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LEZIONE PRIMA.



Se è stata cosa difficile e mirabile l’aver potuto gli uomini per lunghe osservazioni, con vigilie continue, per perigliose navigazioni, misurare e determinare gl’intervalli dei cieli, i moti veloci e i tardi e le loro proporzioni, le grandezze delle stelle, non meno delle vicine che delle lontane ancora, i siti della terra e dei mari, cose che, o in tutto o nella maggior parte, sotto il senso ci caggiono; quanto più maravigliosa doviamo noi stimare l’investigazione e descrizione del sito e figura dell’Inferno, sepolto nelle viscere della terra, nascoso a tutti i sensi, è da nessuno per niuna esperienza conosciuto; dove, se bene è facile il discendere, è però tanto difficile l’uscirne, come bene c’insegna il nostro Poeta in quel detto:


Uscite di speranza, voi ch’entrate,


e la sua guida in quell’altro:


È facile il descendere all’Inferno;
Ma il piè ritrarne, e fuor dell’aura morta
Il poter ritornare all’aura pura,
Questo, quest’è impres’alta, impresa dura:[1]
  1. . . . . . . . facilis descensus Averno:
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
    Sed revocare gradum, superasque evadere ad auras,
    Hic opus, hic labor est. (Virg., Eneid., lib. VI, 126)

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