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AL LETTORE. 21

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  Ma quando penso a te cessa il dolore
  E la speranza mi ritorna in core.
 
  Per non soffrir così vorrei morire,
  Ma quando penso a te voglio guarire.[1]

Ma anche la speranza era fuggita.

Questa crudele agonia si prolungò per molto tempo con una lunga vicenda di miglioramenti e di peggioramenti. Pareva che la morte, condannandolo a questo lento martirio, gli dicesse come Vitellio alle sue vittime: voglio che tu senta di morire.

  1. Taccio, per ragioni troppo facili a capirsi, tutto ciò che riguarda ad amori del povero defunto. Del resto il lettore ne troverà molte traccie in questo libro. I versi qui sopra citati furono scritti sul dorso di un biglietto da visita ed inviati da Napoli ad una persona che ce li volle gentilmente favorire con altre cose pubblicate in questa raccolta. L’autore diceva di non aver tempo di esser poeta e non aveva alcuna stima de’ propri lavori che gettava qua e là sopra foglietti volanti che durammo molta fatica a riunire. Così il sonetto ― Forse una volta ecc. ― fu scritto col lapis sulla balaustrata di una villa nei dintorni di Bologna. La persona cui era diretto lo trascrisse, lo conservò e ce ne diede copia.
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