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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Canti (Leopardi - Donati).djvu{{padleft:198|3|0]]smografia, gli uomini, non sapendo quello che il sole nel tempo della notte operasse o patisse, fecero intorno a questo particolare molte e belle immaginazioni, secondo la vivacitá e la freschezza di quella fantasia che oggidí non si può chiamare altrimenti che fanciullesca, ma pure in ciascun’altra etá degli antichi poteva poco meno che nella puerizia. E se alcuni s’immaginarono che il sole si spegnesse la sera e che la mattina si raccendesse, altri si persuasero che dal tramonto si posasse, e dormisse fino all’aggiornare; e Mimnermo, poeta greco antichissimo, pone il letto del sole in un luogo della Colchide. Stesicoro[1], Antimaco[2], Eschilo[3], ed esso Mimnermo[4] piú distintamente che gli altri dice anche questo: che il sole dopo calato si pone a giacere in un letto concavo a uso di navicella, tutto d’oro, e, cosí dormendo, naviga per l’Oceano da ponente a levante. Pitea marsigliese, allegato da Gemino[5] e da Cosma egiziano[6], racconta di non so quali barbari che mostrarono a esso Pitea la stanza dove il sole, secondo loro, s’adagiava a dormire. E il Petrarca s’avvicinò a queste tali opinioni volgari in quei versi[7]: «Quando vede ’l pastor calare i raggi Del gran pianeta al nido ov’egli alberga». Siccome in questi altri[8] seguí la sentenza di quei filosofi che per via di raziocinio indovinavano gli antipodi: «Ne la stagion che ’l ciel rapido inchina Verso occidente, e che ’l dí nostro vola A gente che di lá forse l’aspetta». Dove quel «forse», che oggi non si potrebbe dire, è notabilissimo e poetichissimo, perocché lasciava libero all’immaginazione di figurarsi a modo suo quella gente sconosciuta, o d’averla in tutto per favolosa; dal che si deve credere che, leggendo questi versi, nascessero di quelle concezioni vaghe e indeterminate che sono effetto principalissimo ed essenzialissimo delle bellezze poetiche, anzi di tutte le maggiori bellezze dei mondo. Ma, come ho detto, non mi voglio allargare in queste materie.

  1. Apud Athenaeum, lib. xi, cap. 38 (ed. Schweighäuser, t. iv, p. 237).
  2. Apud eumdem, loc. cit., p. 238.
  3. Heliades, apud eumd., loc. cit.
  4. Nannone, apud eumd., loc. cit., cap. 39, p. 239.
  5. Elementa astronomiae, cap. v, in Petavii, Uranologia, Antuerpiae [Amstelodami], 1703, p. 13.
  6. Tipographia Christiana, lib. ii, ed. Montfaucon, p. 149.
  7. Canzone: «Nella stagion che ’l ciel rapido inchina», stanza 3.
  8. Stanza i.
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