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VI
SCHERZI EPIGRAMMATICI
tradotti dal greco
(1814)
Exemplaria graeca.
I
AMORE ANNEGATO
Ode di Giuliano egizio.
Mentre un serto vo tessendo,
trovo Amor tra i fiori ascosto,
e per l'ali stretto il prendo.
Invan s'agita il meschino;
vo' affogarlo, e già tuffato
tracanno entro del vino.
Fra le viscere serrato,
or s'affanna e scuote l'ali
tiranno imprigionato.
II
LE MINACCE
Cipri alle muse: — O giovani,
voi mi negate onore,
ché si che, a gastigarvene,
d'armi rivesto Amore. —
Le muse: — A Marte, o Venere,
serba d'Amor le offese,
per noi quel fanciul perfido
non anco il volo apprese. —
III
AMOR PRIGIONIERO
Ode di Anacreonte.
Stretto fra lacci rosei
le muse il nume arciero,
il dieder prigioniero
in man della Beltà.
Ciprigna or, mesto il ciglio,
prega e mercé promette
perché l'incauto figlio
ritorni in libertà.
Che vai? benché cortese
taluno Amor disciolga,
poi ch'a servire apprese,
servire ognor vorrà.
IV
L'AMORE DI CERA
Ode del medesimo.
Mentre un dí vendeasi un caro
Amorino in cera espresso,
invaghito a lui m’appresso,
e lo chiedo al venditor.
— Orsù via di quest’Amore,
a colui bramoso io dico:
— quale è il prezzo? dimmi, amico.
Io l’immagin comprerò. —
Quegli in dorica favella:
— Dammi — dice — quel che vuoi,
che dell’idolo alfin poi
giá l’artefice non son.
Anzi vo’ che lungi vada
l’irrequieto fanciulletto,
con Amor l’albergo, il letto
piú comuni aver non vo’.
— Orsú dunque, ecco una dramma,
quell’immagine a me rendi, —
a lui dico; e tu m’accendi,
tu m’infiamma, Amore, il cor.
Se ricusi, affé che tosto
ti condanno, Amore, al fuoco,
e da quello a poco a poco
tutto struggere ti fo.
V
IL SOGNO
Ode del medesimo.
Sognai che, d'ali armato,
correa veloce e franco:
Amor, di piombo il vago piè gravato,
m'insegue, ed in un punto
m'incalza... e già m'è presso... ahi! m'ha raggiunto.
Or che mi addita il sogno? Ah forse ch'io
fra molti amori avvolto,
m'agitai, fransi i lacci, alfin disciolto
spiegai libero il volo;
ma come uscir non so da questo solo.
VI
AMORE FERITO
Ode del medesimo.
Una leggiadra rosa
cogliendo un giorno Amor
un'ape in seno al fior
non vide ascosa.
Ma l'irritato verme
nel dito Amor ferì.
Appena il duol senti,
quel grida e piange.
Corre a Citerà, e vola:
— Deh madre mia, pietà,
ah! dice, che sarà?
Deh! madre, io moro.
Un serpe mi trafisse
alato, picciolin,
«ape» dal contadin
chiamar l'udii. —
Venere a lui: — Se tanto
da un'ape hai tu dolor,
qual fia quel di color,
che tu piagasti?
VII
IL PREDATORE DI FAVI
Idillio di Teocrito.
I biondi favi cerei
predava Amore un di,
quando maligna pecchia
a lui la man feri.
E il polpastrello al misero
del dito trapassò,
e fitto in esso il pungolo
improvvida lasciò.
Amor si torce e smania
all'inusato duol,
soffia sul dito roseo,
batte col piede il suol.
Corre piangendo a Venere,
gettasi a lei nel sen,
mostra la man che brucia,
— Ah, dice, io vengo men. —
Lagnasi che si picciolo,
si debole animai
risvegli si gran doglia,
cagioni si gran mal.
Rise la madre, e: — Picciolo
sei tu, soggiunse, ancor:
pur fai la piaga orribile
gravissimo il dolor. —
VIII
LA IMPAZIENZA
Ode di Saffo.
Oscuro è il ciel: nell'onde
la luna già s'asconde,
e in seno al mar le Pleiadi
già discendendo van.
E mezzanotte, e l'ora
passa frattanto, e sola
qui sulle piume ancora
veglio ed attendo invan.