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presso gli Egizj, i Fenicj, e i Persi. 149

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:259|3|0]]taginesi non usassero pallio[1]. Erano molto in uso presso i Fenicj, come presso i Galli, i panni rigati, e n’è diffatti vestito il mercante fenicio fra le figure dipinte del Terenzio del Vaticano. Sembra doversi intendere particolarmente de’ Cartaginesi l’epiteto discinctus, attribuito dai poeti all’Africano e al Libico[2]; poiché quelli realmente discinta e sciolta la veste portavano.

[Arti presso gli Ebrei.] §. 9. Che se poco ci è noto in quale stato fossero le arti presso i Fenicj, più scarsi lumi ancora abbiamo riguardo agli Ebrei. Si sa però che anche ne’ tempi, in cui più fiorì questa nazione, chiamaronsi all’uopo gli artisti dalla Fenicia[3]; e siccome gli Ebrei riputavano le belle arti quali cose superflue alla vita, anche a questo titolo è verosimile che essi punto non le coltivassero. In oltre la statuaria, almeno riguardo all’effigiare la divinità sotto umane sembianze, era loro interdetta[4]. La forma degli Ebrei avrebbe potuto presso di loro, come presso a’ Fenicj, somministrare delle belle idee e de’ bei modelli[5].


§. 10. Mal-

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Storia delle arti del disegno.djvu{{padleft:259|3|0]]

  1. Il Salmasio citato qui dall’Autore, ben lontano dal credere che i Cartaginesi non portassero pallio, dimostra che presso loro era in uso, e che pallii di varie maniere aveano essi, doppi, semplici, quadrati e tondi: nè potea opinare diversamente senza contraddire a Tertulliano, il cui libro de Pallio prende a commentare: libro scritto per rendere ragione dell’esser egli passato dalla toga (veste romana introdotta allora in Cartagine) al pallio, che era un abito africano antiquato, ed usato solo dai filosofi.
  2. Virg. Æneid. lib. 8. verf. 24., Juven. Sat. 8. vers. 120., Silius Ital. De Bello pun, lib. 2. vers. 56.
  3. Regum lib. 3. cap. 5. v. 6.
  4. La legge mosaica Exodi cap. 20. v. 4., propriamente proibiva il farli immagini da venerare; ma non già immagini di angeli, d’uomini, e d’animali per ornamento, o per qualche memoria. Così distinguono gl’interpreti. Vegg. Menochio de Republ. Hebr. lib. 7. cap. 2. n. 1. Quindi è che Mosè istesso fece fare i cherubini sopra l’arca, ivi c. 37. v. 8., ed altri di gigantesca statura ne fece fare Salomone per il tempio, Regum lib. 3. cap.6. v. 23., e dodici bovi di bronzo per reggere la gran tazza parimenti di bronzo, detta il mare di bronzo per antonomasia, ivi c. 7. v. 23. segg. Giovanni Nicolai De Sepulcr. Hebr. lib. 4. cap. 1. §. 5. Thes. Ant. Sacrar, Ugolini Tom. XXXIII. col. 504., crede che diversi luoghi dell’antico Testamento vadano intesi di statue alzare in memoria di defonti. Ciò non ostante gli Ebrei dei tempi posteriori estesero la legge ad ogni sorta di figure anche le più indifferenti: onde ebbe a dire Origene Contra Celsum lib. 4. c. 37.: Nullus pictor, sculptor nullus in eorum civitate erat. Lex enim omnes harum artium professores exterminari jusserat: ut nulla esset fabricandorum simulacrorum occasio. Giuseppe Flavio Antiq. Jud. l. 18. c. 5. n. 2. Operum Tom. I. p. 884. racconta che i principali fra gli Ebrei andarono a pregare l’imperatore Vitellio, che non facesse passare pel loro paese stendardi romani, perchè rappresentavano aquile, ed altre figure.
  5. Vedi sopra le note alla pag. 62.
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