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Fratelli, caricate i vostri fucili![2]
Aggressione al «Circolo italiano» Insurrezione e Costituente


Alla Camera di Torino si è discusso se si deve, o no, far la guerra. Noi proponiamo un’altra questione: che cosa si dovrebbe fare se la guerra incominciasse senza aspettar la decisione: se la Lombardia balzasse dal suo letto di dolore come chi ha bevuto lungamente al calice della schiavitú, e ne torce ad un tratto le labbra gridando come il Cristo: «Signore, fa ch’io nol beva».

E gli increduli sorridono a queste parole come alla vigilia delle giornate di marzo, perché sta scritto che gli uomini i quali non credono perché non han fede nel cuore, non abbiano occhi per vedere l’avvenire – non veggano se non il passato. Questo è veramente triste a pensare che il dí della seconda prova trovi gli Italiani non preparati come il dí della prima! Ci ricorda di aver visti varie migliaia di genovesi correre in Lombardia il 20 marzo e giunti al Gravellone rimanervi senza capi, senza ordine, senza saper che farsi cinque giorni, mentre i Milanesi fugavano con «poche centinaia di fucili» (questa non è figura rettorica) l’armata che col nostro soccorso poteva essere distrutta, e che pochi mesi dopo ci incalzava vittoriosa – che serve mentire la nostra vergogna? – nella fuga. Ci ricorda d’aver visto l’armata di Radetzky correre tremante alle fortificazioni di Mantova e Verona tanto atterrita dalla sconfitta che trecento disertori le stettero a fronte, e la respinsero a Montechiari (presso Brescia) e nondimeno gli Italiani erano colti alla sprovvista e non hanno potuto inseguirla. E l’armata di Radetzky ebbe tempo di riparare intatta nelle fortificazioni per quivi ridivenire terribile e cambiare un’orda di fuggiaschi in un’armata regolare. Gli Italiani hanno congiurato perché accada ancora ciò che accadde – se pure questa volta Dio non avvolge cosí prepotentemente la mano nei capelli ai caduti, sicch’essi sieno obbligati a levarsi senza volerlo – e noi speriamo e gridiamo ai nostri fratelli: fate vostro prò del tempo che Dio vi concede per prepararvi alla battaglia. Che il soldato non dorma aspettando la pugna; ma affili la sua spada, e carichi il suo fucile, e si prepari a far fuoco. Perché gli uomini del governo vanno domandando se si deve far la guerra mentre vi è la guerra, vanno domandando se si dee mantener la pace, mentre non vi è pace.

Per Dio, l’uomo che ha il nemico nella sua casa e chiama questo la pace, e va domandando se si deve combattere, quello è l’ultimo degli uomini! E intanto l’alba d’una nuova èra del mondo biancheggia allo sguardo dell’Umanità, l’Europa si dibatte nel gran parto convulsa, e i popoli della terra sono schierati in battaglia, e si domandano se una penisola fu ingoiata dall’onde del Mediterraneo, perché un popolo manca nelle loro file, e chiamano gl’Italiani in rango e gl’Italiani non rispondono. Che quanti credono nei destini dell’Italia e della Democrazia, ascoltino la nostra parola. Ella è sacra perché è sacra la parola che sgorga dal cuore: fratelli, affilate le vostre spade, caricate i vostri fucili perché siamo alla vigilia della battaglia.


Note

  1. Il Diario del Popolo, 26 ottobre 1848.
  2. Il Diario del Popolo, 26 ottobre 1848.
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