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ma non forse inutile. 451

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goethe - Werther, 1873, trad. Ceroni.djvu{{padleft:457|3|0]]possibilità d’avere errato mai? Sei tu tanto orgoglioso da non voler tollerare il pensiero di fare ammenda de’ tuoi errori?

Ma i miei dolori, i miei patimenti, eccedono le mie forze» — insiste il suicida[1].

«Hai tu mai pregato, infelice? intensamente, fervidamente pregato? — Ebbene, pròvati a pregare — e sentirai le tue forze crescere come per celeste prodigio; vedrai, all’ultimo, come quel Dio che tempera il freddo all’agnello tosato, ha commisurato le forze morali dell’uomo alla fralezza della sua natura, solo ch’ei non disperi di Dio, disperando di sè stesso.»[2]

La giustezza di quest’ultima sen-

  1. Vedi, nelle Lettere del Werther, quella del 12 agosto 1771.
  2. Statuite le relazioni di padre e figlio, di Creatore e creatura, la preghiera è una delle conseguenze più immediate e più razionali che ne scendono.
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