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Sancio. Sospenderò di vederlo.

Conte. Appunto desideravo parlarvi.

Sancio. Eccomi ad ascoltarvi.

Conte. L’affare di cui dobbiamo trattare è di qualche conseguenza.

SCENA XIII[1].

Arlecchino vestito a bruno, come sopra, e detti.

Arlecchino. (Viene a passo lento verso il Governatore.)

Sancio. Ebbene, che cosa c’è?

Isabella. (Mi fa paura).

Arlecchino. Son sta a riverir la signora Morte.

Isabella. Oimè! Mi fa tremare.

Arlecchino. E l’ho pregada, per parte de tutta la città, che la vegna a ricever el segretario. Ma la signora Morte m’ha dito, che l’ha paura a vegnir, perchè el segretario l’è un adulator e la gh’ha paura che el la minchiona anca ella, che el diga de voler morir e che no sia vero.

Isabella. Guardate, mi viene la pelle d’oca sulle braccia, (al Conte)

Sancio. Dunque il segretario sta per morire? (ad Arlecchino)

Arlecchino. Ho tornà a pregar la signora Morte, che la vegna per carità a levar dal mondo sto adulator, e savi cossa che la m’ha resposto?

Isabella. Guardate, guardate, che mi s’addrizzano tutti questi peluzzi.

Arlecchino. L’ha resposto: Vegnirò piuttosto a tor el Governator.

Isabella. Oimè, oimè!

Sancio. Che non s’incomodi già.

Arlecchino. Digo mi: Per cossa el Governator? Responde la signora Morte.

Isabella. Ahi!

Arlecchino. Perchè se lu no avesse acconsentido, l’adulator non

  1. Vedi p. 503. Sc. XVI nell’ed. Pap. Nell’ed. Bett. due scene portano per isbaglio il numero XIII.
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