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188 Sonetti del 1834

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LI CARNACCIARI[1]

  Nun ciannassi[2] a cquest’ora ar Monistero,
Ché cquesta è ppe’ le Madre ora canonica
De curre[3] a ddà l’assarto[4] a la bbucconica[5]
Con una lanca[6] da lupo-scerviero.

  Figùrete che jjeri quela Monica
Che jje premeva tanto un gatto nero,[7]
Ar zentì[8] la campana, è ppropio vero,
Se sgarrò[9] ppe’ scappà ttutta la tonica.

  Si[10] ttu jje porti adesso la carnaccia,
Nun ze’ arrivato e ggià la portinara
Pijja la porta e tte la sbatte in faccia.

  Più ppresto,[11] quanno mai,[12] vacce magara[13]
A or[14]de Coro, e ggnisuno te caccia.
Impara, fijjo, a stà in ner Monno, impara.

16 marzo 1834

  1. Girovaghi mercatanti di carne di carogna, per cibo di gatti.
  2. Non ci andassi: non ci andare.
  3. Di correre.
  4. A dar l’assalto.
  5. Al cibo. Questa voce burlesca usata anche dalle classi superiori, vanta derivazione nientemeno che classica: viene cioè dal vocabolo Buccolica di Virgilio Marone, per la affinità del suono con quello di bucca, bocca.
  6. Bramosia.
  7. I carnacciai rubano e vendono gatti: e le monache hanno anch’esse le loro innocenti predilezioni pe’ vari pelami di quelle bestiuole.
  8. Sentire per “udire.„
  9. Si lacerò.
  10. Se.
  11. Più presto, per “piuttosto.„
  12. Quando mai: al piuppiù.
  13. Vacci magari.
  14. Ad ora, ecc.
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