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Sonetti del 1832 159

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi VI.djvu{{padleft:169|3|0]]— Ecco l’unica poesia che può veramente attribuirsi alla plebe romana. In un accademia letteraria di Roma, un accademico disse la sera del venerdì santo:

 Fiore di noce,
Il povero mio cuor non ha più pace
Oggi ch’è morto il Redentore in croce.

     9 Pron. Con la o chiusa e la s sibilante. Il nome di spósa si dà a qualunque stato di donne. [V. però la nota 1 del sonetto: La lavannara ecc., 14 magg. 43.]      10 Sugo di cetriuolo: equivoco di ecc.

LE VOJJE DE GRAVIDANZA

  E cchi li pò spiegà ttutti st’impicci
Che ffa Iddio ne le cose de natura?
E mmó un abborto, e mmó ’na sconciatura,
Mó un farzo-parto, e ttant’antri pasticci!

  E le vojje sò ppochi antri crapicci?
Nun ciamanca[1] che vvede una cratura[2]
De nasce e pportà in fronte la figura
De piastre sane o dde quadrini spicci;[3]

  Perchè tutte le sorte de le vojje
Che ppòzzino[4] fà ar monno maravijja,
Se sò vvedute da che mmojje è mmojje.

  E cquesto lo pò ddì la mi’ madregna
Si una parente sua fesce una fijja
Co ’na vojja de cazzo in zu la fregna.


Roma, 22 novembre 1832


  1. Ci manca.
  2. Creatura.
  3. Moneta sciolta, minuta.
  4. Possano.
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