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Dio l'ha voluto!
Prefazione Noi che restiamo

Dio l’ha voluto!

Io non parlo, qui, alle anime feminili pigre e sonnolente, in cui la Fede è qualche cosa di vago, d’indistinto, che esse evitano di percepire; e in cui la religione è un monotono e pesante ripetersi dei medesimi gesti, senza più carattere, e delle medesime parole, senza più espressione. Neppure io parlo alle anime fantasiose e lievi feminili, in cui la Fede è una improvvisa e fuggevole fiamma della immaginazione; e in cui la religione è una esaltazione passeggiera, per le sue figurazioni e i suoi colori, per le sue musiche e i profumi dei suoi incensi. Io voglio qui parlare a quella immensa folla di semplici e tenaci credenti, che, in ogni epoca della loro esistenza, in ogni contingenza della loro vita, chiusero la fede nel più profondo della loro coscienza, come un divino filtro spirituale, e ne trassero ogni virtù di bene: a queste sconosciute credenti, folla immensa che, in ogni alba e in ogni sera effusero tutto il cuor loro, nelle parole antiche delle orazioni, e le ravvivarono con questa effusione; che in ogni ora suprema della vita, seppero dire al Signore la loro doglia inconsolata e seppero nell’ombra, nel silenzio, nella solitudine, udire da Lui la risposta. Nobili dame, le cui mani tremanti schiudono il libro delle sacre preci, ma i cui occhi velati di lacrime non sanno più, nella penombra, distinguerne le parole impresse: borghesi che, curve sul loro rosario, stretto fra le dita, perdono il filo delle loro orazioni, distratte e vinte dalla loro invincibile pena: popolane, che sono in ginocchiate sul nudo e freddo marmo, che non hanno nè libro nè rosario, ma le cui labbra, fra i sospiri e i soffocati lamenti, ripetono una loro frase continua, dove un nome, un nome, un nome, sempre risuona, quello di «colui che è partito» ... È a costoro, mie sorelle, carissime ignote, ma mie sorelle di pena, io ad esse ignota ma loro sorella, che io voglio dire, qui, la più schietta e più fraterna parola. Avete voi, sorelle mie, come me, per lunghe giornate, chiesto al Signore, la grazia che questo terribile calice della guerra, fosse allontanato dal le vostre labbra? Avete voi chiesto, negli ultimi, negli ultimissimi giorni, come me, quasi foste presso il letto di un morente, che un miracolo si facesse e fossimo salvi, tutti, dagli orrori della guerra? Furono impetuose, ardenti, deliranti, le vostre preghiere? Sì: così furono. Ma la grazia non è venuta: ma non è vénuto il miracolo: ma tutto quello che voi scongiuravate lontano da voi, e io con voi, è accaduto. Siete voi vere cristiane, siete voi vere credenti, avete voi una fede preclara e intatta, in una Volontà Suprema, che non dovete giudicare, ma a cui vi dovete inchinare, con cuore straziato, ma reverente? Se tanto voi siete, se la vostra vita interiore possiede questa virtù splendente, se il vostro animo ha questo faro fulgido, sovra ogni mare in tempesta, voi dovete dire, a voi stesse, voi sapete già che Iddio ha permesso, per sue alte e misteriose ragioni questa guerra, voi sapete già che Egli volle tutto questo, e che tutta quanta questa tribolazione, è da Dio che viene su voi, su noi. Come accoglierete voi, nella vostra anima di cristiane, di credenti, questa incomparabile tribolazione, sorelle mie? Piangendo, singhiozzando, urlando, cieche di dolore, folli di dolore? Così cattive cristiane, così ribelli cristiane, vorrete essere? E meriterete, voi, più questo eccelso nome? E sarete più degne, voi, di questo sacro segno? Potrà ancora la infinita famiglia cristiana considerarvi come loro appartenente, voi che non volete soffrire, voi che non sapete soffrire? Darete voi questo malo esempio, a coloro che vi amano, ai vostri amici, ai vostri servi? Sarete una pietra di scandalo, perchè non sapete e non volete soffrire? 0 diverrete una creatura d’indifferenza e di debolezza? Aumenterete, così, la pena di tutti quelli che vi circondano, invece di esser, voi, il centro della loro sublime rassegnazione e della loro sublime pazienza, come è il vostro dovere di donna, di cristiana? In vece di superare voi stesse, con quella energia morale che la Fede vi dà, invece di trasformare in fidente serenità la vostra tristezza mortale, vorrete voi rendere più acuta e più insopportabile l’altrui tristezza? Così credete voi di compire quello che, tanto efficacemente il buon popolo dice: «fare la volontà di Dio»? Credete voi che, per questo, vi fu donata un’anima immortale e vi fu detto di renderla bella e forte? Sono i singulti, la lacrime e le grida, quelle che dovranno mostrare la beltà e il valore di quest’anima? No: no. Coloro che per chiari segni videro manifestarsi il volere di un Dio giusto, debbono aprire le braccia, e schiudere il cuore, e accoglier questo volere, come una legge divina, di cui certo, più tardi, si riveleranno le ascose ragioni, ed esse saranno di misericordia, oltre che di giustizia: coloro che videro giungere a loro un dolore ineffabile, inviato da Chi distribuisce, secondo la sua sapienza, la gioia e il pianto, costoro debbono ricevere questo dolore, come un caro ospite e darghi il miglior posto e onorarlo, e venerarlo: coloro che furono, quasi, prescelte a portare una croce, debbono sollevarla e non trascinarla. Donne d’Italia, ci fu data una croce, la guerra: solleviamola, con coraggio, con forza; ed essa ci sembrerà un austero dono, se possa rendere più gloriosa la patria italiana.

Ah voi non potete, noi non possiamo separare, nella nostra coscienza muliebre, l’idea della religione da quella della patria: queste Idee sono così altamente e armonicamente unite e fuse, che mai si vide consimile armonia spirituale! La terra ove vissero e giacquero i nostri antichi, sacra a noi per tutte le me morie del passato: la terra che ci vide nascere e ove ogni zolla par animata dal nostro sangue, mentre la nostra compagine umana par fatta della sua intima essenza: la terra che ne scorse giovani e poi maturi, e che vide nascere i figli nostri, nostra speranza e nostra gioia: la terra di cui abbiamo amato ogni linea e ogni colore; la terra di cui adoriamo ogni bellezza e ogni ricchezza: la terra sacra a noi, per la vita e per la morte: la terra ove credemmo, ove pensammo, ove adorammo il Dio dei nostri lontanissimi parenti, ove i nostri lontanissimi nepoti, pregheranno e adoreranno lo stesso Iddio, questa terra porta l’augusto nome di patria, ed è quanto di più alto componga, attorno a noi e in noi, il senso della umana dignità; poichè essa ci rese fieri di essere uomini e cittadini, poichè essa prodigò a noi, generosamente, ogni sua fortuna, poichè essa ci onorò in ogni memorabile momento, poichè i suoi benefici innumerevoli formarono la poesia e il fascino della nostra vita. Questa patria nostra è la seconda religione nostra, è quella che meglio si affratella con la prima, è quella che meglio ci accosta alle più limpide sorgenti di una vita superiore. Ma, anche, questi due grandi amori hanno bisogno di una dedizione profonda: ma queste due fedi incomparabili, ci domandano una devozione che non si misuri; ma quando si uniscono il nome di Dio e il nome della patria, ogni uomo, ogni donna, è un apostolo ed è un martire. Non vi sono redenzioni, senza sangue sparso: non vi sono resurrezioni, senza morti. Dio volle questa guerra, per la nostra patria. Obbediamo, senza piangere, senza mormorare: obbediamo, con cuore fedele e paziente, sino al dì della vittoria.

25 maggio 1915. - Primo giorno della guerra italiana.

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