< Pescatorie
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Jacopo Sannazaro - Pescatorie (XV secolo)
Traduzione dal latino di Filippo Scolari (1813)
Annotazioni
Li Salici

ANNOTAZIONI



AVVERTIMENTO


Se nel corso di queste note non si vedranno le citazioni di tutti gli autori dai quali presi le notizie in esse contenute, ciò fu, e perchè l’ho riputata cosa inutile con persone, che dotte sieno, e perchè non si creda ch’io voglia apparire soverchiamente erudito. Nulla di manco prego,

     „Che cotesta cortese opinione
          Resti chiavata in mezzo della testa
          Con maggior chiovi, che del mio sermone,
                                                                      Dante p. 8.

non intender io di abbellirmi dell’altrui spoglie. Del resto se per chiarire il mio Autore (nel che fare ho posto in vero ogni studio e fatica) m’era necessario liberamente valermi di tutto quanto a ciò credeva opportuno; vegga egli l’illuminato lettore in quali cose, malgrado cotesta libertà, posso non demeritare il suo gradimento.



ANNOTAZIONI


(1) Cinque Egloghe Pescatorie, ed altri Poemetti latini di Jacopo Sannazaro, recati in versi italiani per Domenico Scipioni Lendinarese acc. intrepido e conc. cogli argomenti e con brevi annotazioni sopra dei luoghi più importanti. In Padova 1768 appresso Giuseppe Comino con licenza dei superiori in 8vo di p. 89. — Delle Egloghe ed altro Poemetto di Jacopo Sannazaro Versione. Vicenza 1788 nella stamperia Turra con licenza dei superiori in 8vo di p. 97.

(2) Eccone la traduzione:

          Tu Fedrico al compor forza mi desti,
               Ch’ogni ingegno a lodarti ecciti e desti.
          Nuove terre a me in dono, e ville or dai;
               Vate m’hai fatto; agricoltor mi fai.

(3) Io l’ho tradotto cosí:

          Dà fiori al sacro cenere. Qui posa
               Quel Sincero, che a Maro è sì vicino,
               E per la tomba, e per lo stil divino

(4) Il Nascimento di Cristo traduzione in ottava rima di Girolamo Zoppio. Bologna 1555 in 4to. Libro rarissimo. — I tre libri del Parto della Vergine di Azio Sincero Sannazaro, tradotti in versi toscani da Lodovico Bigoni. Venezia 1765 appresso Paolo Colombani. — La stessa opera tradotta in sciolti da Stesser Giambattista Barbo Padovano Accademico second. Padova 1604 nella sta,peria Pasquati in 4to. — Del Parto della Vergine del Sannazaro libri tre tradotti in versi toscani da Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/114 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/115 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/116 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/117 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/118 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/119 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/120 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/121 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/122 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/123 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/124 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/125 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/126 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/127 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/128 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/129 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/130 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/131 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/132 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/133 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/134 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/135 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/136 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/137 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/138 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/139 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/140 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/141 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/142 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/143 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/144 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/145 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/146 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/147 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/148 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/149 Pagina:Le Pescatorie di Azio Sincero Sannazaro.djvu/150 Ne parla il Zacchia Quaest. VI. Tit. II. n. 17. Cosí lo Scipioni.

(111) Vedi n. 24.

(112) Vedi n. 77. 89.

(113) Vedi n. 80. 90.

(114) Il Pioppo è albero fronzuto, che gode di essere piantato in riva al fume. La favola narra, che le sorelle di Fetonte, piagnendo la disgrazia del loro fratello caduto nel Po, furono trasformate in quest’albero: forse perchè le rive di questo fiume ne abbondano. Il Pioppo era sacro ad Ercole, che delle sue foglie si formò una corona, quando discese all’Inferno.

(115) Menalo è monte d’Arcadia sacro a Pane.

(116) Vedi n. 64.

(117) V. n. 48. 49. Ed è in relazione delle vicende in questi luoghi accennate, che qui pure, ricordando li suoi viaggi in Francia, parla del Varo, e del Senna. Il primo è fiume, che separa la Francia dall’Italia; nasce nel monte Cemelione nell’Alpi, e si scarica nel Mediterraneo. Il secondo ha la sorgente in Borgogna presso Chanceaux, passa per Parigi, capitale della Francia, e gettasi nell’Oceano.

(118) Sembrami che il pensiero qui nascosto sia gentilissimo, e voglia dire: or non si tratta di fare il piacer mio, per forza di venti, che t’abbiano rapito, come fece Borea di Orizia: nuovo Giove, io non trasporto te, ch’esser potresti una novella Europa, in estrania terra: solo da povero pescatore ti prego di accettare un dono, contento ancora, che dopo tu vada di me dimentica, ove più ti può riuscir grato. (119) La Venere marina negli antichi monumenti ora si rappresenta in atto di uscir dal mare, sostenuta in una gran conchiglia da due Tritoni, con in mano li suoi lunghi cappelli, dai quali fa uscire la schiuma; ora sedente sopra un Delfino o sopra una Capra marina, scortata dalle Nereidi, e dagli Amori. Così il Declaustre. La pittura di questa Dea fu il capo d’opera del grande Apelle: di cui Ovidio:

Si Venerem Cois numquam pinxisset Apelles,
mersa sub aequoreis illa lateret acquis.

Questo distico parmi possa esser tradotto così:

Se Apelle, per cui Coo tanto sì onora,
Mai non avese Venere dipinto,
Nel mar nascosta ella sarebbe ancora.

(120) Ottenuta ch’ebbe Pigmalione la grazia da Venere, di vedere la sua statua animata, la prese in moglie; e n’ebbe un figlio di nome Pafo, il quale per gratitudine edificò in onore di Venere una città nell’Isola di Cipro, cui diede il suo nome. Ov. Met. X. (121) Amatunta, oggi Limisso, città nell’isola di Cipro consacrata a Venere. E qui giovi sapere, che la grande isola di Cipro nel Mediterraneo, di cui Pafo o Baffo (V. n. 120.) Limesso od Amtunta, Salamina o Famagosta non sono che parti, era sacra a Venere; sia per l’ubertà del terreno; sia perchè è detto esserle ivi stato fabbricato il primo tempio; sia perchè eravi in antico un boschetto stabilito da questa Dea per saziare la sua libidine. Costumavano li Cipriotti esporre le loro figlie sul lido del mare, onde si meschiassero coi naviganti, per così consacrarle a Venere. Ma questa è favola, nè avrà un fondamento, che nella naturale disposizione delle donne al piacere, massime in un paese ridente.

(122) Per dire la verità questo mi pare un pò troppo.

(123) Li Satiri, Dei Silvestri, erano, secondo i Poeti, uomini nella parte superiore, capre nell’inferiore. Il lor corpo era coperto di pelo, cornuto il capo, lunghe le orecchie. — Fauno era un Re degli Aborigeni, che, per aver favorito l’agricoltura, fu posto tra le Deità campereccie, e creduto padre dei Fauni, che aveano le corna, e i piè di capra, o di becco. — Silvano, Dio campestre, figlio di Fauno, che sotto la figura di Pane aveva le corna, le orecchie, e la parte inferiore del corpo a maniera di capra, era tutto nudo, e coronato di ellera. — Pane, il principale fra i numi agricoli: è così descritto da Silio Italico. Pun. lib. XIII

     . . . . pendenti similis Pan semper et uno
     Vix ulla inscribens terrae vestigia cornu. . . .
     Cingit acuta comas et opacat tempora Pinus,
     Ac parva erumpunt rubicunda cornua fronte:
     Stant aures, summoque cadit barba hispida mento.
     Pastorale Deo baculum pellisque sinistrum
     Velat grata latus tenerae de corpore damae.
     Nulla in praeruptum tam prona, et inospita cautes
     In qua non librans corpus, similisque volenti
     Cornipedem tulerit praecisa per avia plantam.

Quanto all’uso delle parole composte montivage, ondivago ec. rimetto coloro, che me ne facessero un carico, alla traduzione dell’Iliade del Salvini; alla lettera del Maffei premessa al primo libro della sua versione dell’opera stessa; alle ragioni, che su questo argomento ha messo in chiaro il celebre Cesarotti; al giudicio di tutti gli amatori di lingua, filosofi, e non pedanti; all'esempio dei latini, ec. ec.

(124) L’Idra che giaceva in Lerna, luogo della Morea, era un mostro, a cui Ercole non potè dare la morte, che con abbruciarla. Essa era figlia di Tifone ed Echidna: avea cinquanta teste, e quando se ne tagliava una, ne rinascevano tante, quante ne restavano dopo la tagliatura. Dagli stessi genitori era nata anche la Chimera mostro, che avea la testa di leone, la coda di drago, ed il corpo di capra, e dalle fauci vomitava fiamme di fuoco. ― Scilla e Cariddi è passo difficilissimo nel mar di Sicilia, perocchè quella presenta uno scoglio, questa un vortice rapidissimo d’acque presso il Faro di Messina, anticamente Pelorum. Fingono li poeti, che Scilla, figlia di Forco e della Ninfa Creteide, fosse prima canceata sino al pube in un cane, che sempre latrava, per incantesimo di Circe, alla quale Glauco non voleva corrispondere, sino a che fosse viva Scilla, che tanto amava. Dicono quindi, che inorridita di sè medesima, si lanciasse nel mare, dove fu trasformata in uno scoglio. Parimente di Cariddi si narra, che fosse donna rapacissima e ladra, la quale, avendo rubate le vacche d’Ercole, fu da Giove, di lui padre, fulminata, ed immersa nel mare, dove tuttora conserva la primitiva ingordigia coll’assorbire entro alli suoi gorghi le navi. V. Virg. lib III. Eneid.


FINE

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