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prefazione | ci |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:101|3|0]]verso li schiavi, come se quei disgraziati non fossero composti della medesima sostanza che noi:[1] egli non sa capire che gli uomini possano riguardare come a sè stranieri i mali dei loro simili, e precorrendo più e più centinaja d’anni il suo tempo, condanna la pena di morte;[2] egli dice le lacrime la miglior parte di noi, e fa della pietà un quadro, che non si legge senza che le ciglia s’inumidiscano di pianto.[3]
Nessuno ignora che alcuni letterati di grido, mossi dal desiderio di esaltare l’uno a danno dell’altro secondo le proprie simpatie, hanno voluto mettere a confronto i tre satirici latini Orazio, Persio e Giovenale: e sono in tal materia divenute celebri le dispute tra l’Einsio, il Casaubono e lo Scaligero. L’Einsio, incantato della grazia, amabilità e festevolezza del Venosino, nulla trova in Persio e in Giovenale, che sia degno di stargli a fronte. Il Casaubono, attratto dall’austera morale e dallo stile nervoso e tronco più che laconico del giovane Volterrano, dà a Persio la palma sopra Orazio e Giovenale. Lo Scaligero finalmente, a cui si uniscono Giusto Lipsio e il Rigalzio, rapito dalla nobilissima collera e impetuosa eloquenza dell’Aquinate, proclama Giovenale principe dei satirici.