatura
che a dir folate se sbandendo scappa
e meglio sa contar una sciagura
che uno Spagnuol non sa portar la cappa
cominciaua ad intrar sul ciel del forno
quando ognun sente un crudel suon di corno.
Goffi perchè sappiate un Almansore
assai piu che un fachin asin gagliardo
della Sabomia altissimo signore
qual mul uizioso altier com’un bastardo
era quel che sonaua a gran furore
dal quinci al quindi nominato Cardo
Cardo Almansor si chiamava il pagano
che porta per cimier Hettor Troiano
Diceua Cardo son bestiale e horrendo
s’alcun di uoi a cor, lena, e polmone,
armisi e uenga a trovarmi chintendo
sostentargli che glie piu che poltrone
Paladin mie non migha sorridendo
disse farneticando el Re Carlone
nipote mio io mi ti raccomando
armati presto, & uà combatti Orlando.
Rispose allora il coragioso Conte
lasciami andar prima a far un seruigio
poi m’armero, e manum propre e sponte
mando colui che braua al fiume stigio
Carlo chel uede sbiancheggiato in fronte
e dun color che par fra il nero e il bigio
disse alla uostra grazia o sir d’Anglante
hor ua tu Astolfo a trouar l’Amostante
Rispose il milites glorioso Astolfo
sacra Corona e mi duol si la testa
c’ho perso il lume e paio un huom di zolfo
e non potrei tener la lancia in resta
tamen per Carlo i noterei nel golfo
del marum magno, e con quella tempesta
ch’un bulo sol brauar arme arme grida
e totum mundem minacciando sfida.
Venner l’arme a staffetta, e il Duca armato
comincio per la sala spasseggiando
pagan, poltron, furfante, disgraziato,
la morte tua è in punta de sto brando
& quello straniamente sfoderato
mille ferite al uago uento dando,
dicea rendite a me cochin pagano
ch’Astolfo son che fei caccar Martano.
In tanto Cardo con rabbioso suono
horribilmente dicea se indugiate
a comparire in campo ad un sol sono
adesso abbruciero questa cittate
non giouera a chiedermi perdono
perche di uoi haro quella pietate
chel gran coglion Bartolameo hauea
quando fuggir qualche poltron uedea
Io uengo, io scendo, a caual monta, aspetta
gridaua d’Inghilterra il Duca altiero,
e con quella ruina, e quella fretta
che trahe del letto un infermo il cristero,
scende le scale, e inanzi chel pie metta
inella staffa, e il culo in sul destriero
ritorna in sala e dice piano & lento
uo confessarmi, e poi far testamento
Vo testamento far, uo confessarmi
prima chio arrischi la mia cara pelle
altro che ciancie e lo mestier de larmi
rida chi uuol, che son tutte nouelle
udendo cio Turpin disse ben parmi
che ti discarchi di tue colpe felle
& confessollo in uno tratto, & poi
monto a caual settati i fatti suoi.
E come fu a caual, trottando un poco
si ferma, e pensa, e seco dice o Duca
andrai o no a por la carne a fuoco
sara me ch’io mi appiatti in qualche buca
perche il condursi in campo è un certo gioco
che suol condure a ellene nos induca,
uo prima ch’ognun dica qui fuggi
Astolfo huomo da ben che qui mori.
Gloria a tua posta, morti che noi siamo
puo sonar mona Fama con la piua
che in poluere di Cipri si possiamo
con Lauro, con Mirto e con l’Vliua
e tanto delle lodi ci sentiamo
quanto delle uergogne Helena diua
o la Zaffetta, a ben chel sappia ognuno
del dato benemerito trent’uno.
Rinaldo in questo si scusa con Carlo
dicendo che a combatter anderia
se l’armi hauessi, & obligo ha di farlo
lequali sono in pegno allhosteria
eccoti Carlo del cui ualor ciarlo
che uede Astolfo che pian pian s’inuia
per ascondersi in luoco oue sua lancia
non fori a lui la uenerabil pancia.
Ahi famoso poltrone, ahi paladino
ahi guerrier della tauola ritonda
con le spalle s’affronta il saracino
guardami in uiso pria che ti nasconda
come la furia de l’acqua un mulino
uolge per forza, o qual sel uento fromba
tal la uergogna con superba uoce
rispose Astolfo huilmente feroce.
Onde animo si fece col brauare
come chi canta per timor di notte
con dir non fuggo, ma giuo a pisciare
che con altr huom ho delle lancie rotte
tu credi forse un uigliaco affrontare
pagan can traditor, squarta ricotte
presto giu scendi della tua giraffa,
fammi un inchino, e scortami la staffa.
Se non per l’elmo, idest in la uisiera
ti pigliero a onta di Macone
e lancierotti con terribel ciera
doue tien la concubina Endimione
e giu non tornerai fino a sta sera
stupir facendo il cielo, e le persone
perche le mosche affamate a improuiso
t’haran pappato gli occhi il naso, el uiso.
Tal ferita uo darti con la spada
ch’una uela di naue andar per tasta
parra chel mondo al di giuditio cada
nello incontrar chio ti faro con lhasta
con cui nel petto uo farti una strada
che dirai non di carne son di pasta
tu intendi, se sei sauio smonta, e scorta
la staffa, e fa con riuerenza accorta.
L’Almansor ch’ode quel brauar furioso
somiglia un huom a cui rimira un cane
il qual è brutto, ner, tutto piloso
ch’abbaia, e poi non morderebbe il pane
& pare in uista tutto dannoloso
sta su l’empir le calze d’ambracane
cotal facea l’armorum dictum Cardo
al brauar magno del guerrier dal Pardo.
Alfin prendi del campo disse ch’io
ti stimo pazzo, buffone, ignorante,
misericordia mamma, babbo mio
diceua alhor ser Astolfo galante
se a questa scampo faccio uoto a Dio
gir al sepulchro pellegrino errante
a Loreto, a Galitia, al Giubileo,
pagan, maran, saracino, e giudeo,
Cosi dicendo il suo caual leggiero
col cor tremante el me che pote esprona
la lancia arresta, e vuol parer pur fiero
Astolfo mio Dio ce la mandi buona
Ecco il Re Cardo cha mosso il destriero
chel paladin uuol trouar in persona
e lo trouo nel scudo, e si lo pose
a far la Ninfa fra uiole, e rose.
Come l’Inglese specchio di prudenza
trouossi in su l’herbete a gambe alzate
grido magnificenza onnipotenza
serenita, maiesta e potestate,
reuerendissimo, illustre, & eccellenza
uiro Domenedio, e sanitate,
non por le mani al stocco ch’io m’arrendo
ma al Canto sono, e me uobis comendo.