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PREFAZIONE
Nel presentare ch’io fo tradotta quest’opera, non dubito si manifesti di per se l’opinione, che porto fermissima intorno la sua originale eccellenza, di cui non mi verrebbero meno le testimonianze ove mi prendesse vaghezza di tutte insieme raccoglierle. Tuttavolta, perchè ognuno formar se ne possa un giusto concetto, osserverò con quanta verità lo Scaligero nel sesto della sua Poetica, del Sannazaro abbia detto: In carmine pastorali solus legi dignus omnium, qui post Virgilium scripsere; sendochè e l’egloghe pescatone non sono di cosí nuovo ritrovamento, che non abbiano tutta la rassomiglianza con le pastorali: e d’altronde il suo poema del Parto della Vergine, dopo la comparsa della Sifilide, non potè piú gloriarsi di maestà virgiliana tutta sua propria, uno dei pochi pregj, che si ritrovino in quel non divino poema; ond’è, che l’opera latina, cui sta meglio raccomandata la fama dell’immortale Sincero, sono appunto quest’egloghe, ammirando le quali cantò l’Ariosto:
„Jacopo Sannazar, che alle Camene
Lasciar fa i boschi, ed abitar le arene.”
Cinque intanto sono coloro, i quali o mi han preceduto, o in qualche modo si diedero ad un simile imprendimento. Il primo di cui ebbi notizia fu Giuntini Domenico, la cui versione in sciolti sta nel tomo VI della Calogeriana Raccolta: in appresso venni in cognizione di altri due, Domenico Scipioni di Lendinara, e Giuseppe da Riva1 il primo dei quali si giovò della rima solo nell’egloga terza, il secondo degli sdruccioli nella prima, nella terza, e nella quinta. Promessa poi da lungo tempo al pubblico è pure la traduzione del sig. Antonio Pochini di Padova, di cui si parla come vicina ad essere pubblicata nella nota 24 della quarta delle sue. Epistole sui monumenti delle belle arti nella città di Parigi. Però, siccome delle prime è certa la mediocrità, così di questa nulla dirsi potrebbe, perchè niuno ne sa il destino. Anche Lodovico Paterno aver si può qual traduttore dell’egloghe pescatorie, pure nel modo che Cesarotti lo fu di Omero, e senza aver poi niente della forza e della venustà di quel grande. Mise egli tutti lì concetti del Sannazaro a soqquadro, e così dando essere alle Marittime da cattivo imitatore danneggiò l’imitato . Malgrado per altro questo numero di traduttori, osai por il piede nel medesimo agone, non senza lusinga di felicemente trascorrerlo.
E quanto al modo di avere il mio intento, tenni per fermo sempre, che la grata varietà di metro che ne risulta, e l’essere in ogni egloga la tranquillità del racconto totalmente staccata dalla elevatezza dei sentimenti espressi nei canti di vario genere, fossero bastanti motivi per rinunziare bene spesso ad una fedeltà scrupolosa, ed obbedire alla rima, la quale, recando sommo diletto in chi legge, sdegna talvolta, nè senza ragione, di far la serva. Che anzi a questo proposito ella è pur vera quella sentenza, che il Cesarotti , gran filosofo nella letteratura, ha lasciato nelle osservazioni alle poesie di Ossian, là dove si legge: Essere indispensabile in una traduzione di gusto alterar un poco l’originale per vero spirito´ di fedeltà, e poichè le misure dei nostri metri non adattansi a quei sentimenti, rassettar e girar in modo li sentimenti medesimi, che adattandosi alle misure nostre, facciano un effetto equivalente a quello, che fanno nel lor essere primitivo.
Per dir finalmente qualche cosa anche delle annotazioni, di cui pensai fornire la mia traduzione, comecchè sieno da taluno biasimate qual estraneo peso, ed incomodo interrompimento della lettura, io nulla meno ne apposi al mio lavoro non poche, sul riflesso (parmi di qualunque altro più vero) che quando si tratta di luoghi, di fatti, di circostanze, di allusioni, di augurj ec. è difficile assai che tutti i leggitori, massime giovani, abbiano una idea perfetta di tutto, e che per conseguenza assaporino in tutta estensione l’autore. M’è grato però confessare con ingenuità, che vi sarà assai poco del mio, nè avrò il merito che della pazienza, cui sostenere dovetti, per raccogliere e scegliere le notizie, che più credei necessarie allo schiarimento del testo. La vita poi ve l’aggiunsi, e di mia penna la scrissi, perocchè all’intelligenza dell’egloghe sempre se ne abbisogna, e, tranne quella del Volpi troppo lunga, nè lauta in tutto, niuna delle altre poteva servire compiutamente all’oggetto.
- ↑ [p. 113 modifica]Cinque Egloghe Pescatorie, ed altri Poemetti latini di Jacopo Sannazaro, recati in versi italiani per Domenico Scipioni Lendinarese acc. intrepido e conc. cogli argomenti e con brevi annotazioni sopra dei luoghi più importanti. In Padova 1768 appresso Giuseppe Comino con licenza dei superiori in 8vo di p. 89. — Delle Egloghe ed altro Poemetto di Jacopo Sannazaro Versione. Vicenza 1788 nella stamperia Turra con licenza dei superiori in 8vo di p. 97.