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La dolorosa et puzolente festa[1]
Che festi del tuo nato, quand’in questa
Vita ’l produsse il natural sentiero!
Né lascia questo divenire antiquo
L’infamia tua[2], ché nel cinquantesmo[3]10
Gravida avevi quella cui tenevi[4].
O crudel patria, o sacerdote iniquo!
Poi, dov’huom scarca ’l ventre, per battesmo
Si died’a quel cui generato avevi[5].
CXXII.
AD UN IGNOTO[6].
S’io ò le Muse vilmente prostrate
Nelle fornice[7] del vulgo dolente,
- ↑ Qual fosse, dichiarano i vv. 13-14, che spiegano il perché di quell’epiteto puzolente.
- ↑ «La tua infamia non abbandona il tuo invecchiare (divenire antiquo).»
- ↑ Anno.
- ↑ Per fantesca.
- ↑ Al figliolo.
- ↑ I sonetti CXXII-CXXIV furono diretti tutti quanti ad un tale — non una persona qualunque, a giudicare dalla deferenza con cui accolse le sue osservazioni il poeta — che lo aveva rimproverato di aver prostituito le Muse palesando le lor parti occulte alla feccia plebeia (CXXII, 1-4), ossia, in altre parole, di aver aperto al vulgo indegno i concetti dell’alta mente di Dante (CXXIII, 1-3): il Boccacci rispose umilmente e pazientemente, cercando di giustificarsi con varie scuse. Egli era vecchio e malato (cfr. qui, p. 157, n. 4), e stanco anche della fatica che la Lettura dantesca, affidatagli dai suoi cittadini il 25 agosto 1373, gl’imponeva; infatti poco tempo dopo la sospese (fine di dicembre). Cfr. Giorn. stor. cit., LXI, pp. 360-3; O. Bacci, Il Bocc. lettore di Dante, Firenze, pp. 28-30.
- ↑ ‘Questa voce viene dalla latina fornix, che volta o arco significa, ed in senso metaforico postribolo’ (Baldelli).
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