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94 Giovanni Boccacci

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  Le frondi la verdura e ’l tempo ornato
  Di feste di diletto et di sereno.
Questi con la bellezza sua mi spoglia
  Ogn’anno, nella più lieta stagione[1],10
  Di quella donna ch’è sol mio desire.
  A sé la chiama, et io, contr’a mia voglia,
  Rimango senza il cuore, in gran quistione
  Qual men dorriemi, il viver o ’l morire.


LXII.

Toccami ’l viso zephiro tal volta
  Più che l’usato alquanto impetuoso[2],
  Quasi se stesso allora avesse schiuso
  Dal cuoi’ d’Ulixe, et la catena sciolta[3].
  Et poi ch’à l’alma tutta in sé racolta,5
  Par ch’e’ mi dica: leva il volto suso;
  Mira la gioia ch’io, da Baia effuso,
  Ti porto in questa nuvola rinvolta[4].


  1. Cfr. LX, 1-12.
  2. Anche questo sonetto è scritto, come i due precedenti, durante una dimora della Fiammetta a Baia, nella buona stagione (cfr. specialmente, per la menzione di zefiro, LX, 5-8).
  3. Allude al dono, che Eolo fece ad Ulisse, dei venti rinchiusi nell’otre di cuoio bovino (Odissea, X).
  4. Nella dedicatoria del Filostrato esprime, lo scrittore, il medesimo concetto, là dove, detto della lontananza della Fiammetta, afferma che l’unico conforto trovano i suoi occhi ‘riguardando quelle contrade, quelle montagne, quella parte del cielo, fra le quali e sotto la quale’ egli pensa che la donna si trovi, e aggiunge: ‘quindi ogni aura, ogni soave vento che di colà viene così nel viso ricevo, quasi il vostro senza niuno fallo abbia tocco’. Anche a Biancofiore, la quale, separata da Florio, si recava spesso
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