Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
610Dell’oscura Dunscaglia[n 1], ah tocca l’arpa,
Canta Bragela: io la lasciai soletta
Nell’isola nebbiosa. Il tuo bel capo
Stendi tu, cara, dal nativo scoglio
Per discoprir di Cucullin la nave?
615Ah che lungi da te rattienmi, o cara,
L’invido mar: quante fïate, e quante
Per le mie vele prenderai la spuma
Del mar canuto, e ti dorrai delusa!
Ritirati, amor mio, notte s’avanza,
620E ’l freddo vento nel tuo crin sospira.
Va nelle sale de’ conviti miei
A ricovrarti, e alle passate gioje
Volgi il pensier; chè a me tornar non lice,
Se pria non cessa il turbine di guerra.
625Ma tu, fido Conal, parlami d’arme,
Parla di pugne, e fa m’esca di mente29;
Che troppo è dolce la vezzosa figlia
Del buon Sorgàn, l’amabile Bragela
Dal bianco sen, dalle corvine chiome.
630– Figlio di Semo, ripigliò Conallo
A parlar lento30, attentamente osserva
Del mar la stirpe; i tuoi guerrier notturni
Manda all’intorno, e di Svaràn la possa
Statti vegliando. Il pur dirò di nuovo,
635Per la pace son io, finchè sia giunta
La schiatta del deserto, e che qual sole
L’alto Fingallo i nostri campi irraggi31.
Cucullin s’acchetò, colpì lo scudo
Di scolte ammonitor; mòssersi tosto
640I guerrier della notte, e su la piaggia
Giacquero gli altri al zufolar del vento.
L’ombre de’ morti intanto ivan nuotando
Sopra ammontate tenebrose nubi;
E per lo cupo silenzio del Lena
645S’udìano ad or ad or gemer da lungi
Le fioche voci e querule di morte.
- ↑ Dunsaich. Nome del palagio di Cucullino.