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lxxxii prefazione

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:82|3|0]]corruzione non avea penetrato la società così per fondo e per largo; e i piccoli colpevoli superavano di gran lunga i veramente tristi e scelerati. Però vediamo la satira ora prendere il contegno di chi corregge ridendo i più leggeri difetti; ora la gravità e il cipiglio del severo moralista, che tuona e si sbraccia contro i vizj più brutti. Ma sembra che fin di principio, forse a memoria della rabbia e rusticità Fescennina, onde avea tratto la prima origine, amasse di preferenza l’acerbità e la fierezza. Infatti Lucilio, che a buon dritto è chiamato il padre della poesia satirica; sebbene vivesse al tempo del grande Affricano, quando Roma fioriva ancora di molte e segnalate virtù, fu impetuoso e fiero; e pigliando a modello li scrittori della commedia prisca, assalì non solamente i vizj, venuti testè a Roma dietro al carro dei trionfatori della Grecia e dell’Asia; ma sì anco le persone, senza rispetto a gradi nè a dignità:[1] e con quale acrimonia e virulenza il facesse, ben si raccoglie da un luogo di Persio e un altro di Giovenale: i quali ce lo mostrano ora in atto di rompersi i denti, azzannando e facendo in brani i viziosi;[2] ora acceso d’ira e fremente sul punto di vibrar la spada contro i colpevoli, che al solo udirlo sudano e gelano.[3] E se ad Orazio piacque di la-

  1. Orazio, Sat., lib. I, 4, in principio
  2. Persio, Sat. I, 114.
  3. Giovenale, Sat. I, 165.
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