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xlii prefazione

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:42|3|0]]Nullostante io credo essersi avvicinato molto più alla verità chi sentì nel verso sdegnoso di Giovenale un caldo repubblicano, che chi lo disse un indifferente. Indifferente Giovenale? Ma gl’indifferenti non si fanno sotto nessun governo cacciare in esilio per censurare gli atti del potere e i suoi favoriti; gl’indifferenti quando scrivono, posson tutto al più formare di belle frasi; far, come si dice, dello spirito; ma non ti accendono nell’anima l’amore, l’odio, la vendetta; nè ti fanno a lor posta piangere, fremere, inorridire. «Se tu vuoi ch’io pianga, devi tu stesso sentire il dolore».[1] Dunque non fu detto forse mai maggiore sproposito di chi affermò l’indifferenza di Giovenale. Costui o non lesse mai li scritti del terribile satirico, o, per dirla con una frase dal medesimo inventata, non avea nulla che gli battesse sotto la mammella sinistra.[2]

Nè più fondata è l’altra taccia di spregiatore degli Dei. Egli ride, è vero, qualche volta di quella sterminata caterva di Numi, che pesavano di troppo sulle spalle del misero Atlante;[3] scherza sulla superstizione degli Egiziani, che adoravano fin le cipolle;[4] rimprovera ai celesti di viversene in grande ozio, senza far nulla;[5] rinfaccia a Giove

  1. Orazio, Poetica.
  2. Sat. VIII, 159.
  3. Sat. XIII, 46.
  4. Sat. XV, 10.
  5. Sat. VI, 394.
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