< Poesie milanesi < II - Sestine
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II - Sestine - La nomina del cappellan II - Sestine - Meneghin Biroeu

(*) LA PREGHIERA

(1620)

Donna Fabia Fabron De-Fabrian
L èva settada al foeugh sabet passaa
Col pader Sigismond ejr-franzescan,
Che intrattant el ghe usava la bontaa
(Intrattanta, s’intend, che el ris coseva)
De scolta sto discors che la faseva:

" Ora-mai anche mi, don Sigismond,
" Convengo appien nella di lei paura,
" Che sia prossima assai la fin del mond;
" Che vedo cose di una tal natura,
" D’una natura tal, che non ponn dars
" Che in un mondo assai prossim a disfars.

" Congiur, stupri, rapinn, gent contro gent,
" Fellonij, uccision de princip regg,
" Violenz, avanij1, sovertiment
" De troni e de costura, beffe e mottegg
" Contro il cullo, e perfín contro i natal
" Del primm cardin de l’ordine social.

" Questi, don Sigismond, se non son segni
" Del complemento de la profezia2,
" Non lascian certament d’esser gli indegni
" Frutti dell’attuai filosofia;
" Frutti di cui, pur troppo, ebbi a ingojar
" Tutto l’amaro, come or vò a narrar.


" Essendo jeri venerdí de marz3,
" Fui tratta da la mia divozion
" A sant Cels, e v’andiedi con quell sfarz
" Che si addice a la nostra condizion;
" 11 mio copè, con l’armi e i lavorin4
" Tanto al domestich, quanto al vetturin.

" Tutte le porte, e i corridoi d’avanti
" Al tempio, cren pien cepp d’ona faragin
" De gent che va che vien, de mendicanti,
" De mercadanti de librett, de immagin,
" In guisa che, con tanto furugozz5,
" Agio non v’era a scender dai carrozz.

" L’imbarazzo era tal, che in quella appunt
" Ch’ero giá quasi con un piede abbass,
" Me urtoron contro on pret sí sporch, sí unt,
" Ch’ io, per schivarlo e ritirar el pass,
" Diedi nel legno on sculaccion sí grand
" Che mi stramazzò in terra di rimand.

" Come mi rimanessi in un frangent
" Di questa fatta, è facil da supporr
" E donna e dama, in mezzo a tanta gent
" Nel decòr compromessa e nel pudor.
" E piú che cert che se non persi i sens
" Fu don del ciel che mi guardò propens.

" E tanto piú, che appenna sorta in pie
" Sentij da tutt i band qui] mascalzoni
" A ciufiolarmi dietro il va- via- v’ -è!
" Risa sconc, improperi, atti buffoni,
" Quasi fuss donna a loro egual in rango,
" Cittadina.... merciaja.... o simil fango.

" Ma, come dissi, quell ciel stess che in cura
" M’ebbe ognor sempre fino dalla culla,
" Non lasciò pure in questa congiuntura
" De proteggermi, ad onta del mio nulla,
" E nel cuor m’inspirò tanta costanza,
" Quant c’en voleva in simil circostanza.


" Fatta maggior de mi, subit impongo
" Al mio Anselm ch’el tacess, c’I me seguiss;
" Rompo la calca, passo in chiesa, giungo
" A piedi dell’ aitar del Crocifiss,
" Me umilio, me raccolgo, pò a memoria
" Fo al mio Signor questa giaculatoria.

Mio caro e buon Qesu, che per decreto
Dell’ inf allibii Vostra colorito,
M’avete fatta nascere nel ceto
Distinto della prima nobiltá.
Mentre poteva a un minim cenno vostro
Nascer plebea, un verme vile, un mostro.

Io vi ringrazio che d’un s) gran bene
Abbiev ricolma l’umil mia persona,
Tant piú, che essend le gerarchie terrene
Simbol di quelle che vi fan corona.
Godo cosí d’un grad ch’ è rijlession

  • De/ grad di Troni e di Dominazion6.


Questo favor lunge dall’ esallarm.
Come accadrebbe in un cervell legger.
No serve in cambi che a ramemorarm
La gratitudin mia, ed il dover
Di seguirvi e imitarvi, speda Iment
Nella clemenza con i delinquent.

Quindi in vantaggio di costoro anch’io
V offro quei preghi che adi faa Voi stesa
Per i vostri nemici al Padre Iddio;
Ah sí! abbiate pietá dei loro eccess.
Imperciocché ritengh che mi offendesser
Senza conoscer cosa si facesser.

Possa st’ umile mia rassegnazion,
Congiuntament ai merit infiniti
Della vostra acerbissima passion.
Espiar le lor colpe e i lor delitt.
Condurli al ben, salvar l’anima mia,
Glorificarmi in ciclo, e cosí sia.


" Volendo poi accompagnar col fatt
" Le parole, onde avesser maggior pés,
" E combinare con un pò d* eclatt
" La mortifícazion di chi m’ ha offes,
" E l’esempio alle dame da seguir
" Ne contingenti prossimi avvenir,

" Sorto a on tratt dalla chiesa, e a quej pezzent
" Rivolgendem in ton de confidenza,
" Quanti siete, domando, buona gent?...
" Siamo vent’un, responden. Eccellenza!...
" Caspita! molti, replico.... Vent’un?...
" Non serve, Anselm, degh on quattrin per un.

Chi tás la dama, e chi don Sigismond
Piein come on oeuf de zel de religion,
Scoldaa dal son di forzellinn, di tond.
L’èva lí per sfodragh on’orazion.
Che, se Anselm no interromp con la suppéra,
Vattel a catta che borlanda7 l’era!!..

  1. avanij: angherie, soprusi.
  2. profezia: allude alla profezia di Cristo sui segni precursori della fine del mondo.
  3. venerdí de marz: nei venerdí di marzo era pio costume dei milanesi di visitare l’effigie del Crocefisso nel tempio di S. Maria, detta dei Miracoli, presso S. Celso in Porta Ludovica, ora Corso Italia.
  4. l’armi e i lavorin: gli stemmi nobiliari alla carrozza e i galloni larghi, tessuti di lana e seta cogli emblemi del blasone, a guernizione delle livree dei domestici.
  5. furugozz: serra serra.
  6. La Marchesa nella sciocca sua vanitá paragona il suo grado di nobiltá a quello che i Troni e le Dominazioni, tengono, secondo le indicazioni liturgiche, nella gerarchia degli Spiriti Angelici,
  7. borlanda: broda; in senso traslato qui, sproloquio.


Note

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