Questo testo è completo, ma ancora da rileggere. |
◄ | La serva de lo spappino | Caster-Zant'-Angelo II | ► |
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847
PE’ DDISPETTO.
Che jje disse a mmi’ mojje io, sor Fedele?
“Tòta,1 da’ udienza a mmé, ffa’ la p......;
Ma nun batte acciarini:2 e cche cc’è? er mèle?
4Che tte piasce in nell’arte de ruffiana?!„
Ma cche! nun curze un’antra sittimana,
Che ggià er Vicario,3 che cciavéva er fèle,4
La messe in monistero a Ssammicchele5
8Pe’ rruccherùcche6 a llavorà la lana.
E io in barba sua e dder Ficario,
Mé ne sto cco’ la spósa de mi’ zio,
11Che llei puro ha er marito in zeminario.7
Sin ch’è ggiorno, a incannà8 cquì lei cqua io;
Eppoi, ’na terzaparte de rosario,
14Du’ bbocconi, e a ddormì in grazzia de Ddio.
3 dicembre 1831. |
- ↑ [Antonia.]
- ↑ Non battere acciarini: non arruffianare. [Perchè l’acciarino serviva ad accendere il lume. Cfr. la frase: tenere il moccolo.]
- ↑ [Il Cardinal Vicario, sulle cui attribuzioni in queste materie si veda nel presente volume la nota 1 del sonetto: Er giudisce ecc., 26 genn. 32.]
- ↑ [Che ci aveva il fiele]: che era già con lei irritato.
- ↑ [Casa di correzione per le femmine di mala vita. — In un teatro popolare di Roma, una prima donna, recitando la sua parte in un dramma lacrimoso, esclamava: “Oh povera me! dove finirò io?„ — A Sammicchele! gridò una voce dalla piccionaia.]
- ↑ L’arte del ruffianesimo.
- ↑ [In prigione.]
- ↑ [Incannare.]
Note
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.