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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Biografia di Paolo Costa.djvu{{padleft:10|3|0]]
Porsi le orecchie pazienti indarno
Ai precettor latini, e a me trilustre
Parver Virgilio e Flacco arabi e goti.
In su l’april degli anni alto desío
Di gloria m’arse, e alle antenoree mura
Per vaghezza di lauro e mirto io corsi.
De’ Bardi il canto dagli euganei colli
Agli orecchi mi venne, e rozza lira
Temprai all’arpa caledonia. O folle
Pensier! squallide rupi, orridi boschi,
Precipitosi rapidi torrenti;
Ciel nubiloso, duri petti, atroci
Alme simili al loco, ond’ebber vita,
Obbietti son, che mal si affanno ai dolci
Campi, all’aer sereno, ai miti studi
Di questa molle Italia, e pur, lasciate
Le rive d’Arno, i giovanili ingegni
Correano insanamente a cercar fiori
Per la Scozia sassosa, ed io con loro
Opra e sudor perdea. Quando sull’Alpe
Spiegato all’aura il tricolor vessillo
Attonite mirar l’ausonie genti,
E sanguinosi il Pò, l’Adda, il Ticino
Abbeveraro i gallici cavalli.
Allor lascio la Brenta e al patrio Viti
Ritorno. Oh tempi miserandi! oh cieche
Umane menti! libertade è frutto,
Che per virtù si coglie: è infausto dono,
Se dalla man dello straniero è porto!
I depredati campi, i vôti scrigni
Piange il popol deluso: ira di parte
I petti infiamma: ad una stessa mensa
Seggon nemici il padre e il figlio: insulta
Il fratello al fratello: ascende in alto
Il già mendico e vile, e della ruota
In fondo è posto chi ne avea la cima:
A stranio ciel fuggon le muse; io piango
La mal concetta speme, e nel futuro
Leggo fatti più iniqui: indi i civili
Odii e della Romagna il tempestoso
Cielo fuggendo, qui, dove d’appresso
Della torre maggior la Garisenda