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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:147|3|0]]levare l’errore di coloro[1], che lo hanno sinor descritto come un vaso di vera sardonica[2].
§. 34. Or quanto più dagli uomini di buon gusto, e intelligenti stimar non si dovrebbono siffatti antichi vasi, che tutte le sì preziose porcellane, che ornano oggidì gli appar- [3]
Tom. I. | F | ta- |
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- ↑ La Chausse Mus. Rom. Tom. I. sect. 1. tab. 60. pag. 42. [Lo dice di una pietra simile all’agata. Monsignor Foggini loc. cit. p. 401. scrive, che è di una plastica di color simile all’ametisto. Gli editori del Mercure de France, août 1757. pag. 149. e 150. vogliono, che sia pure d’una pasta di vetro un vaso di grandezza considerabile, che si mostra in Genova, e si pretende di smeraldo; quale non può essere, vedendosi pieno di gonfietti, e di bolle. Io non posso dire se sia anche di pasta di vetro il bellissimo vaso con figure, che si vuole intagliato in agata, nel museo del serenissimo Duca di Modena. Parla di esso il marchese Scipione Maffei nelle Osserv. letter. Tom. iI. art. 9. pag. 339., e ne dà la figura, e la descrizione monsignor Bianchini nelle sue opere minori, Tom. I. pag. 92. Il signor Goguet Della Orig. delle leggi, delle arti, ec, Tom. iI. p. iI. lib. iI. cap. iI. art. iiI. crede, che fossero di pasta consimile colorita la colonna del tempio di Ercole a Tiro, che la notte diffondeva un chiarore maraviglioso, creduta di un solo smeraldo, di cui parla Erodoto lib. 2. cap. 44. pag. 124., e Plinio lib. 37. cap. 5. sect. 19.; la statua gigantesca del dio Serapi, alta nove cubiti, fatta d’un solo smeraldo, che Appione presso Plinio l. c. diceva sussistere ancora a’ suoi tempi nel laberinto di Egitto; così della statua di Minerva Lindia alta quattro cubiti, pure d’un solo smeraldo, opera di Dipeno e Scillide, che al dire di Cedreno Compend. historiarum, c. 120. pag. 312. B. si vedeva in Costantinopoli sotto il regno dell’imperator Teodosio; e così di altri supposti straordinarj pezzi di smeraldo, de’ quali parlano Plinio allo stesso luogo, e Teofrasto da lui citato.
- ↑ Non sarà qui fuor di proposito il rammentare le diverse altre materie usate dagli antichi artefici. Si foggiarono statue di succino, ossia ambra, piccole bensì, ma assai pregiate. L’ambra diceasi pure con nome greco electrum; nome dato poscia a certa composizione d’oro e d’argento, Plin. lib. 33. cap. 4. sect. 23., Pausan. lib. 5. cap. 12. p. 406. in fine, Tertullian. Adv. Hermogen. c. XXV. [l. Pediculis 32. §. Neratius 5. ff. De auro, arg. leg., l. Si quis in fundi 4. princ. ff. De legat. 1., §. Si duorum 27. Inst. De rer. div.], in cui si mischiarono anche delle pietruzze, e vetri, ed altre materie metalliche, Suid. v. ἤλεκτρον. Si videro pure statue di vetro, Plin. lib. 36. cap. 26. sect. 67.; di ferro, Paus. lib. 3. cap. 12. pag. 337. lin. 36., lib. 10. c. 18. pag. 841. lin. 26. segg., Plin. lib. 34. cap. 14. sect. 40.; di ossa, Arnob. Adv. gentes, lib. 6. pag. 200.; di piombo, Publ. Victor De Urb. reg. VI.; di cera, Appian. De bello civ. lib. 2. pag. 520. E., Ovid. lib. 1. Fast. v. 591., [Statius Sylv. lib. 2. cap. 2. v. 64., e lib. 5. princ.]; e in fine di gesso, Plin. lib. 36. cap. 12. sect. 44. 45., Paus. lib. 8. cap. 22. pag. 641. lin. 36., [Tertull. De Idolol. c. 3. num. 3. pag. 484.], di cui tant’uso fa la statuaria oggidì. [Nota cavata da Giunio De Pict. vet. lib. 2. cap. 11. pag. 290. e segg., ove possono vedersi per esteso la maggior parte dei passi degli autori citati dagli Editori Milanesi.
- ↑ cero allora gli eruditi. Michelangelo de la Chausse nella esposizione della tavola 60. citata dal nostro Autore qui appresso afferma essere stata comune opinione in quel tempo, che le figure scolpitevi piuttosto dovessero riferirsi ad Alessandro il Grande, anziché ad Alessandro Severo: al qual pensamento vuole Foggini, che desse per avventura occasione una delle facciate del vaso, nella quale si vede una donna mezzo nuda sedente, che tiene in seno un dragone; imperocché pare che essa manifestamente rappresenti la favola di Olimpia quando si giacque con Giove Ammone, e ne concepì Alessandro il Grande. Egli poi stima assai più giusta, e sicura l'opinione del conte Girolamo Tezi nelle sue Ædes Barberinæ, pag. 27., il quale pensò che vi sia figurato il sogno, che ebbe Giulia Mammea il giorno avanti di partorire Alessandro Severo, nel quale pareale di dare alla luce un serpente di color porporino, secondo la testimonianza di Lampridio nella di lui vita. Con questa spiegazione, e quella delle altre figure inclina a credere che sì l’urna che il vaso appartengano veramente all'imperatore Alessandro Severo: e con ragioni fa vedere, che nessuno fin ora ha potuto dimostrare falsa questa opinione ormai divenuta la più comune. Ma di tutto ciò si parlerà più a proposito nel Tomo iI. lib. XII. cap. iI. §. 18.
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