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54 satire

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Tra gioghi e boschi, o in Gabio semplicetta,
O di Tivoli aprica in sulla roccia?
Noi stiamo in tal città, che quasi tutta
Si regge sopra deboli puntelli:
Giacchè con questi ogni fattor tien ritte
Le case barcollanti; e ristuccando
Le vecchie crepe, «ora dormite pure
Fra due guanciali», ei dice: ma frattanto
Abbiam sempre la stiaccia sopra il capo.
Là viver dèssi ove non è paura
D’incendi nella notte o d’altri casi.
«Al fuoco! al fuoco!» grida, e mette in salvo
Le robe più minute Ucalegone.[1]
Già brucia il terzo piano, e tu nol sai;
Perocchè se il rimescolo incomincia
Dal pian terreno, ad essere arrostito
L’ultimo sarai tu, che dalle pioggie
Sol difendono i tegoli, lassuso
Dove i molli colombi fanno il nido.
  Di sua moglie più corto un letticciuolo,
E sei scodelle, e un misero boccale,

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  1. Allusione manifesta a quel di Virgilio: «jam proximus ardet Ucalegon». En. II. 311.
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