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[878-882] Morte 281

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Anche il

878.   Κούφα σοι χθὼν ἒπάνωθε πέροι.[1]

che i latini tradussero: Levis sit tibi terra!, è di Euripide (Alceste, v. 462-463), ma confr. pure con il testo di Ovidio, Amores, lib. III, el. 9, v. 68.

Da Orazio trarremo la bellissima immagine:

879.   Pallida mors æquo pulsat pede pauperum tabernas
Regumque turres....[2]

(Odi, lib. I, od. 4, v. 13-14).

e il pietoso lamento:

880.   Linquenda tellus, et domus, et placens
Uxor....[3]

(Odi, lib. II. od. 14, v. 21-21).

e da Tacito la nobile sentenza, in tutto degna di lui ma ch’egli riporta come parole di Agricola:

881.   Honesta mors turpi vita potior.[4]

(Tacito, Vita di Agricola, cap. 33).

Elio Sparziano nella Vita di Adriano Imperatore che fa parte degli Scriptores historiæ Augustæ dice di lui: «Et moriens quidem hos versus fecisse dicitur:

882.              Animula, vagula, blandula,
               Hospes, comesque corporis,
                Quæ nunc abibis in loca?
               Pallidula, rigida, nudula
               Nec, ut soles, dabis jocos.»[5]


  1. 878.   Ti sia lieve la terra che ti ricopre.
  2. 879.   La pallida morte batte ugualmente al tugurio del povero come al castello dei re.
  3. 880.   Conviene abbandonare la terra, e la casa, e l’amabile moglie.
  4. 881.   Un’onesta morte è migliore d’una vita vergognosa.
  5. 882.   O piccola anima, errabonda, scherzosa, ospite e compagna del corpo, dove andrai ora, pallida, fredda, ignuda, priva dei consueti sollazzi?
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